Cinema
“Lo Squalo” compie 50 anni: un cult nato nel panico, tra onde, guasti e cineprese affondate
Ventisette anni, una sceneggiatura incompleta, un cast incerto, e uno squalo meccanico che si rifiutava di collaborare: la nascita di Jaws fu un disastro annunciato. Ma il film divenne il primo vero blockbuster, e oggi torna in sala per i suoi cinquant’anni, con una mostra celebrativa all’Academy Museum di Hollywood.
In inglese “jaws” vuol dire fauci. Quando Steven Spielberg vide quella parola in cima a una bozza di romanzo sulla scrivania della Universal, pensò parlasse di un dentista. Aveva 26 anni, stava finendo di montare “Sugarland Express” e cercava disperatamente un nuovo progetto. Quel titolo lo incuriosì. Portò il manoscritto a casa, lo lesse tutto d’un fiato, e il lunedì si presentò in ufficio dicendo: “Questo lo faccio io”.
Peccato che la regia fosse già stata assegnata. Ma Spielberg, con lo zelo di chi sente che sta per cambiare la sua vita, lasciò detto: “Se mai quel regista dovesse dare forfait… chiamatemi”. Quel regista si chiamava Dick Richards e fece l’errore di riferirsi allo squalo come a “una balena”. La Universal, a quel punto, lo congedò con cortese rapidità. E il progetto passò al giovane Spielberg.
Iniziò così una delle produzioni più caotiche della storia del cinema. La Universal, terrorizzata da uno sciopero imminente del sindacato attori, ordinò di partire con le riprese due mesi prima del previsto, con una sceneggiatura incompleta e un cast ancora tutto da definire. Dei protagonisti c’erano solo Lorraine Gary e Murray Hamilton. Poi arrivarono Roy Scheider, Richard Dreyfuss e Robert Shaw, ciascuno con il proprio carattere difficile e il proprio ego a prova di megaschermo.
Le riprese iniziarono a Martha’s Vineyard e si rivelarono un incubo: vento, onde, ritardi, nervi tesi. Il vero nemico? Il protagonista: uno squalo meccanico lungo più di 7 metri, soprannominato affettuosamente “Bruce”, che si rifiutava di funzionare appena toccava l’acqua. A ogni immersione, i motori si bloccavano, la gomma si gonfiava male, il mostro sembrava un pesce lesso.
L’imbarcazione del capitano Quint colò a picco con dentro una cinepresa. Le riprese dovevano durare 55 giorni. Ne servirono 159. Sul set, Jaws veniva chiamato Flaws – “difetti” – e nessuno, compreso Spielberg, pensava che ce l’avrebbero fatta.
E invece. Il film uscì il 20 giugno 1975. E cambiò tutto. Nessun film aveva mai superato i 100 milioni di dollari di incasso in Nord America. Lo Squalo ne fece 430 in tutto il mondo. Inventò il concetto di blockbuster estivo, terrorizzò generazioni di bagnanti, e diede il via al culto degli animali assassini: orche, piovre, piraña, coccodrilli.
Tre sequel ufficiali (nessuno con Spielberg), uno italiano (L’ultimo squalo, di Enzo G. Castellari, ritirato per plagio), e centinaia di imitazioni più o meno serie. Il mito era nato.
Oggi, cinquant’anni dopo, Jaws torna. Il 9 maggio una proiezione-evento con orchestra dal vivo alla Symphony Hall di Boston. A fine agosto la riedizione in sala negli USA. E dal 14 settembre al 26 luglio 2026 una mostra all’Academy Museum of Motion Pictures di Hollywood, con cimeli, retroscena e installazioni interattive. Titolo: Jaws: The Exhibition. Sottotitolo implicito: come sopravvivere a un disastro e fare la storia.
Per decenni critici e analisti hanno cercato di capire perché abbia funzionato così bene. Un aggiornamento di Melville? Una parabola sulla paura? Un’allegoria freudiana, sociale, sessuale? Una metafora del capitalismo predatorio? Forse. Spielberg, con la consueta modestia, ha spiegato: “Volevo dare al pubblico due pugni. Uno allo stomaco, l’altro sotto il naso. Uno-due e tutti giù”.
Eppure, la parte più agghiacciante – e meno invecchiata – di Jaws non è lo squalo. È quella cittadina ipocrita, Amity, dove sindaco e commercianti fingono che nulla stia accadendo pur di salvare la stagione turistica. Espongono i bagnanti a una morte certa. Una metafora talmente lampante da far tremare ancora oggi.
Perché se le fauci del titolo sono quelle del pescecane, ce n’è un altro paio che morde più forte: quelle della speculazione, del potere cieco, dell’indifferenza travestita da ottimismo. L’orrore non è solo in acqua. È a riva, in giacca e cravatta.
A mezzo secolo di distanza, Lo Squalo resta un film spaventosamente attuale. Ma soprattutto, resta un miracolo del cinema: un film nato nel caos, salvato dall’inventiva, e consegnato alla leggenda da un ragazzino che voleva solo raccontare una storia. E ha cambiato la paura per sempre.
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Cinema
Matilda De Angelis incanta alla Festa del Cinema: fascino, talento e un nuovo film con Stefano Mordini
Elegante e luminosa, Matilda De Angelis ha conquistato la Festa del Cinema di Roma con il suo charme naturale. Dopo “Veloce come il vento”, “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” e la serie “The Undoing”, l’attrice torna sul grande schermo con “La lezione” di Stefano Mordini, un dramma intenso e raffinato.
Matilda De Angelis è tornata a splendere sul red carpet della Festa del Cinema di Roma. Abito nero scollato, sguardo magnetico e un’eleganza senza ostentazioni: l’attrice bolognese ha conquistato fotografi e pubblico, confermando di essere una delle interpreti più interessanti della sua generazione.
Dopo il successo internazionale di The Undoing, accanto a Nicole Kidman e Hugh Grant, e i trionfi italiani di Veloce come il vento e L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, De Angelis torna al cinema con La lezione, il nuovo film di Stefano Mordini. Una storia che parla di rapporti, di potere e di desiderio, in cui l’attrice dà vita a un personaggio complesso e carico di sfumature.
“È un film che scava nelle zone grigie delle relazioni, nei limiti che a volte superiamo senza accorgercene”, ha raccontato Matilda durante la presentazione. Il suo ruolo, intenso e ambiguo, mette in luce ancora una volta la sua versatilità, quella capacità di passare con naturalezza dalla commedia al dramma, dal grande schermo alla serialità internazionale.
Sul tappeto rosso, Matilda ha salutato fan e colleghi con il suo sorriso ironico e un atteggiamento rilassato. Niente eccessi, nessun artificio: solo la sicurezza di chi ha imparato a gestire la fama con misura. E proprio questa autenticità, unita a un talento fuori dal comune, è ciò che la rende così amata.
Tra progetti cinematografici, impegni all’estero e una nuova consapevolezza artistica, Matilda De Angelis sembra aver trovato la sua dimensione ideale: quella di un’attrice che non ha bisogno di apparire per brillare. Al cinema come nella vita, la sua “lezione” è tutta qui.
Cinema
Dieci film da vedere a Halloween: i grandi classici (e qualche sorpresa) per una notte da brivido
La notte di Halloween è ormai sinonimo di cinema horror. Che si tratti di una maratona con gli amici o di una serata in solitaria, le luci spente e un buon film possono trasformare il 31 ottobre in un’esperienza da brividi.
Abbiamo scelto dieci pellicole di ogni epoca — dai cult immortali ai titoli più recenti — per soddisfare tutti i gusti: dal terrore psicologico al soprannaturale, dall’ironia gotica alla pura adrenalina.

L’Esorcista (1973) – William Friedkin
Un classico assoluto che ha cambiato per sempre la storia del cinema horror. La lotta tra fede e possessione, il male che si insinua nella quotidianità: inquietante, sconvolgente, imprescindibile.

Halloween – La notte delle streghe (1978) – John Carpenter
Nasce il mito di Michael Myers e del moderno slasher movie. Colonna sonora iconica, tensione pura e una giovane Jamie Lee Curtis che diventa la “scream queen” per eccellenza.

Shining (1980) – Stanley Kubrick
Dall’Overlook Hotel arrivano i fantasmi del passato e della mente. Kubrick trasforma l’horror in arte visiva, con un Jack Nicholson indimenticabile in preda alla follia.

Nightmare – Dal profondo della notte (1984) – Wes Craven
Freddy Krueger popola i sogni (e gli incubi) di un’intera generazione. Geniale l’idea di un mostro che colpisce nel sonno, rendendo impossibile ogni via di fuga.

It (1990) – Tommy Lee Wallace
Tratto dal romanzo di Stephen King, il film tv che ha terrorizzato una generazione. Pennywise, il clown assassino, rimane una delle figure più disturbanti di sempre.

Nightmare Before Christmas (1993) – Henry Selick
Prodotto e ideato da Tim Burton, è una favola gotica diventata culto. Jack Skeletron, re di Halloween Town, scopre il Natale e dà vita a un mondo magico dove paura e poesia si mescolano in modo unico.

Il mistero di Sleepy Hollow (1999) – Tim Burton
Ancora Burton, questa volta con Johnny Depp nei panni di Ichabod Crane. Atmosfere gotiche, ironia nera e un’estetica che ha ridefinito il cinema fantastico degli anni ’90.

The Skeleton Key (2005) – Iain Softley
Ambientato nella Louisiana più misteriosa, è un thriller soprannaturale che gioca con le credenze del voodoo. Finale a sorpresa e tensione crescente fino all’ultimo minuto.

Insidious (2010) – James Wan
Il regista di Saw e The Conjuring firma uno dei film più spaventosi del nuovo millennio. Case infestate, viaggi astrali e un terrore che si insinua silenziosamente nella mente dello spettatore.

Talk to Me (2022) – Danny e Michael Philippou
Diretto dai fratelli australiani di YouTube, è un horror moderno che parla di dipendenza e perdita del controllo. Giovane, crudele, inquietante: perfetto per chi ama gli shock contemporanei.
Cinema
George Clooney, l’ultima vera star di Hollywood che non smette di credere nell’America
Attore, regista e produttore, George Clooney resta uno dei volti più completi del cinema americano. Tra impegno politico, ironia e fascino intramontabile, racconta la sua visione del futuro degli Stati Uniti.
George Clooney è, con ogni probabilità, una delle ultime vere star di Hollywood. Capace di muoversi con disinvoltura tra recitazione, regia e produzione, l’attore nato a Lexington, Kentucky, nel 1961 incarna l’idea stessa di versatilità. Dal dottor Ross di E.R. – Medici in prima linea ai ruoli più intensi di Syriana o Michael Clayton, Clooney ha saputo alternare blockbuster e cinema d’autore senza mai perdere fascino o credibilità.
Fuori dal set, il suo impegno politico lo ha reso una figura di riferimento per il mondo progressista americano. Da sempre vicino al Partito Democratico, ha sostenuto le campagne di Barack Obama, Hillary Clinton e Joe Biden, oltre a impegnarsi attivamente in cause umanitarie come la difesa dei diritti umani in Sudan e la promozione della libertà di stampa.
Poche settimane fa, l’attore è stato protagonista di uno degli incontri più seguiti della serie Actors on Actors di Variety, insieme alla collega Patti LuPone. Durante la conversazione, i due hanno discusso del futuro della democrazia americana, del ruolo dell’arte e del senso di responsabilità pubblica degli artisti.
Clooney, pur non nascondendo le sue preoccupazioni, ha offerto una prospettiva ottimista: “Abbiamo vissuto tempi molto più difficili di questi. Nel 1968 ogni città americana era in fiamme, avevamo perso Martin Luther King e Bobby Kennedy. Eppure, nonostante tutto, siamo andati avanti.”
L’attore ha sottolineato come oggi la sfida principale sia la moltiplicazione incontrollata delle fonti d’informazione: “Il problema non è solo cosa accade, ma come le persone scelgono di informarsi. Viviamo immersi nel rumore, e distinguere la verità dalle menzogne è diventato più difficile che mai.”
Un messaggio velato anche a Donald Trump e ai populismi che, secondo Clooney, “sono destinati a svanire come sempre accade ai demagoghi.”
Parallelamente, Clooney torna al cinema con Jay Kelly, nuova commedia drammatica diretta da Noah Baumbach, in uscita nelle sale americane il 19 novembre 2025 e su Netflix dal 5 dicembre. Nel cast anche Laura Dern, Adam Sandler, Billy Crudup, Riley Keough e Isla Fisher.
A 64 anni, George Clooney continua a incarnare un’idea di Hollywood ormai rara: quella dell’attore che non si limita a interpretare, ma che usa la propria voce per riflettere sul mondo. E, forse, per cambiarlo un po’.
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