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Cinema

Nightbitch: il lato oscuro della maternità in un film che gli uomini dovrebbero vedere

Tratto dal romanzo di Rachel Yoder, il film diretto da Marielle Heller, offre uno sguardo crudo e realistico su un’esperienza spesso edulcorata: la maternità può essere un inferno.

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    Prima o poi finiscono: la stanchezza, le occhiaie, le docce ridotte a una a settimana, i capelli informi, secchi, messi su con la pinza, i pantaloni sempre più stretti, la pancia sempre più molle. La bruttezza fa parte della maternità media, quella che non può contare su eserciti di baby sitter e colf, quella che deve fare i conti con i conti. È uno stato provvisorio travestito da eternità. 

    In programmazione su Disney+

    È una metamorfosi che comincia con gli zuccherini della gravidanza: tutti attenti, tutti prodighi. “Non ti stancare, non sollevare, non ti piegare”. Nightbitch, in programmazione su Disney+ solleva il velo di mussola nero dai volti delle madri, tutte le madri, scoprendo che sotto non sorridono, non sorridono affatto.

    Allevamento fa rima con annientamento

    Per allevare ti devi annientare, arrivare allo stato brado, toccare quel famoso fondo (scoprendo che, diamine, se è lungo). Devi essere terribile: sempre curva (altezza bambino), sempre struccata, ciabattata, pallida, nervosa. Ti devi sfinire, devi sfiorire, lasciar tracimare la rabbia nel momento meno adatto, così che tutti ti guardino con compassione, mormorando: “Che ha? Che le prende?” Occhiate di curiosità, pena, disgusto. Diventi madre ed è come se una navicella scendesse nel tuo salotto color crema, con i faretti incistati nel cartongesso, e trasformasse le tue parole in fonemi sumeri, così che nessuno possa mai più comprendere l’ovvio. E cioè che sei stanca, che hai sonno e hai bisogno di una mano. Una mano.

    Regressione animalesca

    Ad Amy Adams è cresciuta persino la coda. Ha persino ammazzato il suo gatto, sbranandolo. Mangia da una ciotola, indossa solo Birkenstock (le scarpe da libido sotto le suole – sì, sono comode, ma quelle sono), ha il fiuto di un cane. È un cane. La maternità l’ha trasportata in uno stato primordiale fatto di istinto: di giorno cotolette e giochini, di notte prede da cacciare e succhiare fino al midollo. Per la parte della madre in Nightbitch, film diretto da Marielle Heller (La regina degli scacchi), l’attrice ha messo su venti chili, necessari per entrare nella parte di una donna – un’artista, almeno questo era prima di partorire – sposata con un uomo distratto, sempre lontano per lavoro, costretta a vivere da casalinga con un pupo di due anni attaccato alle gambe e una dieta scandita da fettine panate.

    Condannata alla routine

    Le giornate sono tutte uguali, giorno dopo giorno. Una noce di burro sulla padella di ghisa bollente, la cotoletta che sfrigola. Poi il giro al parco, l’altalena, la passeggiata, l’incontro in libreria con le altre mamme e i loro bimbi urlanti e bavosi. La notte nel lettone, col bimbo che non dorme, mai. Che urla, sempre. Che accoglie la supplica: “Fammi dormire, ti prego” con un calcio nella schiena. C’è amore, non c’è rimpianto, ma voglia di tempo per sé stesse sì, voglia di dire: amo essere madre, ma amo anche me, quello che voglio, quello che mi rende quella che sono, che ero.

    Il libro dal quale è tratto il film

    “Voglio correre a perdifiato nei campi di granoturco, raggiungere un ruscello e seguirlo fino al mare. Scusate, ma non tornerò mai più. Voglio fare sesso molto, molto sfrenato con uno sconosciuto. Voglio sedermi senza mutande su una torta tutta bella decorata. Voglio performare un grande gesto anonimo di vandalismo estremo. Voglio essere un’artista e una donna e una madre, cioè un mostro. Voglio essere un mostro”. È un passo dal romanzo di Rachel Yoder (Mondadori), da cui il film è tratto. Una storia che offre una chiave di lettura realisticamente fantastica al tormento sotterraneo di una cosmogonia al femminile fatta di contraddizioni evidenti, di lotte intestine tra simili, di disprezzo verso sé stesse per l’accoglimento di ruoli stereotipati il cui mancato accollo, però, ingenera sensi di colpa pachidermici.

    Amore… va tutto bene?

    Se non ti occupi del tuo bambino fino ad annullarti, sei una cattiva madre. Questo è
    quanto. Questo è il mantra comune, consolidato, tramandato nei secoli dei secoli. Amen.
    Chiaro è il comando annodato nel filamento del DNA femminile, che tre decenni e più di ribellioni al sacrificio unilaterale, non è riuscito a sciogliere. Se la metafora della bestialità – Adams che si trasforma e diventa un cane, un essere che bada ai bisogni primari della propria sopravvivenza – è grottesca e paradossale, veritiera e dolorosa è la reazione del marito (Scoot McNairy), a cui il sacrificio della moglie, che ha rinunciato a una carriera e alla sua ambizione per annullarsi in favore del figlio, era invisibile. L’uomo si era accomodato nella facile posizione dell’accondiscendenza passiva, pigra, ridotta a una domanda: “Tutto bene?” Rivolta alla moglie visibilmente stremata, stressata, schiacciata, che con un sorriso rispondeva meccanicamente: “Sì, tutto bene. Non preoccuparti, caro” con lo sguardo del sequestrato costretto a ripetere un
    messaggio con una pistola puntata alla tempia. L’improvvisa consapevolezza del baratro che si nasconde dietro quella rassicurazione lo porta a un’epifania straordinaria: comprende che no, non va tutto bene. Come poteva essere diversamente?

    Si consiglia la visione al pubblico maschile

    Sua moglie ha messo venti chili, è sfatta, tramortita, neanche riesce a fare uno shampoo,
    non lavora, non cura nulla che non sia quel bambino. Come poteva essere tutto ok? Come? Come ha potuto non pensarci tra una trasferta e una partita alla PlayStation? Finalmente ha compreso che sbilanciare un rapporto, lasciando tutto il peso da una parte è solo l’inizio della fine. Ha avuto l’illuminazione: se il latte è finito, basta uscire e comprarlo. Perché la natura ci ha donato gambe per raggiungere le destinazioni necessarie, mani per rifare il letto, cullare il figlio, mettere su un piatto di pasta. A prescindere dal sesso. Il film è importante per il messaggio che, dopo anni di maternità fatta di confetti e baby shower, regala alle donne. Ma soprattutto agli uomini. Bisogna guardare in faccia la realtà: la maternità è un inferno. Ma se ne esce.

    Alessia Principe

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      Cinema

      Il cavallo, i rigatoni e Ulisse: quando Fellini provò a salvare i libri dalla TV

      Federico Fellini depositò alla Siae nove mini-capolavori pubblicitari dedicati alla letteratura. Non li girò mai, ma oggi quei soggetti – tra cavalli in biblioteca, letti-barca e incontri con Ulisse – tornano a galoppare grazie a un libro di Rosita Copioli che ne rivela la bellezza sommersa

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        Cosa ci fa un cavallo che trotta elegante in una biblioteca silenziosa? Se il regista è Federico Fellini, la risposta è sempre la stessa: sogna. E infatti quel cavallo non è mai esistito. O meglio: ha vissuto solo sulla carta, in un soggetto per uno spot pubblicitario che il maestro di Rimini scrisse negli anni Ottanta per promuovere nientemeno che la lettura. Sì, avete capito bene: la lettura. In un’epoca in cui la televisione stava fagocitando tutto, compresi i cervelli, Fellini provò a salvarli con i libri. O almeno ci pensò.

        Ora quel sogno ritorna tra le mani dei lettori, grazie al volume “Il cavallo in biblioteca”, edito da Vallecchi, in cui la poetessa e saggista Rosita Copioli trascrive, analizza e illumina quei nove spot mai realizzati, depositati dal regista alla Siae nel 1988 e rimasti dimenticati per decenni. Una galleria di visioni tenere e surreali, come solo Fellini sapeva fare.

        C’è il cavallo mansueto che entra in una biblioteca sacra, fiuta i libri, ne lecca la costa. C’è un uomo disteso su un letto che si trasforma in barca – forse un’eco di una poesia di Stevenson – e poi in astronave. C’è persino Ulisse in corazza rilucente che compare accanto a un lettore tormentato dal frastuono del condominio. Altro che caroselli con il detersivo: qui siamo dalle parti dell’epifania.

        Eppure Fellini la pubblicità non la sopportava. Soprattutto quella che interrompeva i film. In un prologo fulminante ai soggetti, scrive: «Il mezzo che più di ogni altro ha esiliato ed emarginato la lettura è proprio la televisione. Dunque: invitare il pubblico televisivo a leggere ha un che di paradossale, di profondamente contraddittorio». Ma anche, aggiunge, di inevitabile. Era l’ultima spiaggia. L’ultima chance per tentare un colpo di teatro e risvegliare le coscienze.

        E pensare che lui gli spot li aveva anche fatti, e benissimo. Memorabile quello per la Barilla, con il tormentone dei rigatoni. Deliziosi quelli per la Banca di Roma, con uno strepitoso Paolo Villaggio nei panni dell’ansioso da incubo, e Fernando Rey, attore-feticcio di Buñuel, come psicanalista. Oppure quello per la Campari, tanto elegante quanto beffardo. Fellini sapeva come rendere anche la réclame un set da sogno.

        Ma quei nove spot sui libri – onirici, delicati, spesso malinconici – non li girò mai. Nessun committente, nessun budget, forse anche troppa distanza tra quel mondo sospeso e il linguaggio commerciale. Rimasero lì, custoditi in un cassetto come un’idea troppo bella per diventare vera. Eppure oggi che li leggiamo, ci accorgiamo che avevano già vinto. Perché la pubblicità che vale è quella che ti resta in testa. E anche se non ha mai avuto uno sponsor, il cavallo in biblioteca sta ancora correndo.

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          Cinema

          Il prossimo James Bond berrà tequila? Con Alfonso Cuarón potrebbe succedere…

          Il regista premio Oscar Alfonso Cuarón ha confermato le trattative per dirigere il prossimo film della saga di James Bond, ora nelle mani di Amazon MGM. Cosa succede quando l’eleganza britannica incontra la passione latina e se il genio dietro Roma prenderà davvero il timone?

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            Avete letto bene. Il celebre regista messicano Alfonso Cuarón ha rivelato di essere in trattativa per dirigere il prossimo capitolo dell’iconica saga di James Bond! Una notizia che ha scatenato entusiasmo e curiosità tra i fan del franchise. Dopo anni di eleganza british, intrighi internazionali e martini “agitati, non mescolati”, 007 potrebbe finalmente parlare… spagnolo?

            Da Roma a Londra (passando per Città del Messico)

            Cuarón, che non dirige un film dal 2018 — anno in cui ha trionfato agli Oscar con Roma — ha dichiarato:

            “C’è effettivamente questo progetto in discussione e ho il desiderio, se dovesse accadere, di rivisitare questa storia a modo mio”.

            Una dichiarazione che lascia intendere non solo un ritorno alla regia, ma anche un desiderio di reinventare Bond secondo la sua sensibilità cinematografica. E se pensiamo a quanto siano stati rivoluzionari film come Gravity o I figli degli uomini, il risultato potrebbe essere esplosivo.

            Amazon MGM cambia le carte in tavola

            Con l’acquisizione dei diritti della saga da parte di Amazon MGM, l’universo di 007 è pronto per una svolta epocale. I fan si aspettano innovazione, diversità e un tono meno “vecchia scuola”. Cuarón, con la sua visione umana e profonda, potrebbe essere la scelta perfetta per questa nuova era.

            Ma chi sarà il prossimo Bond?

            Ancora nessuna conferma sul volto che interpreterà James Bond, ma con Cuarón alla regia, c’è da aspettarsi un personaggio più sfaccettato, emotivamente complesso e, chissà, magari anche con radici culturali diverse. Un Bond meno freddo e più umano? Potremmo davvero essere di fronte al 007 più rivoluzionario di sempre.

            Uno 007 latinoamericano? Sì, grazie!

            Immagina le sequenze d’azione tra i mercati di Oaxaca, inseguimenti tra le piramidi maya o dialoghi intensi sullo sfondo del Día de los Muertos. Il tocco visivo e narrativo di Cuarón potrebbe arricchire l’universo di Bond con nuove prospettive culturali e visive.

            Il ritorno di un maestro

            Dopo anni di silenzio, Alfonso Cuarón potrebbe tornare dietro la macchina da presa con una delle saghe più amate al mondo. E se il progetto andasse in porto, ci aspetta un Bond mai visto prima: più passionale, più profondo, forse persino più reale.

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              Cinema

              Altro che vampiri… Kristen Stewart ora è una donna sposata

              L’attrice Kristen Stewart ha detto finalmente “sì” alla storica compagna Dylan Meyer dopo sei anni di amore, risate e ovuli surgelati. La cerimonia? Intima e senza red carpet, ma con tante emozioni. E ora? Il futuro profuma di famiglia (e forse pannolini).

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                Chi se la ricorda ai tempi di Twilight quando, con sguardo fisso e labbro morso, faceva sospirare adolescenti di mezzo mondo? Beh, Kristen Stewart oggi è cresciuta, è felicemente innamorata e – rullo di tamburi – è anche una donna sposata! La fortunata è Dylan Meyer, sceneggiatrice e compagna di vita da sei anni. Le due si sono dette “sì” in una cerimonia super privata a Los Angeles, lontana dai riflettori e dalle smanie hollywoodiane. Niente paparazzi, solo amore.

                Una storia… da copione?

                Il primo incontro tra Kristen e Dylan risale a ben nove anni fa su un set cinematografico. Ma, spoiler: non fu amore a prima vista. Il colpo di fulmine è arrivato solo nel 2019, durante un compleanno tra amici. Da lì, un crescendo di cuori, convivenza, anelli di fidanzamento e piani di famiglia.

                La proposta (non indecente): “Siamo casual, ma molto innamorate”

                Tre anni fa Dylan ha fatto la fatidica domanda e Kristen, con il suo tipico stile understatement, ha risposto: “Non potevo dire di no”. Le due avevano già annunciato che il matrimonio sarebbe stato intimo e un po’ fuori dagli schemi. Detto, fatto: niente castelli, niente location da favola, solo casa loro e tante emozioni vere.

                Ovuli surgelati e sogni di famiglia

                Già nel 2024, la Stewart aveva raccontato in un’intervista a Rolling Stone che lei e Dylan avevano deciso di congelare gli ovuli. “Non escludiamo nulla. Vogliamo tenerci aperte tutte le possibilità. Avere dei figli? Sì, lo voglio!” aveva detto, parafrasando le nozze. E sul parto? “Mi spaventa, ma la voglia di diventare madre è più forte.”

                Futuro in rosa, magari con passeggino

                Oggi Kristen Stewart non è solo un’attrice di successo, ma anche una donna che ha costruito un amore solido, senza cliché. Il matrimonio con Dylan Meyer è l’ennesimo passo verso un futuro autentico, che potrebbe includere pannolini, notti in bianco e risate in cucina.

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