Spettacolo
Emily Ratajkowski furiosa: “Il volo spaziale di Katy Perry? Un insulto al pianeta”
Emily Ratajkowski, Olivia Wilde e Olivia Munn criticano duramente il volo spaziale organizzato da Jeff Bezos: “Uno spreco di risorse mentre la Terra brucia”.
Emily Ratajkowski non ha usato mezzi termini per commentare il recente volo spaziale targato Blue Origin. Il 14 aprile, una missione interamente al femminile ha portato nello spazio Katy Perry, Lauren Sanchez, Gayle King, Amanda Nguyen, Aisha Bowe e Kerianne Flynn. Un evento pensato per celebrare l’empowerment femminile, ma che ha finito per attirarsi più critiche che applausi. A guidare il coro delle proteste è stata proprio Emily Ratajkowski, che sui social ha espresso tutto il suo disgusto.
In alcuni video TikTok diventati virali, la modella e attrice ha definito la missione “la fine dei tempi”, aggiungendo che tutto ciò “va oltre la parodia”. Secondo la 33enne, l’idea di spacciare per un omaggio alla Terra un’operazione finanziata da un’azienda come Blue Origin, di proprietà di Jeff Bezos, è “semplicemente assurda”. E ancora: “Guardate lo stato del pianeta e pensate quante risorse sono state buttate per mandare nello spazio sei donne per undici minuti. Per cosa? Per quale campagna pubblicitaria?”, ha tuonato, sottolineando come “il privilegio non sia una conquista”.
Non solo Emily. Anche altre star hanno manifestato il proprio dissenso. Olivia Wilde, sempre pronta a lanciare frecciate pungenti, ha condiviso su Instagram una foto di Katy Perry mentre baciava il suolo dopo il volo, commentando con ironia: “Un miliardo di dollari ben spesi, almeno per i meme”. Olivia Munn ha espresso lo stesso fastidio, alimentando una polemica che si sta rapidamente diffondendo sui social.
La missione, organizzata come simbolo di empowerment femminile, si è trasformata in un boomerang mediatico. In molti hanno accusato l’operazione di essere l’ennesima ostentazione di lusso e spreco da parte di un’élite completamente scollegata dalle emergenze reali del pianeta. Tra le critiche più pesanti, proprio quella di una Emily Ratajkowski sempre più impegnata su temi sociali e ambientali: “Mentre la gente soffre, mentre il pianeta brucia, loro buttano via risorse solo per vantarsi di una foto nello spazio”, ha ribadito.
Per ora, né Katy Perry né Blue Origin hanno risposto ufficialmente alle accuse. Ma l’immagine di sei donne privilegiate che viaggiano a bordo di un razzo, mentre la Terra affronta crisi climatiche, guerre e povertà, rischia di rimanere come simbolo involontario di una distanza abissale tra chi può permettersi di volare nello spazio per gioco e chi, sulla Terra, lotta ogni giorno per sopravvivere.
La discussione, intanto, è appena cominciata.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Spettacolo
Mara Venier tra dolori privati, amori irregolari e un provino dimenticato: da Arbore al test di Brass che lei rifiutò
Nel racconto della “signora della domenica” tornano il figlio perduto con Arbore, gli amori che hanno segnato un’epoca e l’episodio con Tinto Brass e sua moglie, quando le chiesero di mostrare il seno e lei rispose con un rifiuto nett
Mara Venier torna a parlare del passato con la schiettezza di sempre, quella che ha trasformato la sua vita in un romanzo pubblico senza mai perdere autenticità. Venezia è il punto di partenza: «Papà faceva il fruttivendolo, lo chiamavano el Toto de Rialto. Sono nata a Cannaregio», ricorda. Una famiglia semplice, poi il trasferimento a Mestre quando il padre trova lavoro in ferrovia. Un’infanzia che oggi appare lontana, ma che resta il fondamento di tutto.
Il provino con Brass e quel no che cambiò il destino
La conduttrice racconta un episodio che pochi conoscevano: il provino con Tinto Brass. «C’erano lui e la moglie, Tinta, cioè Carla Cipriani. Fu lei che a un certo punto mi disse: “Facci vedere le tette”. Io risposi: “Manco per sogno”». Una frase che chiude subito la scena e che oggi suona come un manifesto della sua autonomia. Nessun rimpianto, nessuna esitazione: un no limpido, in un ambiente che raramente accetta risposte simili.
Calà, Arbore e il gioco complicato dell’amore
Nella vita privata di Mara ci sono stati momenti luminosi e ferite profonde. Con Jerry Calà, dice, si rideva molto. «Era ironico e infedele. Se ne andava e tornava. Mi tradiva e poi si ripresentava come se niente fosse». Un amore “storico”, fatto di leggerezza e caos, in cui lei finiva spesso per perdonare. «Io ero per lui una mamma che lo perdonava sempre».
Diverso, molto più intimo, il rapporto con Renzo Arbore. «Solo di Renzo era geloso», racconta. Una gelosia nata da una “storiella” precedente, che la stessa Venier usava per far impazzire Calà: «Facevo telefonare a casa nostra da un amico che sapeva imitare la voce di Renzo. Jerry andava a rispondere e lo vedevo diventare verde». Con Arbore, però, il sentimento fu molto più profondo, fino al dolore mai risolto del figlio perduto, una ferita che lei ha ricordato più volte come uno dei momenti più duri della sua vita.
Tra ricordi dolci e colpi bassi della vita
Mara non edulcora nulla. Racconta amori imperfetti, scelte di pancia, momenti che l’hanno spezzata e ricomposta. Nel suo modo di narrare c’è una maturità che non ha bisogno di retorica. Le risate con Calà, l’intesa con Arbore, il provino finito male, le gelosie, le cadute: tutto torna senza filtro, in un autoritratto che lei stessa sembra osservare da spettatrice, con un misto di ironia e consapevolezza.
Televisione
Charlie Hunnam, l’uomo che guarda nell’abisso: “Interpretare Ed Gein mi ha terrorizzato”
Tra trasformazioni fisiche estreme, introspezione psicologica e la sfida di umanizzare il male: il ritorno di Hunnam segna una delle prove più intense della sua carriera.
Non è facile spaventare Charlie Hunnam. Eppure, lo stesso attore che per anni ha incarnato il carisma ribelle di Sons of Anarchy ammette che il suo ultimo ruolo lo ha «terrorizzato». Il motivo è semplice: per la terza stagione della serie antologica di Netflix Monster, ideata da Ryan Murphy e Ian Brennan, Hunnam è chiamato a vestire i panni di Ed Gein, il serial killer del Wisconsin la cui storia ha ispirato capolavori come Psycho, Non aprite quella porta e Il silenzio degli innocenti.
L’interpretazione ha richiesto all’attore britannico un’immersione profonda e disturbante nei meandri della mente umana. «Questo ruolo mi ha costretto a guardare il lato più oscuro dell’uomo — ha raccontato in un’intervista —. Non volevo che diventasse una caricatura del male. Dovevo capire come un essere umano possa arrivare a tanto».
Un viaggio nella follia americana
Ambientata negli anni Cinquanta, Monster: La storia di Ed Gein ricostruisce la vicenda del “macellaio di Plainfield”, noto per i suoi crimini che scioccarono l’America rurale. Dopo il successo mondiale delle precedenti stagioni dedicate a Jeffrey Dahmer e John Wayne Gacy, la nuova serie ha debuttato in vetta al catalogo Netflix, generando al contempo entusiasmo e polemiche per il modo crudo e realistico con cui rappresenta la violenza.
Hunnam, 45 anni, ha dovuto affrontare un intenso lavoro di preparazione: ha perso circa 14 chili per riprodurre la corporatura esile del vero Gein, ha studiato ore di registrazioni dell’interrogatorio e ha visitato la sua cittadina natale. «La parte più difficile non è stata la trasformazione fisica, ma la comprensione psicologica», ha spiegato. «Dietro le sue azioni c’erano traumi, isolamento e una malattia mentale mai curata. L’obiettivo era mostrare l’uomo prima del mostro».
Da Newcastle a Hollywood: la parabola di un ribelle
Nato nel 1980 a Newcastle upon Tyne, Hunnam è cresciuto nel nord industriale dell’Inghilterra, tra pub, campi da calcio e una famiglia segnata da difficoltà economiche. Dopo un’infanzia turbolenta e un trasferimento forzato nella tranquilla Cumbria, trova nella recitazione la sua via di fuga. Scoperto quasi per caso da un talent scout della BBC, debutta a 17 anni nella serie Byker Grove e poco dopo conquista l’attenzione del pubblico in Queer as Folk, dove interpreta un adolescente alla scoperta della propria identità.
Il salto internazionale arriva con Sons of Anarchy (2008–2014), in cui dà vita a Jax Teller, il tormentato leader di una gang di motociclisti. Quel ruolo lo consacra come icona maschile e simbolo del ribelle moderno. Da allora, alterna cinema e tv in produzioni di prestigio come Pacific Rim di Guillermo del Toro, Civiltà perduta di James Gray, King Arthur e The Gentlemen di Guy Ritchie.
Il metodo Hunnam: tra dedizione e tormento
Per affrontare il ruolo di Gein, l’attore ha adottato un metodo quasi ascetico. «Ho vissuto da solo per settimane, limitando i contatti con il mondo esterno», ha rivelato. Durante le riprese, ha evitato ogni distrazione, immergendosi completamente nella parte. «Più studiavo la sua vita, più capivo che interpretarlo significava affrontare le paure più profonde, le mie e quelle di chiunque».
Al termine delle riprese, Hunnam ha compiuto un gesto simbolico: ha visitato la tomba di Ed Gein, lasciandosi alle spalle il personaggio. «Ho voluto salutarlo — ha detto —. Gli ho promesso che avrei raccontato la sua storia con rispetto, ma che non l’avrei portato con me».
Critiche e riflessioni: chi è il vero mostro?
Come spesso accade con le opere di Ryan Murphy, anche questa stagione ha sollevato dibattiti sull’etica della rappresentazione del male. Hunnam, però, difende la scelta artistica: «Non stiamo glorificando la violenza. La nostra intenzione è capire. Mostrare il male per ciò che è: un fallimento umano e sociale».
E lancia una provocazione: «Gein era il mostro della storia, ma chi è il mostro oggi? Hitchcock, che ha trasformato la sua vicenda in intrattenimento? O noi spettatori, che guardiamo queste storie per sentirci al sicuro di fronte all’orrore degli altri?».
Un attore, due vite
Lontano dai set, Hunnam conduce un’esistenza sorprendentemente riservata. Da quasi vent’anni è legato alla designer di gioielli Morgana McNelis, con cui vive in California, tra natura e discrezione. «Sono con lei da metà della mia vita», ha raccontato. «Non ho bisogno di un certificato per sapere che è la persona giusta».
Nel 2025, con Monster: La storia di Ed Gein, Hunnam dimostra di essere più di un sex symbol o di un eroe da action movie: è un attore che non teme di sporcarsi le mani con l’oscurità. E forse è proprio questa vulnerabilità, questa capacità di guardare dentro l’abisso senza arretrare, che lo rende — ancora oggi — una delle figure più complesse e affascinanti di Hollywood.
Televisione
Enzo Paolo Turchi: “Mi chiamavano gay perché ballavo. Succede ancora, ma molto meno. Il palco mi ha salvato dalla fame e dal dolore”
Ha danzato con Raffaella Carrà, fatto innamorare il pubblico di tutto il mondo e resistito a una vita che non gli ha risparmiato nulla. Enzo Paolo Turchi, oggi 74 anni, riceve il Premio Arte in Danza a Cava de’ Tirreni e si racconta senza filtri: “Questo riconoscimento vale doppio, perché viene dalla mia terra. È qui che ho iniziato a ballare, da scugnizzo dei Quartieri Spagnoli”.
“Mi chiamavano ricchione perché ballavo”
L’infanzia è stata un campo di battaglia: “Mi chiamavano ‘ricchione’ quando scendevo in strada. Succede ancora oggi, ma molto meno. A volte è colpa di messaggi sbagliati: la danza non è femminile, è forza, disciplina e sacrificio.” A otto anni lavorava in una bisca per venti lire al giorno, “per potermi comprare un panino”. Poi la tragedia: “Le mie due sorelline, Flora e Fausta, morirono schiacciate da un carrarmato. Dopo, mia madre impazzì. Io rimasi solo e piangevo ogni notte. Ancora oggi non riesco a stare senza la mia famiglia accanto.”
Carrà, Falana e la gelosia
La consacrazione arriva con Raffaella Carrà e il mitico Tuca Tuca: “Nacque per scherzo a casa di Raffaella. Durante le prove i dirigenti Rai dissero che era osceno. Alla fine ci concessero una puntata e fu un trionfo. Quando Sordi chiese di ballarlo con lei, lo portammo in tutto il mondo.” Sulla loro intesa, Turchi resta vago: “Sono affari nostri. Ma sì, quando mi fidanzai con Lola Falana, Raffaella non mi parlò più. Poi mi richiamò e ripartimmo insieme per una tournée.”
Il mestiere e la polemica
Ancora oggi non risparmia critiche al piccolo schermo: “A Ballando con le Stelle non potrei fare il giudice, lì sono opinionisti. La danza è una cosa seria, servono dieci anni di studio, non tre mesi di prove.”
Una vita da romanzo
Nel suo lungo percorso, Turchi ha lavorato con Sinatra, Liza Minnelli, Julio Iglesias e Barry White: “Dovevo ballare su una sua base, invece lo trovai lì al pianoforte. Mi tremavano le gambe.” Oggi vive con Carmen Russo, la loro figlia Maria e una pensione da 900 euro: “Quando lo dissi non parlavo per me, ma per tutti i ballerini. È un mestiere che ti toglie tutto, ma ti regala l’eternità di un applauso.”
Ha danzato con Raffaella Carrà, fatto innamorare il pubblico di tutto il mondo e resistito a una vita che non gli ha risparmiato nulla. Enzo Paolo Turchi, oggi 74 anni, riceve il Premio Arte in Danza a Cava de’ Tirreni e si racconta senza filtri: “Questo riconoscimento vale doppio, perché viene dalla mia terra. È qui che ho iniziato a ballare, da scugnizzo dei Quartieri Spagnoli”.
“Mi chiamavano ricchione perché ballavo”
L’infanzia è stata un campo di battaglia: “Mi chiamavano ‘ricchione’ quando scendevo in strada. Succede ancora oggi, ma molto meno. A volte è colpa di messaggi sbagliati: la danza non è femminile, è forza, disciplina e sacrificio.” A otto anni lavorava in una bisca per venti lire al giorno, “per potermi comprare un panino”. Poi la tragedia: “Le mie due sorelline, Flora e Fausta, morirono schiacciate da un carrarmato. Dopo, mia madre impazzì. Io rimasi solo e piangevo ogni notte. Ancora oggi non riesco a stare senza la mia famiglia accanto.”
Carrà, Falana e la gelosia
La consacrazione arriva con Raffaella Carrà e il mitico Tuca Tuca: “Nacque per scherzo a casa di Raffaella. Durante le prove i dirigenti Rai dissero che era osceno. Alla fine ci concessero una puntata e fu un trionfo. Quando Sordi chiese di ballarlo con lei, lo portammo in tutto il mondo.” Sulla loro intesa, Turchi resta vago: “Sono affari nostri. Ma sì, quando mi fidanzai con Lola Falana, Raffaella non mi parlò più. Poi mi richiamò e ripartimmo insieme per una tournée.”
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Una vita da romanzo
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