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Musica

A breve il nuovo album di Enrico Ruggeri, “non adatto per Sanremo”

Nuovo lavoro in arrivo per il cantautore milanese. Dagli anni della contestazione giovanile ai tempi del liceo, fino alla vittoria di due festival di Sanremo. Con una corposa discografia e la voglia, ancora oggi, di mettersi in gioco, anche in tv e come autore di libri.

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    “Il suono di oggi è terribile”: a dirlo non è un nostalgico musicale vecchio stampo ma uno che la musica la frequenta giornalmente, molto spesso a contatto coi giovani: il cantautore Enrico Ruggeri. Che ha da poco annunciato sui social di essere in dirittura d’arrivo con la lavorazione del suo nuovo album di inediti, a due anni da La rivoluzione datato 2022.

    Dialogando costantemente coi fan via Facebook

    “Abbiamo iniziato a registrare a settembre 2022. In totale abbiamo lavorato a 36 canzoni, per poi eliminarne molte in corso d’opera. Hanno partecipato fino ad ora undici musicisti. I primi 20 mesi siamo stati nei miei studi Anyway, poi ci siamo spostati al Boombox Studio di Mauro Tondini (qui nella foto con Sergio Bianchi che stava aggiungendo qualche nota di basso). Non so quantificare le ore passate in studio, a settimane intere si alternavano periodi di riflessione e ascolti durante i tour…”, scrive l’autore de Il mare d’inverno ai fan, sempre molto attivi, della sua pagina Facebook ufficiale.

    Un progetto sviluppato con grandissima cura

    Proseguendo nella cronaca di questo momento particolare che lo separa ancora per poco dal lancio del disco: “Abbiamo ripreso e rifatto pezzi già mixati, per mesi abbiamo aggiunto e tolto parti musicali e vocali: non avendo una scadenza c’era sempre il momento in cui si diceva ‘possiamo rifarla meglio’. Non mi era mai successo nei 39 album precedenti di dedicare tanta cura, tanta dedizione, tante sofferenze a un progetto. La data di uscita precisa è ancora da stabilire (mancano master e copertina) ma so che tira aria di ‘album definitivo'”.

    Non adatto alla kermesse sanremese

    Quancuno gli domanda se ci sia la possibilità di vederlo nuovamente in gara a Sanremo. Lui su questo argomento appare tranchant: “Non credo che il disco sia adatto”. Un motivo in più di interesse, perchè la risposta del cantautore potrebbe far preludere a qualcosa di veramente singolare. Un ritorno all’italian punk degli esordi coi Decibel forse? Oppure un lavoro dai suoni e dalle atmosfere elettroniche? Difficile dirlo… non resta che aspettare ancora un po’.

    I suoi inizi che in pochi conoscono

    Cantautore m anche conduttore radiofonico, conduttore televisivo e scrittore. Tutti sanno che ha vinto due volte il Festival di Sanremo, la prima nel 1987 con la canzone Si può dare di più insieme a Gianni Morandi e Umberto Tozzi, la seconda nel 1993 con Mistero. Ma in pochi conoscono le sue primissime esperienze musicali, prima dell’esordio discografico coi Decibel. Risalgono al 1972 quando, studente quindicenne del liceo classico Giovanni Berchet di Milano durante gli anni della contestazione studentesca, inizia a suonare in cantina con gli amici e fonda il suo primo gruppo, i Josafat.

    Nel 1974, con l’ingresso di Silvio Capeccia nella band, si trasformano in Champagne Molotov. Nel 1977 dalla fusione dei Champagne Molotov con il gruppo Trifoglio, nascono i Decibel, con cui incide nel 1978 il primo album Punk, pubblicato per la Spaghetti Records, che si dimostra un clamoroso insuccesso (poche centinaia di copie vendute). Da qui in poi… è storia.

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      Musica

      Laura Pausini: “I miei difetti li nascondo, ma sul palco non ho paura”

      La cantante romagnola si confida al Corriere della Sera: tra insicurezze mai superate, un nuovo album in arrivo e l’apertura del suo museo a Solarolo, ripercorre i capitoli più intimi e professionali della sua carriera.

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      Laura Pausini

        «Non sono mai arrivata ad accettarli o ad amarli, ho sempre cercato di nasconderli», ha raccontato in un’intervista al Corriere della Sera. La musica è stata la sua via di fuga: «Il palco è l’unico posto dove non ho paura».

        Un nuovo album e due versioni

        Nel frattempo, l’artista è al lavoro su Io Canto 2, il nuovo progetto discografico che uscirà in due edizioni distinte: una in italiano e una in spagnolo, con scalette completamente differenti. Una scelta che conferma il doppio legame della cantante con il pubblico italiano e latinoamericano, che l’ha seguita con entusiasmo sin dagli esordi.

        Solarolo come Graceland

        Parallelamente alla musica, il 13 settembre Laura ha aperto le porte del suo museo personale a Solarolo, il paese natale. «Mio padre ha conservato tutto della mia carriera e da fan di Elvis ha pensato: facciamo come Graceland. Io inizialmente ero contraria, ma poi mi ha convinta il parere dei fan», ha confessato.
        Ogni stanza avrà un tema: la cucina sarà dedicata ai programmi tv, il soggiorno alle tournée, un’intera sala ai memorabilia a rotazione e un ultimo spazio raccoglierà gli oggetti usati nel docufilm, come i fogli originali con le modifiche al testo di La solitudine, il brano che lanciò la sua carriera a Sanremo.

        Tra salute e cambiamento personale

        La Pausini ha parlato anche del percorso di trasformazione fisica che l’ha portata a perdere peso. «Ho iniziato a dimagrire durante l’ultimo tour e ho capito che affidarsi ai medici è fondamentale. Mi alleno tre volte a settimana alternando aerobica e stretching», ha spiegato. Con una battuta, ha aggiunto: «Per una vita sana bisogna eliminare non solo i carboidrati, ma anche le persone tossiche».

        Paola, una figlia già sul palco

        Non è mancato un accenno al rapporto con la figlia Paola, che ha ereditato la passione per la musica e una certa determinazione. «A Capodanno è salita sul palco e ha suonato il basso per 21 minuti. Poi ci ha detto: “Ho sbagliato solo tre volte, voi di più”».
        Laura ha anche raccontato il suo approccio all’educazione digitale: dal primo telefono limitato alle chiamate, al vecchio smartphone senza social, fino alle regole condivise con il marito Paolo Carta. «Io ero la più severa, ma alla fine lei ha trovato un equilibrio, usando il telefono solo in determinate fasce orarie».

        Una vita sempre in corsa

        Tra ricordi di soffitta trasformati in esposizione, nuovi brani in studio e allenamenti per restare in forma, Laura Pausini si racconta oggi con più consapevolezza. Restano le insicurezze di sempre, ma la musica continua a essere il rifugio sicuro da cui partire per ogni nuova sfida.

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          Musica

          Annalisa infiamma la scena con Ma io sono fuoco: tra stile, musica e una nuova rinascita

          La cantante torna con un album dal titolo evocativo e un look che conferma la sua evoluzione artistica e fashion. Un progetto che unisce simbolismo, sperimentazione e un messaggio di forza femminile.

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          Annalisa

            Con il lancio del suo nuovo album Ma io sono fuoco, l’artista ligure non solo arricchisce la sua discografia, ma consolida anche il suo ruolo di icona di stile. Un connubio di musica e immagine che la rende tra le protagoniste indiscusse del panorama pop italiano.

            Un titolo che parla di identità

            L’album, atteso da settimane e anticipato da un battage social che ha coinvolto migliaia di fan, prende il nome da uno degli elementi naturali più potenti: il fuoco. «È la mia energia, la mia essenza – ha spiegato Annalisa –. È passione, ma anche trasformazione». La metafora si riflette nella copertina, dove la cantante posa su un letto fiammeggiante, con un abito che richiama un’armatura scintillante, a metà strada tra modernità e mito.

            L’evoluzione del look: dal rosso passione al silver futuristico

            Se a luglio aveva fatto parlare di sé con un total red look, preludio cromatico al titolo del disco, per il lancio ufficiale Annalisa ha alzato ulteriormente l’asticella. Ha scelto un body-dress effetto metallico interamente ricoperto di paillettes argento, completato da guanti coordinati e capelli sciolti dalle onde morbide. Un’interpretazione che la avvicina a una guerriera contemporanea, capace di combinare eleganza e grinta, delicatezza e potenza visiva.

            Una carriera in ascesa costante

            Da quando, nel 2011, ha debuttato nel mondo della musica dopo il successo ad Amici, Annalisa ha collezionato una serie di traguardi significativi: dischi di platino, milioni di streaming e collaborazioni di prestigio. Con Bellissima e Mon Amour, tra i brani più ascoltati degli ultimi anni, ha conquistato il pubblico giovane e non solo, confermandosi versatile nel fondere pop, elettronica e atmosfere internazionali.

            La simbologia del fuoco

            Il fuoco scelto come tema del nuovo album non è casuale: richiama forza interiore, rinascita e resilienza. Un messaggio che Annalisa sembra voler trasmettere soprattutto alle nuove generazioni, raccontando la possibilità di reinventarsi senza mai perdere autenticità. «Sperimentare non significa snaturarsi, ma evolversi», ha dichiarato la cantante in una recente intervista, sottolineando come musica e immagine siano due facce della stessa medaglia.

            Icona fashion e voce generazionale

            Negli ultimi anni, Annalisa ha guadagnato spazio anche nel mondo della moda, diventando un punto di riferimento per chi ama gli stili audaci e contaminati. Le sue scelte sartoriali, mai scontate, esprimono un’idea di femminilità forte, consapevole e lontana dagli stereotipi. Una cifra stilistica che l’ha resa protagonista non solo sui palchi, ma anche sulle copertine delle riviste di settore.

            Con Ma io sono fuoco, Annalisa non solo arricchisce la sua carriera con un nuovo capitolo musicale, ma ribadisce di essere un’artista capace di plasmarsi e sorprendere. Una fiamma che brucia luminosa, alimentata da talento, visione e coraggio.

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              Musica

              David Gilmour: «Mai una reunion con Waters, ma con l’IA forse sì. Non suono con chi sostiene i dittatori»

              L’artista, che a 78 anni festeggia il successo di “Luck and Strange”, racconta i fasti, le polemiche e le ferite mai rimarginate: dall’addio a Roger Waters alle accuse sul live veneziano del 1989.

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                Non è mai stato un uomo da molte parole. David Gilmour ha sempre preferito lasciare che a parlare fosse la sua chitarra, inconfondibile come un’impronta digitale. Ma alla soglia degli ottant’anni, con un nuovo disco in vetta alle classifiche e un film live che porta sul grande schermo gli epici concerti al Circo Massimo di Roma, il chitarrista dei Pink Floyd ha deciso di tornare a raccontarsi. E lo fa senza sconti, tra aneddoti, memorie e verità che pesano come macigni.

                «Una reunion con Roger Waters? No, mai. Confermo le stesse parole dette l’anno scorso: non suonerò mai più con chi sostiene i dittatori come Putin e Maduro», taglia corto. E subito dopo, con un lampo ironico, aggiunge: «Magari, invece, una reunion virtuale con l’intelligenza artificiale potrei anche immaginarla. Vederci ai tempi dei Floyd dal pubblico, realizzati digitalmente, sarebbe curioso».

                I fantasmi di Pompei e l’incanto del Circo Massimo

                Il legame di Gilmour con l’Italia è profondo e antico. Lo ricorda raccontando il set leggendario a Pompei, nel 1971, quando i Pink Floyd suonarono senza pubblico tra le rovine romane. «Sembrava di esibirsi davanti ai fantasmi, come disse Nick Mason. Anni dopo, da solo, nello stesso teatro, l’effetto fu opposto: lì c’era un pubblico vero, e la magia era tangibile».

                Lo stesso incanto lo ha provato a Roma, davanti al Circo Massimo gremito. «Pensare di suonare in un luogo vivo da duemila anni mi ha dato un senso di pace. Preferisco questi spazi alla freddezza degli stadi. Ogni nota risuonava in sintonia con la storia».

                Venezia 1989: «Ancora arrabbiato con il Comune»

                Quando si cita l’Italia, impossibile non ricordare Venezia 1989. Quella notte sul palco galleggiante in laguna resta impressa nella memoria collettiva, ma per Gilmour è anche una ferita mai rimarginata. «Sono ancora arrabbiato con il Comune. Avevamo fatto accordi precisi che non vennero rispettati. Centomila persone senza bagni, abbandonate a sé stesse. E poi quelle polemiche assurde, sul fatto che avremmo potuto rovinare i monumenti con le vibrazioni».

                E alza le spalle: «Eravamo su piattaforme al largo, come avremmo potuto danneggiarli?».

                Syd Barrett, l’amico perduto

                Il passato dei Pink Floyd ha sempre un’ombra che aleggia: quella di Syd Barrett, il genio fragile che lasciò il gruppo presto ma continuò a ispirarne le opere. Gilmour ricorda l’incontro imprevisto durante le registrazioni di Wish You Were Here. «All’inizio non lo riconoscemmo. Era cambiato completamente. Poi ci rendemmo conto che era lui, ma forse fu lui a non riconoscere noi. Viveva nel suo mondo».

                Gli chiedono se oggi Barrett si sarebbe potuto salvare. «Con la psichiatria attuale, forse sì. Allora non credo. Non avevamo gli strumenti».

                Eppure, il chitarrista respinge la semplificazione che vuole l’intero album dedicato a Syd. «Non è del tutto vero. Wish You Were Here parlava dell’assenza in generale. Ma certo, Shine On You Crazy Diamond era per lui».

                Antonioni e le notti insonni di Zabriskie Point

                Un altro ricordo che riporta in Italia è la collaborazione con Michelangelo Antonioni per la colonna sonora di Zabriskie Point. «Suonavamo solo di notte, perché si erano dimenticati di prenotare la sala di giorno. Antonioni lavorava sempre, e a volte si addormentava accanto alla mia chitarra».

                Piccoli dettagli che raccontano la grandezza e le stranezze di un’epoca irripetibile, sospesa tra cinema, musica e sperimentazione.

                Le ferite con Waters

                Il tema più delicato resta il rapporto con Roger Waters. La frattura è profonda, e Gilmour non ha intenzione di ricucirla. «Non c’è alcuna possibilità di tornare a suonare insieme. Non potrei dividere il palco con chi oggi sostiene dittatori e regimi». Una chiusura netta, che conferma quanto i Pink Floyd siano ormai divisi da visioni inconciliabili del mondo prima ancora che della musica.

                Eppure Gilmour non nega il fascino della tecnologia: «Se un giorno l’IA ci ricreasse come allora, potrei guardarmi seduto in platea. Sarebbe un esperimento curioso, non una vera reunion, ma almeno non servirebbe seppellire asce di guerra impossibili da dimenticare».

                Il tempo che passa

                Alla soglia degli ottant’anni, Gilmour continua a suonare e a creare, senza rinnegare il passato. Il suo ultimo album solista, Luck and Strange, ha scalato le classifiche inglesi. «Il segreto è restare curiosi. La vecchiaia arriva, certo, ma io preferisco far parlare la musica. È l’unico modo per restare vivi davvero».

                E così, tra successi rinnovati e memorie ingombranti, David Gilmour appare oggi come un uomo pacificato con sé stesso, nonostante le ferite. Pompei, Venezia, Syd, Waters: ogni tappa racconta un pezzo di storia che continua a vibrare nelle sue corde.

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