Musica
Abbiamo perso il tormentone! L’estate 2025 fatica a trovare la sua hit regina (e nessuno sembra disperarsi)
Dalla nostalgia di Manu Chao con Alfa alle fughe marine di Mengoni, passando per le sirene Amoroso-Brancale: tante canzoni, poche vere hit. I numeri calano, i tormentoni latitano e persino Fedez sembra fuori tempo. È finita l’epoca dei ritornelli da ombrellone?

Ci si guarda intorno, spaesati. Come John Travolta in quel celebre meme di Pulp Fiction. Ma invece del cappotto, qui manca il tormentone estivo. Nessuno che ci faccia ballare sotto l’ombrellone, nessuna strofa da cantare a squarciagola in auto con i finestrini abbassati. Siamo a luglio inoltrato e ancora non si è capito quale canzone, quest’anno, si guadagnerà lo scettro di hit dell’estate 2025. Sempre che qualcuno voglia ancora quel trono.
Funziona — almeno un po’ — “A me mi piace” di Alfa, che ripesca “Me gustas tú” di Manu Chao e la rilancia in chiave pop con quell’effetto nostalgia che manda in tilt i Millennial. È prima nelle radio (dati EarOne), seconda nella classifica singoli Fimi. Bene, ma non benissimo: la scintilla è tiepida, il fuoco non divampa.
Qualche brivido lo regalano anche Alessandra Amoroso e Serena Brancale con “Serenata”, un sirtaki pop che profuma di Grecia e tramonti nel Sud. La base c’è, ma manca l’urgenza di riascoltarla all’infinito. E poi c’è Marco Mengoni, che insieme a Rkomi e Sayf canta “Sto bene al mare”: ottimo titolo, ottimi intenti, ma se la crema solare fa rima con “una terra che scompare”, non si capisce bene se dobbiamo ballare o piangere.
La vera regina dello streaming è Anna con “Desolée”, prima su Spotify. Ma per essere un tormentone serve di più: una viralità trasversale, generazioni unite, radio in loop, spiagge in delirio. E invece quest’anno, i dati parlano chiaro: -43% di ascolti sulla top 20 di Spotify rispetto all’estate 2024. Una frenata che brucia.
E i protagonisti delle scorse estati? Tony Effe, che nel 2024 con Gaia e “Sesso e samba” aveva fatto faville, dopo Sanremo si è trasformato nel re Mida al contrario. Fedez con Clara ci prova, ma non decolla. I The Kolors resistono con “Pronto come va”, Annalisa risponde con “Maschio”, ma il tempo di “Questa non è Ibiza” e “Mon Amour” sembra lontano anni luce.
Cos’è successo? Si è rotto qualcosa o semplicemente siamo cambiati noi? Secondo Enzo Mazza, CEO di Fimi, non è la musica a mancare, ma il concetto di tormentone ad essersi sgretolato. “Non c’è più una monocultura musicale”, spiega. “Gli algoritmi hanno personalizzato le playlist. Ognuno ascolta la sua estate”.
Il fenomeno ha un nome: destagionalizzazione musicale. Le hit possono nascere in ogni mese dell’anno, non servono più le canzoni in modalità mojito. E anche i programmi tv che puntano tutto sull’atmosfera estiva arrancano: “Battiti Live” perde il 3% di share rispetto al 2024, “Summer Hits” su Rai1 scende al 17,2%.
Chi osserva il fenomeno da anni, come Lorenzo Suraci, presidente di RTL 102.5, punta il dito su un altro eccesso: “Troppa musica, troppi eventi. Se devo trovare una tendenza, vedo un ritorno alla melodia”. In un oceano di canzoni, nessuna riesce a emergere davvero.
Anche Baby K, che nel 2015 con “Roma-Bangkok” riscrisse le regole del gioco, oggi la pensa così: “Un tormentone non si costruisce a tavolino. È la conseguenza di un successo spontaneo”. Con “Follia Mediterranea” non promette nulla, e forse fa bene.
E quindi? Ci mancano i tormentoni? Forse sì, forse no. C’è addirittura chi dice di sentirsi sollevato. Nessun ritornello ossessivo a perforare i timpani, nessuna hit imposta a forza. Magari è l’inizio di una nuova epoca. Oppure è solo un’estate di passaggio, una stagione senza regina, ma piena di principesse in attesa.
Intanto, sotto l’ombrellone, il tormentone più ascoltato è il silenzio. E, sorprendentemente, non è poi così male.
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Musica
La figlia di David Bowie debutta in musica, in nome del padre
Lexi Jones, figlia di David Bowie e Iman, lancia il suo primo album “Xandri”, un mix tra pop, indie ed elettronica. Un’opera che fonde sperimentazione, introspezione e ricordi del padre. Ecco tutto quello che c’è da sapere sul debutto musicale di questa giovane artista.

Dopo mesi di indizi pubblicati su Instagram, tra teaser musicali e video d’infanzia, Lexi Jones ha pubblicato il suo primo album in studio, intitolato Xandri. La figlia ventiquattrenne di David Bowie e Iman Abdulmajid entra così ufficialmente nel mondo della musica, proponendo un sound originale che unisce pop, indie ed elettronica. L’album, composto da 12 tracce, rappresenta un viaggio emotivo e artistico, tra atmosfere oniriche e una forte carica personale. La copertina dell’album, che mostra due volti uniti alla stessa testa ma in tensione verso la separazione, simboleggia il dualismo tra identità e distacco.
Il significato del titolo
Il titolo dell’album non è casuale. Xandri deriva dalla parola greca per “difensore dell’umanità”, un riferimento che suggerisce la volontà di Lexi di raccontare esperienze intime e universali al tempo stesso. Il suo lavoro fonde sperimentazione sonora con un forte senso di nostalgia, rendendo omaggio all’eredità artistica del padre pur tracciando una strada autonoma.
Il ricordo di David Bowie
Nel 2022, Lexi ha condiviso su Instagram un toccante video in cui, da bambina, canta Somewhere Over the Rainbow seduta in grembo a suo padre. Nella didascalia ha scritto: “Il mio Mago di Oz”, un tributo affettuoso al legame indissolubile con Bowie. Nata il 15 agosto 2000, Lexi è l’unica figlia nata dal matrimonio tra David Bowie e Iman, un’unione iniziata a Firenze nel 1992 e durata fino alla scomparsa del cantante nel 2016, a causa di un tumore al fegato.
Un percorso segnato dal dolore
Nel 2024, Lexi ha pubblicato un testo personale sui social in cui racconta la difficile elaborazione del lutto: “Ho confuso la vita con la sopravvivenza quotidiana. Nel tentativo di colmare un vuoto gigantesco mi sono lasciata travolgere da tossine e veleni”. Cresciuta a New York, oggi vive a Los Angeles, dove lavora come modella e si dedica a musica e arte visiva. La perdita del padre ha avuto un impatto profondo: “Ho ferito le persone che amavo per far provare agli altri almeno una parte del mio dolore”, ha confessato.
Una nuova voce da seguire
Con questo disco, Lexi Jones dimostra di avere tutte le carte in regola per ritagliarsi uno spazio autentico nel panorama musicale contemporaneo. Un debutto ricco di significati, tra memoria, crescita e ricerca di sé. La figlia del Duca Bianco è pronta a brillare di luce propria.
Musica
Canta il silicio: quando l’intelligenza artificiale scrive canzoni (e le fa pure meglio di noi)
Le macchine non solo parlano: ora cantano, compongono e ti fanno pure il jingle. Mentre artisti e autori si dividono tra entusiasmo e panico, Spotify inizia a popolarsi di canzoni nate da prompt e algoritmi.

Un tempo bastavano una chitarra, un cuore spezzato e un bicchiere di vino per scrivere una canzone. Oggi basta una riga di testo e un’intelligenza artificiale connessa a un generatore musicale. Scrivi qui: “Vorrei una ballata indie sull’abbandono, con un ritornello che spacca”. Et voilà, parte il brano. Accordi, armonia, testo, voce sintetica. In meno tempo di quanto ti serve per trovare il plettro.
Le AI generative musicali stanno facendo irruzione nel mondo della musica con lo stesso tatto con cui un dj entra in chiesa. Strumenti come Suno, Udio, Mubert o Boomy consentono a chiunque – anche al più stonato dei bipedi – di creare canzoni da zero. Senza sapere nulla di teoria musicale, senza suonare uno strumento, senza nemmeno alzarsi dalla sedia. E il risultato? Spesso sorprendentemente credibile. Altre volte, disturbante. Ma comunque virale.
Su Spotify esistono già migliaia di brani pubblicati da “artisti” che non esistono: sono stati scritti da un algoritmo e caricati da utenti che sperano nel miracolo dell’algoritmo. Alcuni incassano anche. Perché alla fine, il pubblico spesso non distingue – e forse neanche vuole farlo – tra un brano umano e uno sintetico, purché sia catchy.
Il punto è: chi sta tremando davvero sono autori, compositori, musicisti, arrangiatori. Gente che ha studiato, che ha fatto gavetta nei locali con i neon bruciati, che ha imparato a mettere in rima dolore e melodia. Per loro, vedere un codice Python sfornare una ballad struggente in 30 secondi è un pugno nello stomaco. O forse una pugnalata nel portafogli.
C’è chi urla al sacrilegio: “La musica è anima, non codice”. C’è chi invece si adegua e inizia a usare l’AI come co-autore silenzioso, magari per superare il blocco creativo o per generare bozze da sistemare a mano. E poi ci sono i produttori che, da sempre attenti al rapporto qualità/prezzo, iniziano a chiedersi se davvero servano sei autori per un ritornello che dice ‘baby baby baby’.
Cosa ci aspetta? Album interi generati in pochi minuti? Festival con cantanti sintetici? Jingle pubblicitari fatti da IA in stile trap-melodico? Tutto è possibile. E in parte sta già accadendo.
Nel frattempo, la musica continua. Umana o artificiale, purché funzioni.
E magari – chissà – fra poco anche l’AI scoprirà quanto è difficile scrivere una canzone che dica davvero qualcosa. Ma se ci riesce prima di noi, forse un paio di domande dovremmo farcele.
Musica
Dimmi che canzone ascolti d’estate e ti dirò chi sei (spoiler: se canti “Vamos a la playa” sei irrimediabilmente vintage)
Dall’invasione reggaeton ai nostalgici degli anni ’80, passando per chi ascolta Battisti come se fosse un mantra zen, la musica estiva disegna profili psicologici più precisi di un test della personalità. E sì, c’è una ragione scientifica se il cervello ama i tormentoni ripetitivi (anche quando tu fingi di odiarli).

Che estate sarebbe senza una canzone da canticchiare – o subire – fino allo sfinimento? Che ti piaccia o no, la tua colonna sonora balneare dice molto di te. Non è solo questione di gusti musicali: è proprio un identikit psicologico da playlist. Perché in fondo, dimmi cosa ascolti sotto l’ombrellone e ti dirò chi sei. E quanto sei disposto a farti compatire.
Cominciamo da quelli che mettono “Vamos a la playa” appena poggiano l’asciugamano. Sono i nostalgici incalliti. Cresciuti a Festivalbar e cocomeri in spiaggia, indossano con orgoglio infradito fluo e credono ancora che Righeira sia uno stato mentale. Li riconosci perché sorridono da soli mentre aprono l’ombrellone: stanno già ascoltando la loro hit nel cervello.
Poi ci sono i devoti del reggaeton. Per loro ogni estate ha un solo suono: quello della cassa dritta che batte come un cuore impazzito. Ascoltano Bad Bunny, Peso Pluma o chiunque abbia una vocale accentata nel nome. Ballano anche se stanno facendo la fila per un ghiacciolo. E hanno una convinzione incrollabile: se la canzone non ti fa venire voglia di muovere il bacino, non è estate.
All’opposto ci sono gli indie-snob del lettino, cuffie grandi, sguardo assorto, e playlist che spazia tra artisti islandesi e remix ambient di canzoni che nessuno conosce. D’estate, fingono di odiare i tormentoni. Ma poi li becchi, a settembre, che canticchiano “Italodisco” sotto la doccia.
E che dire dei battistiani da spiaggia? Sguardo nostalgico verso il mare, leggono Pavese mentre “La canzone del sole” fa da sottofondo. Non cercano il tormentone, cercano l’assoluto. Ma se gli parte “E penso a te”, non rispondono più di loro stessi.
Infine ci sei tu, che ti sei detto “quest’anno cambio playlist” e poi ti sei ritrovato per l’ottava estate di fila a battere il piede con “Despacito”. Perché sì, la colpa è del cervello: in estate la corteccia uditiva si “rilassa” e preferisce suoni semplici, ripetitivi, prevedibili. Il caldo appanna le sinapsi, e i tormentoni sono come granite musicali: dolci, freddi, sempre uguali. E dannatamente irresistibili.
Quindi la prossima volta che senti partire l’ennesimo “oh oh oh” sulla spiaggia, non arrabbiarti. È la tua amigdala che balla.
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