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Musica

Anche Alex Britti smaschera i sold out farsa: “Meglio suonare meno, che gratis per trent’anni”

In un panorama musicale sempre più affollato di “tutto esaurito” sospetti, Alex Britti fa una scelta controcorrente e dice no ai Palasport vuoti con la scritta SOLD OUT ben visibile solo su Instagram. Il suo approccio: meno show, più musica vera. E zero concerti per ripagare debiti da stadio semideserto.

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    56 anni, una chitarra, zero pazienza per le furbate del mercato discografico. Durante la conferenza stampa prima del suo concerto alle Terme di Caracalla, il cantautore romano ha toccato con precisione chirurgica il nervo scoperto della musica italiana: i sold out finti, quelli costruiti ad arte più nei comunicati stampa che tra le file del pubblico.

    Una presa di posizione precisa

    Lui, distante anni luce dalla bulimia da megapalco, ha fatto una scelta quasi rivoluzionaria: restare con i piedi (e la sei corde) per terra. «Tanti anni fa mi proposero un tour nei Palasport, ma dissi no. Non farò nomi, ma non mi andava di suonare gratis», ha detto senza troppi fronzoli. Ed è già diventato il portavoce di un pensiero che, nel backstage del pop italiano, in molti sussurrano ma pochi dicono.

    Sold out sì… ma solo se c’è gente dentro

    Negli ultimi mesi, da Federico Zampaglione a Antonello Venditti, diversi artisti hanno iniziato a sollevare il velo su una pratica diventata ormai quasi folcloristica: annunciare il tutto esaurito… anche quando le prime dieci file sono occupate da familiari, staff e manichini prestati da un outlet locale. Britti invece va dritto:

    «L’idea dello stadio pieno piace a tutti, ma bisogna saper dire no. Se non lo riempi, ti fai male e poi devi fare 30 concerti gratis per ripagare i costi. È un boomerang, non un traguardo.»

    E mentre alcuni fanno finta di non vedere la realtà (con occhiali da sole in tour anche di notte), lui la guarda in faccia:

    «Il mio mestiere è suonare, non ostentare.»

    Non è colpa del sistema: è una scelta, a volte tragica

    Britti non cerca capri espiatori: «Non do la colpa al sistema, nessuno ti obbliga a riempire uno stadio se non puoi. È l’artista che sceglie.» E qui, silenziosamente, parte un applauso da chi ha dovuto vendere la macchina per pareggiare il cachet di un live in un palazzetto mezza vuoto.

    L’inganno di una scritta urlata

    È un mondo dove l’ego vale più del talento e dove si preferisce un cartellone “SOLD OUT” a un pubblico reale. Alex Britti, invece, fa il contrario: preferisce dieci date “vere” che cinquanta dove gli applausi sono solo riverbero. E mentre alcuni si svenano per la foto con il palco vuoto alle spalle, lui fa sold out senza dire sold out.

    Superstar della normalità

    In un panorama musicale dominato da effetti speciali, pre-saving compulsivi e trucchetti da biglietteria, Alex Britti torna ad alzare la mano per dire qualcosa di semplice ma potentissimo: “Io suono, non mi vendo.” E il pubblico, forse stanco di coprire poltrone vuote con le giacche, lo applaude più che mai. Il suo tour non sarà nei grandi stadi, ma è già sold out dove serve davvero: nel rispetto per la musica. E, a quanto pare, anche nel portafoglio.

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      Giacomo, il figlio di Sting entra nella Police… ma quella vera!

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        Il figlio di StingGiacomo Sumner, ha deciso del suo futuro in maniera molto diversa da quella dei suoi genitori. Anche se con un – probabilmente involontario – rimando agli inizi del famoso padre. Il ragazzo, classe 1995, nato dal matrimonio tra l’ex bassista dei Police e l’attrice Trudie Styler, ha scelto di entrare per davvero… in polizia!

        L’approvazione di papà

        Una scelta condivisa dal famoso papà, che ha voluto essere presente alla prima parata del figlio in uniforme. Una scelta, quella di Giacomo, condivisa con un post sui social: “Diventare poliziotto è stato il mio sogno da quando avevo 13 anni”. Plagiato dal padre?!?

        Unico in famiglia a non volere saperne dello spettacolo

        Giacomo possiede una laurea in giustizia criminale e potrebbe iniziare la sua carriera con uno stipendio di circa 36.000 sterline. Lui è l’unico figlio della coppia che non ha voluto seguire le orme familiari e, magari, traendo beneficio dalla cosa. I suoi fratelli, infatti, sono tutti inseriti nel music business, del cinema o della recitazione. Giacomo in realtà ci ha anche provato, debuttando in teatro all’età di 11 anni, con una serie di ruoli minori che poi lo convinsero… ad abbandonare il palcoscenico!

        Un’educazione all’etica del lavoro

        Sting, dal canto suo, ha sempre detto che i suoi figli non avrebbero dovuto far conto sulle ue fortune per vivere: “Tutti i miei figli mi chiedono raramente qualcosa, cosa che rispetto e apprezzo. Ovviamente, se avessero dei problemi li aiuterei ma non ne hanno mai avuto bisogno. Hanno un’etica del lavoro che li spinge a voler raggiungere il successo da soli”.

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          I Watussi di Vianello… e quella n-word, politicamente scorretta

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            Edoardo Vianello il cantante ha parlato di quella n-word (“negro”, ndr) che non ha intenzione di togliere dal testo della sua epocale hit. Un termine che in molti identificano come scorretto e offensivo, anche se la canzone fu un geniale tentativo di ambeintare un hully gully nella profonda Africa, creando I Watussi.

            Non vuole modificarne il testo

            La sua teoria per certi versi non fa una grinza: «Non demoliamo mica il Colosseo perché ci hanno ammazzato i cristiani. Quando l’abbiamo scritta era lecito chiamarli come li abbiamo chiamati, quindi non ho nessuna intenzione di cantarla diversamente. I Watussi rimangono come sono nati: cambio il testo solo se nello stesso giorno demoliscono pure il Colosseo».

            Spirito critico

            Così si esprime Vianello, 86enne che nella sua epoca di successo veniva identificato come il re dei tormentoni estivi. Sulla musica attuale dice «Non mi piace, non distinguo i vari interpreti perché mi sembra cantino tutti allo stesso modo. Mi piace molto però Annalisa, ha un genere di canzoni che mi sarebbe piaciuto scrivere, frizzanti e divertenti. Invece non sopporto Giuliano Sangiorgi che ha rovinato una canzone come Meraviglioso con un’interpretazione totalmente sguaiata. Ho avuto l’occasione di dirglielo, chissà perché mi ha guardato male… uno deve cantare con gusto per prima cosa».

            Quando non c’era ancora l’Ariston

            Con il medesimo sarcasmo parla di Sanremo, «qarla di quella cosa che si svolge in provincia di Imperia? Il mio ultimo festival è del 1967, al casinò, non conosco nemmeno il teatro Ariston. Sono un timido, sul palco prima di prendere contatto bene con il pubblico ho bisogno di un quarto d’ora, a Sanremo quel tempo non te lo danno. Il mio Sanremo sono stati i jukebox».

            Il concetto di “tormentone”

            Per arrivare “a tormentare” le canozoni devono avere caratteristiche precise: l’idea presente nel testo, facile ma intrigante, la semplicità della musica, e una certa orecchiabilità sofisticata. In modo da sopravvivere anche ai rivolgimenti sociali e politici: «La situazione politica e sociale è cambiata nel ‘68, mi sono ritrovato estraneo perché le mie canzoni non le volevano ascoltare, mi fischiavano, per un bel pezzo ho smesso di cantare perché non mi dava più gusto. Poi negli anni ’80 c’è stato un movimento di recupero dei ’60 e mi sono subito accodato: ho fatto il testimonial delle mie canzoni».

            Prima delle sponsorizzazioni social

            Lui fu anchel’antesignano delle sponsorizzazioni, che oggi regolano gli algoritmi dei social: «Accompagnavo i miei amici nelle spiagge e nei bar più frequentati e facevo inserire le 50 lire che davano diritto a tre canzoni, ovviamente facevo selezionare i miei pezzi. Io non mi facevo vedere per paura di essere riconosciuto e poi scappavo come un ladro. Evidentemente è una strategia che ha dato i suoi frutti, alla fine le canzoni sono penetrate definitivamente nei cervelli delle persone».

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              Non si può suonare in una band per sempre, è roba da adolescenti. Parola di Sting!

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                Il cantautore inglese, ex leader del trio stellare dei Police, ha recentemente dichiarato: “Per quanto io ami gli Stones e gli AC/DC, è difficile vederli crescere musicalmente”. E detto da uno che di musica se ne intende parecchio, la frase fa quantomeno riflettere. Durante la sua carriera, Gordon Matthew Thomas Sumner (questo il suo vero nome) è sempre stato interessato a far progredire la sua musica. Dai suoi primi passi nei Police alla sua esperienza solista, il bassista ha sempre cercato di portare la musica popolare oltre le tradizionali progressioni di accordi, lavorando con musicisti jazz e classici per elevarla ulteriormente.

                Verso direzioni ostinatamente differenti

                Guarda caso, uno dei principali motivi dello scioglimento dei Police è stata la costante tensione creativa che aleggiava nel gruppo. Anche se Sting rappresentava la star del trio grazie alle sue eccezionali doti compositive, il suo bisogno di portare la musica in direzioni differenti è costato molto agli altri due componenti della band. Portando addirittura il batterista Stewart Copeland a minacciare fisicamente il cantante, quando si pree la briga di dargli indicazioni su come dovesse suonare la batteria.

                Stones e AC/DC, band mai cresciute

                Dopo aver raggiunto il massimo successo con i Police (praticamente planetario…), Sting ha cominciato a fare musica per sé stesso, infischiandosene delle classifiche e spingendosi a creare capolavori che fossero, più che potenziali hit, dei veri e propri esperimenti. Dichiarando di aver visto però molti dei suoi contemporanei rincorrere la fama. Un esempio su tutti i Rolling Stones… che, a ben vedere, non si sarebbero mai spinti oltre i propri limiti. Secondo Sting anche gli AC/DC hanno deciso la vita comoda, come dichiarato di recente: “Chi è che a 70 anni vuole rimanere in un gruppo come se fosse un adolescente? Non ti permette di evolvere. Devi obbedire alle regole e alle dinamiche della band. Per quanto io ami gli Stones e gli AC/DC, è difficile vederli crescere musicalmente. Per me la band è stata un mezzo per le canzoni e non il contrario”.

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