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Articolo 31: Sanremo, una gran rottura di… BEEP!

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Articolo 31: Sanremo, una gran rottura di... BEEP!

    Sono trascorsi la bellezza di 31 anni dal loro ultimo album, datato 1993. I rinati Articolo 31, benedetti dall’esposizione mediatica al Festival di Sanremo 2023, tornano sul mercato con un nuovo album in uscita fra pochi giorni, intitolato Protomaranza.

    Con un piccolo aiuto da parte dei nostri amici

    Il disco tratta 16 tracce nuove, caratterizzate da una lista di amici-ospiti vecchi e nuovi (Bugo, Fabri Fibra, L sAD, Guè, Jake La Furia, Neffa, Nina Zilli, Rocco Hunt, Pinguini Tattici Nucleari, Tedua), coi quali J-Ax e Dj Jad fotografano la società in cui ci muoviamo. La loro ironia risulta disincantata e provocatori, anche se in alcune tracce spuntano interessanti riflessioni piuttosto profonde.

    Di cosa parla il vostro nuovo disco?

    Tante cose diverse, gli anni passano ma l’irriverenza è rimasta intatta… Vaffanculo papà lo potremmo definire un “pezzo mascherato”, che sembra per bambini ma non lo è. È un brano in cui dico che puntare il dito sui cantanti o sulla musica è una follia, dovrebbero essere i genitori a spiegare il perché di certi brani o banalmente che cosa sia una licenza poetica. Ma i genitori sono pigri, mettere sotto accusa la musica è più facile….

    Ma il titolo Protomaranza… che significa?

    Si tratta di una “trollata”, un disturbo, un diversivo per far credere che nel disco si trattino temi che in realtà non ci sono. “Maranza” è un termine slang che si usava tantissimi anni fa, poi sostituita da zanza, zarro e tamarro. A noi infatti ci apostrofavano come tali, oggi è tornato di moda!

    Gli Articolo 31, oggi, sono cambiati o cosa?
    Ti posso dire che Protomaranza suona coerente con il nostro percorso fino ad oggi. E comunque il legame tra ieri e oggi è sempre presente. Per esempio, La fiera del cringe fatta insieme ai La Sad può ricordare Domani smetto. Così come Non ho voglia (disco party) insieme a Nina Zilli riporta a Tranqi Funky, Intro (spettivi) si può ricollegare a Una per i miei fratelli. Non volevamo rifare gli Articoli 31 dei tempi che furono ma ci è sembrato giusto, soprattutto nei confronti di chi ci segue da allora, richiamare quel sound.

    Ma qualcosa di nuovo, nel disco lo ascolteremo?

    Direi Contadino, che una canzone realmente diversa dalle altre, sviluppata su un piano narrativo molto personale. Mi sono ispirato alla figura del mio bisnonno, che era un contadino… e non era neanche proprietario del campo in cui lavorava tutto il giorno. Sono partito dalla sua storia, arrivando alla generazione di mio padre e, in coda, la mia. Il concetto cardine è semplice ma preciso: ciò che è frutto del mio sudore è mio, che sia la terra che zappava mio nonno o la musica che creo io oggi.

    A mente fredda, come vedete il Festival di Sanremo che ha sancito la vostra reunion?

    Abbiamo sempre pensato che Un bel viaggio fosse il brano giusto per partecipare al Festival di Sanremo. Anche se personalmente non ci volevo andare, mentre Jad e l’etichetta erano intenzionati a fare il contrario. A quel punto mi sono detto: se ripartiamo con i veti, ovvero con me che dico di ‘no’ e così è, imponendomi, non ha senso ripartire come Articolo 31. E allora mi sono convinto ad andare, comportandomi da professionista.

    Ma a qualche tuo fan che ha vissuto la vostra partecipazione come una sorta di “tradimento” cosa rispondi?

    Il Sanremo a cui giurai di non partecipare mai era molto diverso da quello allestito da Amadeus. Una manifestazione che ha subito un forte cambiamento dal punto di vista musicale, anche se si è trattato di una grande “rottura” per diverse dinamiche legate all’evento stesso.

    Se ti trovassi al posto di Amadeus chi porteresti al festival?

    Lady Gaga, la più grande performer che abbia mai visto… e i Foo Fighters.

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      Musica

      Jake La Furia: «A 50 anni smetto con il rap. Non voglio diventare una macchietta»

      Il giudice di X Factor torna a parlare a ruota libera: dalla politica alle droghe, da Musk agli aspirapolveri che insultano i padroni. «Mi piacerebbe fare country». Intanto, si gode la reunion dei Club Dogo e si prepara alla nuova edizione del talent.

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        Il rapper non ha mai avuto peli sulla lingua, e nemmeno stavolta si smentisce. Jake La Furia, reduce dal successo della reunion dei Club Dogo e con un nuovo progetto discografico in cantiere, racconta il suo presente: «Perché no? È stata una bella esperienza, faticosa, ma bella. È servita a tutti sotto parecchi punti di vista: visibilità, divertimento e anche economico. Per cui, perché no?».

        La musica però non è più quella di vent’anni fa. «Rispetto ad allora è tutto peggiorato: chi immaginava che saremmo tornati a parlare di guerra, armi e invasioni. E i fascismi sono molto meno mascherati, direi. Il problema è che ai ragazzi non gliene frega un cazzo. Sembrano gli anni ’80, quando tutti volevano dimenticare gli anni di piombo. C’è un totale disinteresse su tutto: la gente non legge, non guarda i film, non conosce le notizie». La soluzione? «Vado a vivere su Marte. Magari ci trovo Elon Musk, che più che pericoloso mi sembra un demente. Anche se qualcosa di buono l’ha fatto. Si vede che sono i tempi dell’intelletto al servizio del male».

        C’è spazio per la speranza? Pochino. «Sono ovviamente preoccupato per i miei due figli, infatti li ho mandati alla scuola inglese proprio perché siano pressoché madrelingua. Nel momento in cui vogliono fare la valigia e andare, vanno».

        Sul ritorno del rap è chiaro: «La trap, che è molto bistrattata, in realtà è un genere super dignitoso. Per un periodo ha fagocitato tutto, anche i singoli pop delle superstar. Io i trapper li capisco: fanno quello che gli viene istintivo. E comunque non sono tutti uguali: ci sono anche dei bravissimi, come Baby Gang, Tony Boy, Sfera Ebbasta».

        La qualità della musica si è abbassata? «Ovviamente sì. Ora tutti possono fare musica e condividerla subito. Prima c’era la gavetta, ora si esplode velocemente sia per le cose belle che per quelle brutte. Non c’è soluzione, la tecnologia spinge verso la velocità e possiamo solo peggiorare». E sull’intelligenza artificiale: «Mi viene in mente Skynet di Terminator. Io mi immagino aspirapolveri che insultano i padroni. È la morte della creatività: paghiamo un device per sostituire la fantasia».

        Poi l’ostentazione di ricchezza nei video trap: «Io sono orgogliosamente pieno di mitra e Lamborghini», ride. Ma aggiunge: «Sono gli underdog, quelli che hanno subìto, che sono stati bistrattati. La Lamborghini è il modo per far vedere che uno che non ha mai avuto nulla ce l’ha fatta. Giusto o sbagliato, questo è sempre stato il messaggio del rap».

        E le armi? «I ragazzi replicano quello che vedono. Questo tipo di musica si rifà molto al modello americano. Ma non siamo neanche lontanamente paragonabili a quello che succede in Francia. Per cui starei tranquillo: siamo ancora civilizzati».

        Sul rapporto con la droga è netto: «Drogarsi è stato divertente, creativo, e anche molto impegnativo. Ma la droga è una cosa per giovani. A un certo punto bisogna mollare il colpo, altrimenti diventi un demente».

        La politica? «Voto, certo, altrimenti mia madre mi ammazza. Non dico per chi, ma non è difficile capirlo. Però questa politica fatta da papponi mi sta facendo disamorare. Quando dal governo ti convincono che è inutile andare a votare, è proprio quello il momento in cui devi andarci».

        Sulle forze dell’ordine è tagliente: «Ne succedono di tutti i colori e io non ho mai visto collaborazione. Ho visto solo tentativi di insabbiare e aiutarsi fra di loro. Puoi andare in questura a fare il passaporto, ma legittimamente puoi anche non fidarti».

        E poi la bomba finale: «A 50 anni smetto con il rap. Non voglio diventare una macchietta col cappellino e il collanone. Uno può levarsi dai riflettori e restare nello spettacolo facendo altro. Mi piacerebbe fare country: parla alla gente ed è per quello che piace».

        Sul nuovo X Factor, si concede una battuta: «Non c’è più Manuel Agnelli, con cui mi trovavo benissimo, ed è arrivato Francesco Gabbani. Se Manuel era la notte, lui è il giorno. Ma Francesco si è inserito e adesso è parte dell’ingranaggio». E su Achille Lauro: «Lui è un personaggio. Ha capito che per stare in piedi devi costruirti un mondo. Che piaccia o meno è un altro discorso. Ma almeno ci mette la testa e non copia. Lo rispetto per questo».

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          Musica

          Tiziano Ferro torna con “Cuore rotto”: «I dolori e il rancore ci faranno ballare»

          Dopo tre anni di silenzio discografico, il cantautore di Latina annuncia il nuovo singolo in uscita il 5 settembre. Un ritorno segnato da immagini forti e da un cambio di etichetta che segna un nuovo capitolo della sua carriera.

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            Un cuore rosso e spaccato, una mazza da baseball stretta in mano e un paio di occhiali scuri a nascondere lo sguardo. È così che Tiziano Ferro ha scelto di riapparire ai suoi fan dopo nove mesi di silenzio sui social. Il cantautore di Latina ha annunciato l’uscita del suo nuovo singolo, Cuore rotto, disponibile dal 5 settembre. «L’ho scritta perché i dolori e il rancore, da adesso, ci faranno ballare», ha dichiarato sui suoi canali, lasciando intendere un brano dal ritmo diverso, capace di trasformare la sofferenza in energia.

            L’attesa era nell’aria. Pochi giorni fa Ferro aveva cancellato ogni contenuto dai suoi profili social, un gesto che aveva subito fatto pensare a una nuova era musicale. Poi la notizia della firma con Sugar Music, etichetta con cui inaugura un nuovo percorso artistico dopo anni legati alla Universal. Ora, l’annuncio che i fan aspettavano: non solo musica nuova in arrivo, ma un titolo e una data precisa.

            Tre anni dopo l’ultimo album, Il mondo è nostro, l’artista torna a raccontarsi con un linguaggio inedito, più crudo e diretto, fatto di simboli che sembrano parlare di rabbia, resilienza e voglia di liberazione. Una scelta che conferma la sua capacità di reinventarsi, restando fedele alla sua cifra emotiva ma aprendosi a sonorità più contemporanee.

            Il singolo Cuore rotto segna quindi l’inizio di una nuova fase, attesissima dal pubblico che lo segue fin dagli esordi e che, ancora una volta, è pronto a ballare insieme a lui, anche sulle macerie di un dolore trasformato in musica.

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              Musica

              Riccardo Cocciante: ragazzi, la musica non è solamente look, tirate fuori l’anima!

              Giusto ieri il cantautore ha celebrato 50 anni dall’uscita dell’album Anima con un concerto all’Arena di Verona. Ancora pieno di entusiasmo, l’artista non risparmia critiche precise verso la situazione musicale attuale.

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                Riccardo Cocciante, pur con una lunga e fortunata carriera alle spalle, si mostra nostalgico di fronte alla musica che cambia. Un processo naturale ma che dovrebbe contemplare una serie di valori che oggi si sono persi: «La nuova generazione ora segue solo le mode, mostrano le gambe e nascondono l’anima» sottolinea rammaricato. Presso un ristorante milanese ha raccontato ai giornalisti interventuti – tra i quali anche noi – alcuni dei progetti più imminenti per i festeggiamenti di Anima, album che compie 50 anni, quello che contiene due sue hit intramontabili come Bella senz’anima e Quando finisce un amore.

                La necessità di tornare alle emozioni vere

                Il suo intervento iniziale chiarisce il tono che avrà la concersazione con la stampa intervenuta: «I tempi sono diversi e cambiano le maniere di esprimersi. Oggi c’è troppa attenzione al look, sei sul palco perché hai un’anima, un pensiero e non solo per mostrare la tua immagine. Mi ha fatto piacere vedere alcuni cantanti inglesi tornare a esibirsi solo con la chitarra, una canzone deve valere per ciò che è».

                Un successo personale è solo l’inizio, non certo un punto di arrivo

                Dopo un inizio del genere è giusto riguardare al passato, il suo passato. Iniziando dal grande successo datato 1974: «All’inizio Bella senz’anima era stata bocciata dalle radio, poi è esplosa e mi sono trovato primo in classifica senza essere preparato. Non sapevo nemmeno come presentarmi al pubblico, cantavo in piedi, quasi senza pensare. La canzone è diventata parte di me, mi ha definito. Da lì mi sono chiesto: “E ora cosa faccio?”. Realizzare una canzone non è un arrivo, è solo l’inizio».

                Il mio pubblico è differente

                L’artista, in seguito, ha parole di encomio per il suo pubblico, che ha sempre messo al primo posto il valore della sua musica: «È la gente che sceglie, non la discografia. Ha fiuto e sa scovare ciò che è speciale. Certo, non è mai prevedibile, ma ha una sensibilità unica».

                In Italia ci vorrebbe una manifestazione tipo i Grammy americani

                Alla fatidica domanda di cosa manchi oggi alla musica, lui non ha dubbi: «Un premio per certificare il valore di quello che facciamo, come i Grammy. In Italia abbiamo talenti incredibili, come Mina o Gino Paoli, che meriterebbero un riconoscimento per il loro contributo. È un peccato che la nostra categoria venga spesso sminuita come semplice intrattenimento».

                Dal vivo a Verona

                Sul concerto organizzato l’anno scorso all’Arena di Verona, ci tiene a sottolineare che il suo vuole essere uno show che ritorni alle radici del nostro rock pop, quello più essenziale, con chitarre aggressive. Con l’intenzione di ricreare quell’energia di un tempo, quando la musica era più grezza e autentica, senza troppa perfezione.

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