Musica
Chi vincerà l’Eurovision 2025? ChatGPT ha fatto i suoi conti (e per l’Italia non sono buone notizie)
Alla vigilia dalla finale dell’Eurovision 2025, abbiamo chiesto a ChatGPT di sbilanciarsi: quali Paesi sono in pole position? Ecco la risposta, tra certezze dei bookmaker e delusioni tricolori

Londra chiama Basilea, ChatGPT risponde. Alla vigilia dalla finale dell’Eurovision Song Contest 2025, sale la febbre da pronostici. Martedì si è conclusa la prima semifinale con un primo assaggio di eliminazioni e colpi di scena. Ieri è toccata alla seconda tornata di semifinalisti. Ma il verdetto finale arriverà solo sabato 17, quando la St. Jakobshalle di Basilea ospiterà la finalissima più attesa dell’anno.
In mezzo a ballad struggenti, jingle virali e scenografie degne di un kolossal, torna puntuale anche la domanda delle domande: chi vincerà l’Eurovision 2025?
Per scoprirlo, abbiamo provato a chiedere un parere a ChatGPT, sfruttando la sua capacità di incrociare recensioni musicali, tendenze social e le immancabili quote dei bookmaker. E la risposta, almeno per l’Italia, non è stata delle più confortanti.
La favorita assoluta? Svezia. Di nuovo.
Secondo l’analisi effettuata da ChatGPT su base web, la Svezia è la grande favorita alla vittoria. Merito del gruppo KAJ e della loro “Bara Bada Bastu”, canzone che ha diviso la critica ma galvanizzato il pubblico. Un brano dal ritmo ipnotico, spiritoso e visivamente memorabile. Secondo l’intelligenza artificiale, il pezzo ha già raccolto il consenso di media specializzati e del pubblico online, consolidando la sua posizione in testa alla classifica.
Le probabilità di vittoria assegnate dalla AI alla Svezia superano il 40%, staccando nettamente tutti gli altri. Dietro, un po’ a sorpresa, l’Austria con “Wasted Love” di Johannes Pietsch, una ballata intensa che pare aver toccato le corde giuste sui social. Al terzo posto, la Francia, con Louane e il suo brano “Maman”, che unisce emozione e appeal commerciale.
Lucio Corsi, Lucio chi?
E l’Italia? Lucio Corsi è stato applaudito per la sua esibizione e la canzone “Volevo essere un duro” ha conquistato molti fan, soprattutto dopo Sanremo. Ma per ora, secondo ChatGPT, le speranze italiane restano flebili. L’AI posiziona l’Italia solo al decimo posto, con appena il 2,4% di probabilità di portarsi a casa la vittoria.
Non va meglio per Gabry Ponte, in gara per San Marino con il brano “Tutta l’Italia”: la sua performance è piaciuta ma, a quanto pare, non abbastanza da guadagnarsi un posto nemmeno nei primi dieci. E pure Tommy Cash, che con “Espresso macchiato” aveva infiammato il pubblico della semifinale, resta fuori dalla top list.
La top 10 secondo l’intelligenza artificiale
Ecco la classifica completa stilata da ChatGPT sulla base di recensioni, reazioni sui social e dati delle agenzie di scommesse:
- Svezia – 41%
- Austria – 20%
- Francia – 11%
- Israele – 8%
- Paesi Bassi – 7%
- Albania – 5,9%
- Finlandia – 4,8%
- Belgio – 4%
- Malta – 3,8%
- Italia – 2,4%
Secondo ChatGPT, “i fattori che influenzano le probabilità non sono solo la qualità musicale, ma anche l’impatto visivo della performance, la viralità online e la reputazione storica del Paese nel contest”. E in tutto questo, la Svezia parte avvantaggiata: è già vincitrice di ben sette edizioni, seconda solo all’Irlanda, e l’anno scorso ha trionfato con Loreen.
In attesa di nuovi verdetti
La seconda semifinale potrebbe ancora rimescolare le carte. Ma per ora, il verdetto dell’intelligenza artificiale è chiaro: la Svezia ha la strada spianata verso un nuovo trionfo. Per l’Italia, invece, potrebbe essere una serata di musica e stile, ma non di gloria.
Sabato lo scopriremo. Intanto, Lucio Corsi si gode il palco. E i fan italiani, anche con solo il 2,4%, non smettono di tifare.
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Musica
Renato Zero e Loredana Bertè insieme a Sanremo? Spunta l’ipotesi di una reunion da brividi (con Damiano David tra i nomi caldi)
Secondo indiscrezioni sempre più insistenti, Renato Zero e Loredana Bertè sarebbero pronti a ritrovarsi sul palco del Festival di Sanremo per un duetto destinato a fare storia. Ma non è tutto: tra i possibili protagonisti dell’edizione 2026 spunta anche Damiano David, ex frontman dei Måneskin, pronto al grande passo da solista.

Sogno o realtà? Il Festival di Sanremo 2026 potrebbe regalare al pubblico un colpo di scena di quelli che lasciano il segno: una reunion tra Renato Zero e Loredana Bertè, amici, complici e icone assolute della musica italiana. Da giorni, negli ambienti discografici, si rincorrono le voci su un possibile duetto che li vedrebbe tornare insieme sul palco dell’Ariston dopo anni di distanza artistica, ma mai affettiva.
Zero e Bertè condividono una storia lunga oltre cinquant’anni: amicizie, scontri, palchi e canzoni che hanno segnato un’epoca. Un loro ritorno insieme a Sanremo sarebbe più di una trovata televisiva: sarebbe un evento simbolico, la celebrazione di due carriere che hanno rivoluzionato il costume italiano, ciascuno a modo proprio. E pare che Amadeus (o chi prenderà il suo posto, a seconda delle scelte Rai) stia lavorando dietro le quinte per rendere possibile l’incontro.
Ma non è l’unico nome che circola. A infiammare i rumors c’è anche Damiano David, l’ex frontman dei Måneskin. Dopo il successo planetario con la band, il cantante romano starebbe valutando il debutto da solista proprio al Festival, con un brano scritto e prodotto tra Londra e Los Angeles. Una svolta rock-pop che, se confermata, segnerebbe una nuova fase della sua carriera e un ritorno simbolico nel luogo dove tutto è iniziato.
Tra i fan, l’entusiasmo è già alle stelle: l’idea di vedere sullo stesso palco tre generazioni diverse della musica italiana — la Bertè e Zero come monumenti viventi, Damiano come icona del presente — accende la fantasia dei social.
Per ora dalla Rai nessuna conferma ufficiale, ma l’indiscrezione circola con insistenza negli ambienti discografici. E se davvero dovesse accadere, l’Ariston tornerebbe a essere, come ai tempi d’oro, il luogo dove passato e futuro della musica italiana si stringono la mano.
Musica
Tananai scaricato (e buttato): l’ex Sara getta il suo disco tra i rifiuti
Lui tace, come da copione. Lei risponde con un gesto plateale: un disco tra i rifiuti e due emoticon su Instagram che mettono la parola fine a una relazione iniziata prima del successo di Sanremo. Nel frattempo spunta Camilla Boniardi, in arte Camihawke, e i fan si dividono tra condanne e sospetti.

Non servono parole, a volte basta una foto. Quella pubblicata da Sara Marino, influencer e ormai ex compagna di Tananai, ha fatto il giro del web in poche ore: il disco del cantante gettato tra i rifiuti, come un simbolico atto di resa (o di vendetta). Nessun commento, solo due emoticon — una mano che saluta e un viso neutro — a chiudere una storia che durava dal 2020, prima che il giovane artista milanese diventasse uno dei nomi più amati della nuova musica italiana.
La coppia si era sempre tenuta lontana dai riflettori, preferendo un profilo basso anche quando Tananai, all’anagrafe Alberto Cotta Ramusino, era passato dall’ultimo posto a Sanremo 2022 con Sesso occasionale al trionfo popolare dell’anno dopo con Tango. Ma dietro le quinte, pare che qualcosa si fosse già incrinato da tempo.
Il gesto di Sara non è passato inosservato. I fan si sono divisi tra chi l’ha definito “una sceneggiata inutile” e chi invece ha colto il dolore dietro quell’immagine così diretta. C’è anche chi ha visto nella foto un riferimento preciso: la fine di un amore che, come un vinile rotto, non gira più.
Intanto Tananai tace, coerente con la sua fama di riservato. Nessuna replica, nessuna spiegazione, solo qualche like sparso e un profilo Instagram rimasto intatto, come se niente fosse. Ma la tempesta social non si è placata, anche perché nelle ultime settimane l’artista è stato avvistato spesso accanto a Camilla Boniardi, in arte Camihawke.
La content creator — seguitissima sui social e conosciuta per la sua ironia — è comparsa a un concerto di Tananai e poi in alcune foto di vacanze in montagna. Intervistata da Fanpage, ha tagliato corto: «Sto attraversando un momento sereno». Una risposta che ha alimentato, più che spento, le voci di una nuova relazione.
Mentre lui continua a riempire palazzetti e classifiche, la sua vita sentimentale finisce sotto i riflettori. E se l’album di Tananai è davvero finito in un cassonetto, almeno la musica — quella, sì — resta impossibile da buttare.
Musica
Che fine ha fatto la musica? Dal 1975 di Born to Run e Rimmel al silenzio creativo di oggi
Cinquant’anni fa uscivano capolavori come Wish You Were Here, Physical Graffiti e Horses. Oggi, tra algoritmi e hit usa e getta, la musica sembra aver perso la fame e la poesia di un tempo.

C’è un anno che sembra appartenere a un’altra dimensione: il 1975. Cinquant’anni fa la musica raggiungeva il suo apice creativo con una sequenza di album-capolavoro che oggi suonano più vivi di gran parte delle produzioni contemporanee. Rimmel di Francesco De Gregori, Born to Run di Bruce Springsteen, Wish You Were Here dei Pink Floyd, Horses di Patti Smith, Physical Graffiti dei Led Zeppelin. Un quinquennio di rivoluzioni condensato in dodici mesi.
«I dischi di allora hanno lo straordinario potere di sembrare ancora credibili, forti, presenti. In certi casi perfino innovativi», ricorda il critico Gino Castaldo. E aveva ragione: basta un verso, un riff o una nota per capire che erano anni in cui la musica sapeva ancora dire qualcosa di necessario.
De Gregori raccontava la malinconia e le incertezze di un Paese che cambiava. Springsteen trasformava la fatica e i sogni dei ragazzi americani in epica collettiva. Patti Smith mescolava poesia e ribellione, aprendo Horses con quella frase destinata a diventare leggenda: «Jesus died for somebody’s sins but not mine». I Led Zeppelin firmavano il loro monumento rock con Kashmir, e i Pink Floyd dedicavano a Syd Barrett il capolavoro assoluto della malinconia: Wish You Were Here.
Oggi, a confronto, sembra tutto più piatto. L’industria sforna successi che durano una settimana, i testi si consumano come slogan pubblicitari, e le melodie inseguono algoritmi invece di emozioni. Nel 1975 la musica non cercava consenso: cercava senso.
Quelle canzoni erano scritte per durare, non per diventare virali. E infatti durano ancora. Mezzo secolo dopo, Born to Run continua a far accelerare il cuore, Rimmel a farti pensare che la malinconia possa essere una forma d’arte, Wish You Were Here a ricordarti che la nostalgia è il più umano dei sentimenti.
Forse la risposta alla crisi della musica è tutta lì, in quei vinili graffiati che hanno resistito a mezzo secolo di rivoluzioni tecnologiche: il talento non ha bisogno di algoritmi. Ha bisogno solo di verità.
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