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Francesco Guccini risponde a Jovanotti: “Gloria? Un’altra storia rispetto a La locomotiva”

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    Francesco Guccini non ci sta. Le recenti dichiarazioni di Jovanotti, rilasciate durante un’intervista ad Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”, hanno acceso un dibattito che si è subito diffuso tra fan e critici musicali. L’affermazione del cantautore romano, secondo cui “Gloria” di Umberto Tozzi non avrebbe nulla da invidiare a “La locomotiva”, ha provocato una replica precisa e diretta da parte del cantautore modenese.

    Durante la trasmissione “Timeline”, Guccini ha chiarito il suo pensiero: “No, non sono d’accordo con Jovanotti. ‘Gloria’ è una bella canzone, una canzone che si ascolta volentieri, però non c’è una storia dietro, non c’è qualcosa che si chiama cultura o i libri che ci sono stati letti. ‘La locomotiva’ è una canzone di andamento popolare, quindi potrebbe facilmente essere presa come canzone popolare, quindi è una canzone semplice. Nella sua complessità, è una canzone semplice”.

    Ma Guccini non si ferma qui. Rispondendo alla visione di Jovanotti, che tende a eliminare la distinzione tra cultura “alta” e “bassa”, l’autore di capolavori come “Amerigo” e “Van Loon” rivendica il lavoro intellettuale che sta alla base dei suoi testi: “Tante mie canzoni… ‘Amerigo’, per esempio, per dirne una, ‘Van Loon’ per dirne un’altra, ‘Odysseus’, una delle ultime… ci sono dei libri dietro, ci sono delle letture. Ci sono… non vorrei usare una parola grossa come ‘cultura’, ma c’è cultura”.

    Infine, Guccini conclude con una riflessione che lascia poco spazio a fraintendimenti: “C’è un lavoro intellettuale dietro certe canzoni e non voglio fare di classe A, classe B, eccetera. Però, c’è tutto un mondo diverso che dietro ‘Gloria’ non c’è. Anche se è una bella canzone, una canzone simpatica”.

    Le parole di Guccini ribadiscono il valore della narrazione e della profondità intellettuale nella musica, opponendosi alla visione più inclusiva ma forse semplicistica proposta da Jovanotti. Il dibattito è aperto: cultura alta o bassa, oppure, semplicemente, un diverso modo di intendere l’arte?

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      Musica

      Basta tormentoni: “Per Sanremo sogno una ballad”, l’aspirazione festivaliera di Baby K (audio)

      Dopo anni in cima alle classifiche con hit esplosive da spiaggia, Baby K cambia pelle. Ospite al 71° Taormina Film Fest, l’artista racconta un nuovo capitolo della sua carriera, più intimo, più cinematografico, dove il desiderio di rallentare incontra la voglia di raccontare storie diverse. “Dopo tante estati vissute al massimo, a un certo punto ho sentito il bisogno di fermarmi. È ora di fare spazio a nuove emozioni”, confessa.

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        Un desiderio che ha già preso forma con Follia mediterranea, un brano che mantiene le radici ritmiche del suo stile, ma alza l’asticella narrativa. “È una canzone che parla di libertà femminile, senza filtri e senza scuse”, dice. “Non è solo provocazione: è rivendicazione di un piacere vissuto con consapevolezza. Il divertimento non esclude la profondità”.

        Pensando alla kermesse per eccellenza

        Baby K rivendica con forza l’identità di una donna capace di dominare la scena e la narrazione, stanca però di essere incasellata nel ruolo di regina dell’estate. “L’estate si presta, certo, ma non voglio più limitarmi a quello. Sto lavorando su una ballad, sto pensando all’inverno. E, sì, sto pensando a Sanremo“. Un annuncio che sorprende, ma che lei motiva con coerenza: “Sanremo è il palco dove la musica italiana si prende il suo tempo. E io ho bisogno di tempo per raccontare una storia diversa”.

        Una musica può fare

        La riflessione si allarga poi al legame tra musica e cinema, tema centrale del Festival di Taormina. “Credo che siano due arti che si intrecciano profondamente. Un film può cambiare il modo in cui guardiamo alla vita, come fa una canzone. Mi piacerebbe provare a recitare. Ho studiato in Inghilterra, e da sempre nutro una passione per il cinema”.

        L’esempio ispiratore dell’amica Ilenia

        Tra le fonti d’ispirazione, Baby K cita l’amica Ilenia Pastorelli, protagonista in Lo chiamavano Jeeg Robot. “È stata magnifica. Vederla in quel ruolo mi ha fatto pensare: perché non provarci anche io?”. E non è solo un sogno a occhi aperti. “Non voglio improvvisare, ma se dovesse arrivare il ruolo giusto, lo prenderei molto sul serio”. La metamorfosi di Baby K è appena cominciata. Lontana dai cliché e dai tormentoni che l’hanno consacrata, l’artista sembra pronta ad affrontare nuove sfide, senza perdere il gusto per il ritmo ma con la voglia di raccontare di più, e meglio. Un inverno con Baby K? Forse ci siamo quasi.

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          Musica

          La stroncatura di Maria Elena Barnabi su Elodie divide il pubblico: noi di LaCity Mag l’avevamo preceduta!

          L’attacco frontale della collega Maria Elena Barnabi su Gente al concerto-evento di Elodie a San Siro riaccende un dibattito mai sopito: è autentica evoluzione del pop italiano o un’imitazione tardiva di Madonna? La polemica sull’“erotic pop” divide pubblico e critica: noi di LaCity Mag l’avevamo già sottolineato: la messa in scena da sola non basta. Tra mise sexy, concerti a prezzo scontato e coreografie studiate, resta una domanda scomoda: è tutto marketing o c’è ancora spazio per la musica vera?

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            Maria Elena Barnabi non le manda a dire. Sul settimanale Gente, la giornalista firma una vera e propria requisitoria contro Elodie e la sua svolta pop-erotica. Il bersaglio? Il maxi show a San Siro, evento da prima pagina in Italia, che però secondo la Barnabi si sarebbe risolto in una sequenza prevedibile di tutine, pizzi, ammiccamenti e coreografie forzate. Il titolo scelto per l’articolo è una domanda al veleno: “Ha senso provare a rifare Madonna in Italia 40 anni dopo Madonna?”.

            Dov’è la novità?

            Un’accusa esplicita: Elodie, soprannominata “la Beyoncé del Quartaccio”, secondo la giornalista insegue con troppa convinzione un modello ormai distante e irripetibile, senza aggiungere una reale novità al panorama musicale italiano.

            Lo avevamo già scritto: “Show curato, ma senz’anima”

            Non è la prima critica arrivata al live di San Siro. Su LaCity Mag, qualche giorno fa, avevamo definito l’esibizione uno spettacolo formalmente impeccabile, ma assolutamente privo di tensione emotiva reale. Secondo noi, a mancare è stata proprio l’urgenza artistica, quella forza che separa un evento curato nei dettagli da un momento davvero iconico.

            L’audience divisa in due

            E mentre Barnabi rincara la dose, parlando apertamente di “stanchezza” nei confronti del look sexy e delle hit da club, il pubblico resta spaccato: da un lato chi applaude una donna libera, autodeterminata, capace di dominare il palco con sensualità e presenza scenica; dall’altro chi sente puzza di copia, di modello importato male.

            Musica o spettacolo? Il dilemma eterno del pop italiano

            Elodie non è sola. La critica sfiora anche Dua Lipa, accusata implicitamente di offrire lo stesso tipo di intrattenimento confezionato. Ma mentre la popstar anglo-albanese gioca in Serie A mondiale, Elodie – sostiene Barnabi – resta ancora prigioniera della sua italianità. “Lei è troppo italiana per essere davvero internazionale”, scrive la giornalista, con una frase che è già diventata virale. Eppure, anche in questo caso, il nodo resta: può una donna che balla, canta e usa il corpo per comunicare essere presa sul serio in Italia? O è ancora condannata a doversi giustificare, a ogni passo di danza? La nostra risposta è… sì, può farlo, a patto di unire un’equivalente dose di talento.

            Critica feroce o paura del cambiamento?

            Elodie divide, provoca, scuote. E forse è proprio questo il segno che qualcosa si sta muovendo. Che piaccia o no, ha imposto un’estetica nuova al pop italiano, fatta di corpi, politica, femminilità fluida e potenza scenica. Ma resta la domanda, legittima e pungente: serve davvero tutto questo per fare musica? O basterebbe solo… cantare?

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              La Beatlemania è sempre viva: la lettera d’amore di un Lennon pre-mito battuta all’asta

              Il 9 luglio a Londra sarà battuta all’asta da Christie’s una rarissima lettera autografa scritta da John Lennon nel 1962 alla sua prima moglie Cynthia Powell. Tra dichiarazioni d’amore, allusioni sessuali e lamenti notturni su Paul McCartney, il documento offre uno spaccato intimo del giovane Lennon, ancora lontano dal mito ma già carico di genio e contraddizioni. Stimata tra i 35.000 e i 46.000 euro, la missiva conferma l’intramontabile fascino dei Beatles nel cuore dei collezionisti di tutto il mondo.

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                “Ti amo, per favore aspettami”: così scriveva John Lennon a soli 21 anni, in una lettera indirizzata alla sua compagna Cynthia Powell mentre si trovava ad Amburgo con i Beatles, ben prima dell’esplosione mondiale del fenomeno. Oggi quella pagina vissuta, intrisa di emozione e umanità, torna alla luce e sarà battuta all’asta il prossimo 9 luglio da Christie’s a Londra.

                Una lettera tra malinconia, ironia e desiderio

                Lennon non si limita a parole dolci: confessa a Cynthia di sentirne terribilmente la mancanza, la esorta a non essere triste, ma anche a lavorare sodo. Nello stesso tempo, fa allusioni a sfondo sessuale, con il tono irriverente e tagliente che lo avrebbe sempre contraddistinto.

                Un ricordo per il primo bassista

                Parla anche del dolore per la recente morte dell’amico Stuart Sutcliffe, il primo bassista dei Beatles, e dell’imbarazzo provato al pensiero di visitare la fidanzata di lui, Astrid Kirchherr. “Sarei troppo goffo”, scrive, lasciando emergere un lato vulnerabile spesso oscurato dall’icona ribelle. Non manca neanche l’ironia, cifra stilistica che ha sempre accompagnato l’artista in tutta la sua vita: Lennon si lamenta delle notti insonni causate dal russare incessante di Paul McCartney, che già allora divideva con lui le stanze dei tour.

                Culto senza fine: il mercato impazzisce per ogni reliquia

                La stima della lettera, tra i 35.000 e i 46.000 euro, conferma l’incredibile valore affettivo e culturale che ogni oggetto legato ai Beatles continua a generare. Non si tratta solo di memorabilia: ogni frammento, ogni parola scritta, è una tessera del puzzle di un’epoca. Il culto per i Fab Four resta vivo, alimentato da generazioni di fan e da collezionisti pronti a spendere cifre esorbitanti pur di possedere un pezzetto della leggenda. John, Paul, George e Ringo non sono più solo musicisti, ma simboli universali di creatività, rottura e rivoluzione culturale.

                Cynthia e John: amore, famiglia e addio

                Cynthia e John si sposarono pochi mesi dopo quella lettera, nell’agosto 1962. Dal loro amore nacque Julian Lennon, nell’aprile 1963. Ma il matrimonio non sopravvisse alla pressione della fama e al cambiamento di Lennon, che divorziò nel 1968 per poi sposare Yoko Ono. Tuttavia, lettere come questa restituiscono l’autenticità di un amore giovane, travolto dal vento della storia.

                L’eternità, tra carta e memoria

                Ogni inchiostro steso da Lennon sembra ancora pulsare. Questa lettera non è solo un documento privato: è una testimonianza storica, un frammento d’anima che racconta l’uomo dietro il mito. E a dimostrarlo è l’asta da Christie’s, dove anche l’amore scritto su carta può valere quanto un’opera d’arte

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