Musica
La guerra di Piero… Pelù: “Bimbi muoiono a Gaza e la Meloni parla solo di chiese colpite”
Bandiera palestinese al collo, Pelù attacca la premier: “Il nostro governo è subalterno alle lobby economiche e non ha il coraggio di opporsi all’occupazione illegale di Netanyahu. La politica non è più politica, ma serva degli interessi forti”

Piero Pelù non si limita a presentare un documentario: a Venezia si è trasformato in tribuna politica. Venerdì mattina, per l’anteprima fuori concorso di Piero Pelù. Rumore dentro, l’ex frontman dei Litfiba è arrivato con una bandiera palestinese e parole pesanti come macigni.
“La politica di oggi dimostra nella maggior parte dei casi di non essere più politica ma di essere al servizio delle lobby economiche – ha detto – ed è chiaro come anche il governo italiano non sappia opporsi in maniera chiara e netta come hanno fatto i governi spagnolo e belga contro l’occupazione illegale di Netanyahu nei territori palestinesi, che va avanti dal 1945”.
Un affondo diretto, che Pelù lega alla memoria storica: “C’è chi sta cercando di riscrivere la storia e noi non ci possiamo stare. Dai libri abbiamo letto come sono iniziati e poi degenerati regimi come fascismo, nazismo e lo stesso comunismo di Stalin”.
Poi l’attacco personale a Giorgia Meloni, accusata di indifferenza selettiva: “Oggi si vedono bambini morire di fame sotto le bombe, mentre l’unica frase della nostra premier è stata quando hanno colpito delle chiese cristiane. Una discriminazione insopportabile”.
Il rocker non si nasconde dietro il microfono, ma rivendica il suo ruolo civile: “Noi dobbiamo essere cittadini attivi e rivendico il fatto di essere prima cittadino e poi cantante. Non amo le rockstar che si chiudono nel loro mondo”.
Parole destinate a far discutere, che Pelù lega anche al senso del documentario: un autoritratto tra musica e impegno, rumore dentro e fuori dal palco.
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Musica
Alfa, dal latino copiato in bagno ai sogni di moglie e figli: «Sono single ma voglio innamorarmi»
«Ho l’immagine del bravo ragazzo che fa musica, ma è limitante», dice il 25enne che ha duettato con Vecchioni. Nel ricordo della scuola, tra versioni copiate col telefono e la nostalgia per la disciplina, spunta la voglia di futuro: amore, figli e la porta socchiusa per il Festival.

Dall’aula di liceo con il telefono nascosto in bagno fino ai palchi più ambiti della musica italiana. Alfa, 25 anni compiuti da poco, non perde la voglia di raccontarsi senza filtri. Al Corriere della Sera ha ammesso: «Sono single, ma mi piacerebbe un sacco innamorarmi. Vorrei avere una moglie e dei figli. Sanremo? Non credo. Ora quando fai la canzone dell’estate automaticamente devi andare a vincere il Festival, ma sono stanco e non vorrei forzare. Però se mi capita la canzone giusta è chiaro che tengo la porta aperta».
L’artista, protagonista di questa estate musicale, aveva già calcato il palco dell’Ariston nella serata delle cover insieme al suo idolo Roberto Vecchioni, con cui ha reinterpretato Sogna, ragazzo, sogna. E proprio Vecchioni torna nel suo racconto di studente modello: «Andavo bene in tutte le materie, forse solo il latino non mi piaceva tanto. Però copiavo: lasciavamo il telefono in bagno per vedere le versioni».
Alfa ammette di avere ancora un conto aperto con la scuola: «Ho questa immagine di bravo ragazzo… Ne sono orgoglioso ma anche un po’ no, perché temo a volte di essere percepito come bidimensionale, come “il bravo ragazzo che fa musica”. Probabilmente non l’ho ancora dimostrato, ma toccherà alle mie canzoni future».
E non nasconde una certa nostalgia: «Mi manca la ritualità scolastica. Da un po’ di tempo patisco il fatto di aver abbandonato l’università per il successo: ho mantenuto i contatti con i miei compagni ma le nostre vite sono molto diverse. Nel mio piccolo cerco di leggere il più possibile. Per scrivere l’ultimo album ho letto Fromm, Crepet, persino il Simposio di Platone che al liceo mi era sembrato noioso».
Un ragazzo sospeso tra passato e futuro, con i piedi piantati nei ricordi della scuola e lo sguardo verso un domani che immagina fatto di musica, amore e famiglia. «Ai ragazzi dico: godetevi gli anni dell’istruzione, perché entrare nel mondo del lavoro non sarà per niente facile».
Musica
Bertè, che cachet: 78mila euro per il concerto a Civita Castellana, scoppia la bufera
Per i sette giorni di festa il comune spende 122mila euro, di cui 99mila solo per la serata di Loredana Bertè. Il contratto con una neonata società di Frosinone alimenta dubbi e polemiche, anche tra le fila della Lega

Sette giorni di festa, dal 14 al 21 settembre, per onorare i santi patroni Marciano e Giovanni. Ma a Civita Castellana, in provincia di Viterbo, a far discutere non sono i fuochi d’artificio o le luminarie, bensì il cachet di Loredana Bertè. Per vederla sul palco di piazza Matteotti sabato 20 settembre, il comune ha sborsato 78.840 euro, a cui si sommano le spese per il montaggio e i diritti Siae: il totale supera i 99mila euro.
Il sindaco Luca Giampieri, di centrodestra, ha pubblicato il contratto nell’albo pretorio. Una mossa di trasparenza che però ha innescato la polemica, arrivata fino al consiglio comunale. La Lega, parte della maggioranza, ha storto il naso: per una città di 15mila abitanti, investire quasi 100mila euro in un solo concerto appare a molti eccessivo, nonostante le entrate garantite dal turismo.
A rendere la vicenda ancora più controversa è il nome della società che ha portato la Bertè a Civita Castellana: Pool Music Agency srls, con sede a Ripi, nel frusinate. Una realtà appena nata, fondata il 3 luglio scorso con un capitale sociale di 2mila euro e gestita dai due soci Andrea Pullo e Maria Cerilli. Quest’ultima, amministratrice unica, ha proposto al comune il concerto della cantante, fissando una performance minima di 100 minuti.
La somma totale destinata alla festa patronale ammonta a circa 122mila euro, ma il dato che resta impresso è uno solo: quasi l’intero budget concentrato in un’unica serata. Il concerto della Bertè promette applausi e piazza piena, ma intanto la politica locale si divide tra entusiasmo e accuse di spreco.
Musica
Roger Waters attacca Ozzy Osbourne, il figlio Jack replica: “Mio padre aveva ragione, sei sempre stato uno stronzo”
In un’intervista a The Independent UK, Waters ha definito irrilevante il rocker morto lo scorso 22 luglio. Jack Osbourne ha replicato su Instagram con parole durissime, accusandolo di cercare visibilità insultando suo padre. Il botta e risposta accende il dibattito sull’eredità del “Prince of Darkness”.

Uno scontro frontale tra icone, o meglio, tra eredità musicali che non si incontreranno mai. A pochi giorni dalla morte di Ozzy Osbourne, scomparso il 22 luglio, Roger Waters ha deciso di esprimere un giudizio senza appello sul “Prince of Darkness”. Intervistato da The Independent UK, l’ex Pink Floyd ha liquidato il cantante dei Black Sabbath con poche, caustiche parole: «Ozzy Osbourne, che è appena morto, che Dio lo benedica nello stato in cui è stato per tutta la sua vita. Non lo sapremo mai. La musica, non ne ho idea. Non me ne frega un cazzo».
Waters ha rincarato la dose, dichiarando: «Non mi interessa dei Black Sabbath, non mi sono mai interessati. Non ho alcun interesse a mordere teste di polli o qualunque cosa facciano. Non me ne può fregare di meno». Un’affermazione che ha ferito i fan e che non poteva restare senza replica.
A rispondere ci ha pensato Jack Osbourne, figlio di Ozzy, che su Instagram ha pubblicato un messaggio infuocato: «Hey Roger Waters, vaffan… L’unico modo in cui sembri ottenere attenzione, ormai, è vomitando stronzate sulla stampa. Mio padre ha sempre pensato che fossi uno stronzo, grazie per averglielo confermato».
Parole dure, che hanno subito acceso il dibattito sui social. Da un lato, i sostenitori dei Pink Floyd hanno difeso la libertà di Waters di esprimere un giudizio personale. Dall’altro, i fan di Osbourne hanno visto nell’intervista un gesto gratuito e irrispettoso nei confronti di una leggenda appena scomparsa.
Per i critici musicali, lo scontro riflette due mondi inconciliabili: l’universo psichedelico e concettuale dei Pink Floyd e l’estetica cupa e teatrale dell’heavy metal dei Black Sabbath. Ciò che appare certo è che la figura di Ozzy, a dispetto delle critiche, resta centrale nell’immaginario rock, tanto che anche una polemica postuma è bastata a rimetterlo al centro del dibattito.
Jack, con la sua replica, ha trasformato lo sgarbo in un affare familiare e mediatico. Perché nell’universo metal, la difesa dell’onore conta tanto quanto un riff immortale.
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