Musica
Priscilla Presley racconta l’ombra di Elvis: “Voleva uccidere il mio amante per vendetta”
Tra le pagine di Softly, As I Leave You: Life After Elvis, Priscilla Presley ricorda la relazione extraconiugale con l’istruttore di karate Mike Stone e la furia di Elvis, deciso a ingaggiare un sicario per eliminarlo. Confessa anche di aver subito un rapporto imposto dal marito, segno della sua fragilità emotiva.

Priscilla Presley torna a raccontare la sua vita accanto a Elvis, e lo fa con rivelazioni che gettano una luce cruda sul lato più oscuro del Re del Rock. Nel libro di memorie Softly, As I Leave You: Life After Elvis, in uscita a breve, l’ex moglie rivela di aver avuto una relazione extraconiugale con il suo istruttore di karate, Mike Stone, e di come questa vicenda abbia scatenato la rabbia cieca di Elvis.





“Nelle settimane successive alla mia partenza, disse ai ragazzi che Mike doveva morire. Chiese persino a Joe Esposito di trovare un sicario”, racconta Priscilla, facendo riferimento al road manager e storico membro della cosiddetta Memphis Mafia. Una confessione che mostra quanto l’idolo delle folle fosse incapace di accettare il tradimento, soprattutto se a compierlo era la donna che aveva sempre considerato la sua compagna ideale.
La relazione con Stone era nata quasi per paradosso. Priscilla aveva iniziato a prendere lezioni di karate proprio per impressionare Elvis, dopo aver scoperto i suoi continui tradimenti. “Finalmente avevo la prova scritta di ciò che avevo sempre temuto”, ricorda, riferendosi alle lettere trovate nella loro cassetta della posta. “Ero profondamente ferita, ma ero anche furiosa. Se Elvis aveva delle relazioni che non erano affari miei, allora non erano affari suoi quello che facevo io.”
Il legame con Mike, inizialmente una profonda amicizia, si trasformò presto in qualcosa di più. La notizia arrivò alle orecchie di Elvis, che reagì con violenza emotiva e fisica. “Quando Elvis venne a sapere della relazione, aveva fatto sesso con me con forza. Non era quello il motivo per cui decisi di andarmene, ma fu doloroso”, scrive Priscilla. Non parla di violenza in senso penale, ma di un gesto di rabbia e fragilità maschile. “Elvis si era sentito evirato. Aveva bisogno di dimostrare a se stesso e a me che sapeva fare l’amore come un vero uomo.”
Il matrimonio era ormai logorato da tradimenti reciproci e da un entourage invadente che trasformava la loro casa in un teatro continuo. “Andavano a trovare Elvis a casa nei fine settimana, quando lui se ne andava, ed era un’altra vita. Poi tornava da noi, meraviglioso e felice. Era ancora un buon marito, ma eravamo semplicemente troppi”, racconta Priscilla.
La decisione di chiedere il divorzio, nel 1972, non derivò da un singolo episodio, ma da un accumulo di fratture insanabili. “Non me ne sono andata a causa di Mike Stone. E non me ne sono andata perché Elvis si era imposto su di me quando aveva scoperto di Mike. Non l’aveva fatto. Ma la sua solita tenerezza era sparita, e restò solo un ricordo emotivamente doloroso della nostra ultima intimità.”
Parole che restituiscono l’immagine di un matrimonio divorato dalle insicurezze e dalle ossessioni, lontano dalla favola che milioni di fan avrebbero voluto credere.
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Musica
“Chi non ha un blues per Gaza ha un buco nell’anima”: Zucchero compie 70 anni e si racconta tra musica, ferite e coraggio
Zucchero Sugar Fornaciari compie 70 anni e non smette di graffiare. Dal bullismo subito da bambino alla fatica dei primi Sanremo, dalle depressioni dopo la separazione al successo planetario con “Oro incenso e birra”. Oggi torna a cantare “Donne”, mostra la bandiera palestinese e dice: “Io soffro per Gaza, non puoi fare finta di nulla. Ho chiesto di fare un Live Aid, ma agli artisti consigliano di starne fuori”.

Settant’anni, e il blues ancora addosso. Zucchero ride: «Se non ho una serata in cui suonare, allora festeggio il compleanno». Domani, invece, l’appuntamento è all’Arena di Verona, uno dei dodici concerti della stagione, e forse sul palco arriverà pure una torta a sorpresa. Ma la vera festa resta sempre la musica: «Sto meglio lì che ovunque».
Nato a Roncocesi, cresciuto tra la parrocchia e la cooperativa del Pci, già da bambino aveva imparato a non farsi incasellare: «Mi definirei anarchico». A undici anni lo sradicamento, con il trasloco a Forte dei Marmi. «Magrolino, educato, con un accento diverso, ero il bersaglio perfetto. Dicevano che ero gay, mi facevano scherzi. Finì quando al capo banda recapitai una lettera con la firma falsa di mio padre: minacce di denuncia ai Carabinieri».
Gli inizi furono faticosi: prime band, serate infinite nelle balere, un mutuo pagato con le canzoni vendute a Fred Bongusto. Poi Sanremo, le bocciature, e nel 1985 la canzone “Donne”: penultimo in classifica, ma trionfo radiofonico. «Quel dududu non mi andava, per anni non l’ho cantata. Ora con organo e voce l’ho riscoperta: è poetica».
La carriera esplode a fine anni ’80 con “Blue’s” e “Oro incenso e birra”. Arrivano Clapton, Sting, Bono, Pavarotti. Ma mentre Zucchero spopolava, Adelmo Fornaciari crollava: la separazione, la depressione, gli attacchi di panico. «Piangevo, stavo come un cane. Ne sono uscito con qualche Prozac e la ristrutturazione di un vecchio mulino a Pontremoli».
Oggi Zucchero è sereno, accanto alla compagna Francesca e ai tre figli. Ma non dimentica Gaza. Sul palco mostra la bandiera palestinese con la scritta: “Chi non ha un blues per Gaza ha un buco nell’anima”. «Non puoi cantare e far finta di nulla. Io soffro. Ho chiesto a un manager americano di organizzare un Live Aid, ma mi ha detto che agli artisti conviene starne fuori».
Settant’anni e ancora la voce ruvida di chi ha vissuto molto. Un blues che non si spegne.
Musica
Renato Zero e Loredana Bertè, la pace dopo anni: la tv prepara l’assalto per la reunion più attesa

Ci sono amicizie che resistono al tempo, altre che si consumano in silenzi e incomprensioni. Poi ci sono i rapporti destinati a tornare, magari all’improvviso, quando nessuno ci crede più. È il caso di Renato Zero e Loredana Bertè, due icone della musica italiana che hanno attraversato decenni di successi, trasgressioni e polemiche. Dopo anni di distanza, la pace sembra finalmente arrivata: il gelo tra i due è stato sciolto da un riavvicinamento tanto inaspettato quanto clamoroso.











Ora, inevitabilmente, il mondo della televisione fiuta l’occasione. I grandi show Rai hanno già acceso i riflettori, così come i titoli di punta di Mediaset. E persino l’Ariston si starebbe muovendo per capire se la coppia di amici ritrovati possa essere la carta vincente del prossimo Festival di Sanremo. Perché Zero e Bertè insieme significano storia, spettacolo, energia pura.
Negli anni Settanta e Ottanta hanno rappresentato due anime parallele: lui, il trasformista capace di reinventarsi ad ogni passo; lei, la rocker indomabile, voce graffiata e corpo che raccontava le ferite della vita. Le loro carriere si sono incrociate più volte, tra collaborazioni, confidenze e qualche scontro che aveva lasciato strascichi. Oggi, però, la stagione delle rivalità sembra archiviata.
La reunion, se davvero arriverà, non sarà soltanto un momento televisivo, ma un evento culturale. Una generazione intera potrebbe rivivere i fasti di due protagonisti che hanno segnato un’epoca, mentre i più giovani avrebbero l’occasione di scoprire la forza di artisti che non hanno mai smesso di reinventarsi.
Renato Zero e Loredana Bertè non hanno ancora confermato nulla, ma le indiscrezioni parlano chiaro: ci sarebbero contatti in corso, inviti ufficiali e trattative serrate. Il pubblico, intanto, già sogna. Perché certe coppie non tramontano mai, e quando si ritrovano, il palcoscenico non basta più: diventa un altare.
Musica
Paola Iezzi premiata al Mix Festival: il riconoscimento More Love per il suo impegno a favore dei diritti LGBTQIA+
Paola Iezzi è stata insignita del More Love Award al Mix Festival di Milano. Il riconoscimento, consegnato al Piccolo Teatro Strehler, celebra chi si è distinto nella lotta contro le discriminazioni e per la difesa dei diritti LGBTQIA+. «Più amore, questo è quello di cui davvero abbiamo bisogno», ha detto l’artista sul palco.

Un riconoscimento che porta con sé un titolo emblematico: More Love. A riceverlo, nella cornice del Piccolo Teatro Strehler di Milano, è stata Paola Iezzi. Protagonista della musica italiana e da anni punto di riferimento per la comunità LGBTQIA+. La cerimonia si è svolta nel corso della 39ª edizione del Mix Festival. Manifestazione che unisce cinema, arti visive e musica all’insegna dell’inclusione e della diversità.
Il premio viene attribuito a chi ha saputo distinguersi nella lotta contro le discriminazioni e nella promozione dei diritti civili. La scelta di Paola Iezzi non è casuale. La cantante, con coerenza e costanza, ha sempre manifestato vicinanza alla comunità, non come gesto di facciata ma come parte integrante della sua identità.
«Essere parte della comunità per me è sempre stato uno stato naturale – ha dichiarato dal palco, emozionata –. Avere ricevuto questo riconoscimento vale ancora di più. Ringrazio tutte le persone che rendono possibile questo evento culturale così importante. Più amore: questo è quello di cui davvero abbiamo bisogno».
Parole che hanno strappato un applauso lungo e sentito da parte del pubblico, composto da spettatori, artisti e attivisti. Perché More Love non è solo un premio, ma un messaggio politico e culturale: in un’epoca segnata da contrasti e divisioni, celebra chi sceglie la via della vicinanza e della solidarietà.
Il Mix Festival, nato negli anni Ottanta e cresciuto fino a diventare un appuntamento internazionale, ha sempre mantenuto la sua anima militante. Accanto alle proiezioni di film e documentari, alle mostre e agli incontri, ha saputo dare voce a battaglie che hanno ancora bisogno di essere portate avanti. Quest’anno, l’assegnazione del riconoscimento a Paola Iezzi conferma il legame indissolubile tra musica e diritti civili.
La stessa artista, nel suo discorso, ha sottolineato come la visibilità sia fondamentale: «Non basta dire di credere nell’amore universale, bisogna sostenerlo nei fatti, nelle scelte quotidiane».
Un invito che risuona forte, perché se è vero che molto è stato conquistato, è altrettanto vero che restano ancora tante barriere da abbattere. E la musica, ancora una volta, si conferma un potente megafono per farlo.
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