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Musica

“Self Control” a teatro: il viaggio di Raf tra emozioni e suoni anni ’80

Il tour teatrale di Raf celebra i 40 anni di Self Control e riaccende l’amore per le sonorità anni ’80. Un’occasione per riflettere sul cambiamento dell’industria musicale e sull’evoluzione del ruolo dell’artista.

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    Dopo il successo nei club, Raf riporta sul palco Self Control 40th Anniversary, uno spettacolo che approda ora nei teatri italiani, con la data zero fissata il 23 maggio 2025 al Teatro degli Arcimboldi di Milano. Più che un concerto nostalgico, è un’esperienza viva e attuale, che mette al centro l’emozione della musica.

    “Dal vivo non c’è nulla di nostalgico – racconta Raf, all’anagrafe Raffaele Riefoli – perché oggi più che mai si sente il bisogno di tornare a quelle sonorità autentiche, che sapevano emozionare con contenuti veri”. Il pubblico di oggi, anche i trentenni, riscopre gli anni ’80 non per rimpianto, ma per desiderio di autenticità.

    L’eredità degli anni ’80 tra suono e memoria

    Per Raf, gli anni ’80 rappresentano molto più che un decennio musicale: sono un patrimonio culturale che resiste al tempo. “Abbiamo vissuto un periodo straordinario. Non solo musicalmente, ma anche storicamente: la caduta del Muro di Berlino, i primi sintetizzatori, l’equilibrio tra tecnologia e analogico. Era tutto più affascinante, più vero”.

    La musica di quel tempo, spiega il cantautore, continua a parlare a nuove generazioni perché nasceva da un mondo meno filtrato dai social e dagli algoritmi. “Oggi è tutto più veloce, più effimero. Si produce per i trend, non per lasciare un segno”.

    Una canzone che rappresenta un’epoca irripetibile

    Il brano, scritto dall’indimenticabile autore e produttore Giancarlo Bigazzi (musica) e Steve Piccolo (testo) insieme allo stesso Raf, arrangiato da Celso Valli, ebbe uno straordinario successo in tutto il mondo diventando uno dei brani italo disco più famosi di sempre. Insieme con la cover di Laura Branigan, il singolo vendette più di 20 milioni di copie in tutto il mondo. Ricorda l’artista: “Arrivai a Firenze a 17 anni, ero uno studente del Liceo artistico Porta Romana. Dopo il diploma mi iscrissi alla facoltà di architettura ma non mi sono mai laureato. La musica ha preso il sopravvento. Il suo undergrond culturale che Firenze offriva a quel tempo era molto frizzante. Tramite il proprietario di un negozio di musica che frequentavo iniziai a collaborare con Bigazzi. Lavoravamo nell’ombra, oggi ci chiamerebbero producer, su pezzi di ogni tipo, soprattutto per altri cantanti”.

    Così nacque Self Control

    Prosegue a raccontare Raf: “Bigazzi mi convinse a cantarla, era uno dei tanti pezzi italodisco prodotti. Lo aveva fatto ascoltare al produttore di Laura Branigan, il brano era piaciuto e lei lo avrebbe lanciato nel giro di poco tempo. Bigazzi mi fece prendere una licenza, all’epoca ero militare, e la incidemmo per primi. Non l’avrei mai detto ma ci esplose in mano. Un pezzo italodance, certo, ma con elementi di novità, per esempio il rock del riff che lo introduce”.

    L’artista oggi: tra performance e algoritmi

    Raf sottolinea quanto sia cambiata oggi la figura dell’artista. “Negli anni ’80 aveva senso fare un album, raccontare qualcosa di completo. Oggi si pensa solo al singolo virale. Anche chi scrive è condizionato: bisogna performare, non emozionare”. Il sistema attuale, dominato da piattaforme e intelligenze artificiali, impone ritmi che penalizzano la creatività. “Tutto si ascolta in modalità TikTok. Melodie veloci, nessun tempo per la riflessione. È un circolo vizioso che allontana dalla vera musica”.

    Un ritorno al cuore della musica

    Il tour teatrale di Raf non è solo un omaggio a Self Control, ma un invito a riscoprire la musica come esperienza emotiva e collettiva. “La gente ha fame di autenticità. Vuole concerti che parlino al cuore, non solo allo scroll”. E forse proprio da quel passato così ricco di emozioni può ripartire una nuova era musicale, più umana e meno digitale.

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      Musica

      Fiorello lancia Giorgia verso Sanremo 2027: nasce in diretta il sogno di un Festival “utopistico” che fa impazzire già i social

      Durante una chiacchierata in diretta, Fiorello propone a Giorgia di prendere in mano la direzione artistica di Sanremo 2027. Lei scherza, lui rilancia, e tra battute e mezze promesse il pubblico intravede l’ipotesi di un Festival completamente diverso, “utopistico”, come lo definisce la cantante. Una suggestione che potrebbe trasformarsi in qualcosa di più.

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        Sanremo non dorme mai, nemmeno quando il prossimo Festival è ancora lontano. E così basta un botta e risposta tra Fiorello e Giorgia per scatenare un turbine di ipotesi, meme e sogni collettivi. Tutto nasce da un’idea buttata lì con l’entusiasmo che solo Fiore può permettersi: Giorgia direttrice artistica di Sanremo 2027. Una suggestione che accende immediatamente la fantasia del pubblico.

        Il momento in cui nasce il “Sanremo utopistico”
        Giorgia, col suo stile elegante e autoironico, prende la palla al balzo: «Tu ci saresti? Quando parli di questo Sanremo ipotetico, impossibile, utopistico…». Una risposta che non chiude, anzi apre. Perché invece di liquidare l’idea, la cantante ci gioca, la rigira, la rende improvvisamente plausibile. È un attimo e la rete impazzisce.

        Fiorello rilancia e spiazza tutti
        La replica dello showman è immediata: «Ne parliamo, Giorgia. Se ci sei tu magari mi viene lo sghiribizzo». È la frase che sposta l’asticella: non è più una battuta, non è più una fantasia dei fan. È un “chissà”. È un “forse”. Ed è abbastanza perché la macchina del Festival inizi simbolicamente a muoversi, come fosse già quasi gennaio.

        Perché la proposta ha fatto breccia
        L’idea funziona perché mette insieme due mondi che il pubblico ama: l’autorevolezza musicale di Giorgia e la follia creativa di Fiorello. Un Sanremo guidato da una delle voci più iconiche della musica italiana avrebbe un profilo totalmente nuovo, più tecnico, più emozionale. E con Fiore che entra in scena “a sghiribizzi”, il potenziale di spettacolo sarebbe altissimo.

        Il sogno collettivo dei fan
        Per ora, ovviamente, è solo una chiacchiera. Un gioco. Ma a Sanremo i giochi, a volte, diventano realtà molto più in fretta del previsto. E l’idea di un’edizione utopistica firmata Giorgia ha già acceso un entusiasmo che nessun comunicato ufficiale potrebbe generare. Basta un lampo, un dialogo leggero, e il 2027 sembra già dietro l’angolo.

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          Musica

          Sanremo, il paradosso degli esclusi: il cast che avrebbe fatto esplodere il Festival è rimasto fuori dalla porta dell’Ariston

          Ogni anno il totonomi scatena il pubblico, ma questa volta la sensazione è più netta: il Festival avrebbe potuto avere un cast alternativo potentissimo, fatto proprio di chi non è stato selezionato. Voci consolidate, talenti pop, cantautori generazionali e outsider di qualità: il paradosso degli esclusi apre un vero dibattito sulla direzione artistica.

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            Sanremo ha un suo rito crudele: la lista degli esclusi. Quest’anno, però, quel parterre di nomi sembra una lineup da Festival vero, capace di muovere pubblico, streaming e narrazioni. Anna Tatangelo, Alex Britti, Nina Zilli, Mr. Rain, Carl Brave, Fred De Palma, Frah Quintale, Il Tre, Chiara Galiazzo, Benji & Fede, Venerus, Aiello, Amara, Emma Nolde, La Niña, California, Sarah Toscano: un elenco che, messo insieme, somiglia più a una compilation di hit potenziali che a un cestino dei rifiuti.

            La forza commerciale (e pop) degli esclusi

            Basta leggere i nomi per capire il peso specifico del gruppo. Mr. Rain è reduce da classifiche e sold-out, Carl Brave ha modellato il pop contemporaneo, Frah Quintale è un riferimento generazionale. Fred De Palma domina le estati italiane, mentre Nina Zilli e Alex Britti restano voci riconoscibili che il Festival ha sempre saputo valorizzare. Persino la parte “emergente” spinge forte: Venerus, Amara, Emma Nolde e La Niña rappresentano ciò che la nuova musica italiana sta diventando. In termini puramente musicali, il cast alternativo regge — e talvolta batte — quello ufficiale.

            Una domanda inevitabile: perché lasciarli fuori?

            Le logiche del Festival restano complesse: equilibri di generi, quote televisive, esigenze narrative, disponibilità di ospiti e promozioni discografiche. Eppure la sensazione è che questa volta l’Ariston abbia perso un’occasione. Un cast “giovane ma non troppo”, pop ma anche d’autore, mainstream ma con un’anima, avrebbe potuto intercettare un pubblico trasversale. Il rischio, invece, è che a vincere sia la prevedibilità. E che gli esclusi, uniti senza volerlo, diventino la prova che Sanremo non sempre fotografa il meglio della musica italiana, ma ciò che al momento conviene mostrare.

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              X Factor esplode: Gabbani contro Achille Lauro, lite feroce in semifinale. E Jake La Furia lo avverte: “Mi dovete tenere stasera, Lauro è un mestierante!”

              La semifinale si trasforma in un ring: Gabbani difende i suoi concorrenti, Lauro lo punzecchia senza sosta, Giorgia tenta la pace e Jake La Furia smorza i toni come un guru zen del rap. Intanto i fan si chiedono: è scontro vero o strategia per incendiare la finale?

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                La ricetta per una semifinale esplosiva c’è tutta: un talent infuocato, due giudici agli antipodi e una finale che incombe. E così X Factor, alla vigilia dell’ultimo atto a Napoli, ha servito la sua porzione più piccante dell’anno. Il botto arriva giovedì, durante una puntata nata per celebrare i concorrenti e finita per certificare il gelo tra Francesco Gabbani e Achille Lauro.

                La scintilla si accende già con la prima esibizione del team Gabbani. Tellynonpiangere, poi eliminato, si trova in mezzo a un fuoco incrociato: Lauro lo definisce “non al livello degli altri”, aggiungendo che “non sorprende”. Gabbani ribatte: “Per fortuna il pubblico non la vede come te”. La risposta di Lauro è un colpo secco: “Io non cerco consenso, ho un cervello, penso, parlo”. Il ragazzo commenta uscendo di scena: “Mi sembrava di essere tra due genitori che litigano”.

                È solo l’antipasto.

                Lo scontro vero arriva con PierC, la punta di diamante di Gabbani e tra i quattro finalisti. Lauro gli ricorda che l’inedito è stato meno ascoltato del previsto e, dopo una Bohemian Rhapsody intensa e un po’ scoordinata, gli sussurra un velenoso: “Evita i saltelli”. Gabbani esplode: “Non hai più argomentazioni. PierC, non permettere a nessuno di dirti di non fare ciò che senti”. Lauro lo deride: “Addirittura! Non fare un saltello… era un consiglio. Non sarà che sei troppo dentro la gara?”.

                Lo studio si accende. Giorgia prova a riportare tutti sulla terra: “Che palle questo testosterone, basta litigare”. Ma il clima resta teso, e PierC scoppia in lacrime.

                Poi spunta il fuorionda. Jake La Furia — la voce che non ti aspetti — prende da parte Gabbani e gli offre la spiegazione più onesta della serata: “Mi dovete tenere stasera. Ascoltami, Lauro è un mestierante. Tu ci stai andando a finire dentro. Sbattitene, ci sono già passato”.

                Una frase che fotografa l’atmosfera di un gruppo che, quest’anno, ha dovuto digerire dinamiche nuove. Gabbani, con la sua energia bonaria, ha spostato equilibri consolidati; Lauro, con il suo stile da guastatore elegante, sembra godere nello punzecchiarlo; Jake fa da paciere, Giorgia da madre spirituale del format.

                Il risultato? Una semifinale memorabile e un interrogativo che rimbalza ovunque: odio vero o strategia perfetta a poche ore dalla finale?

                Stasera la risposta potrebbe arrivare direttamente dal palco.

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