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Musica

Pooh, tira più una loro canzone che un carro di buoi…

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    Hanno un bel da fare le nuove leve della musica nazionale… se ad ogni comunicato di questi quattro attempati signori si smuovono orde di fan e le loro apparizioni in tv fanno il picco di ascolti! I Pooh sono più che mai sulla cresta dell’onda…

    Tira più una loro canzone che un carro di buoi…

    A Domenica In, nell’ultima puntata di questa stagione, è apparso un Roby Facchinetti in ottima forma che – manco a farlo apposta – ha registrato uno share di tutto rispetto. L’occasione era quella di presentare il suo libro Che spettacolo è la vita. Alla Venier ha anche raccontato qualche dettaglio sulla festa per i suoi 80 anni (allestita il mese scorso): «Il primo maggio ho compiuto 80 anni e il giorno del mio compleanno ho festeggiato con la mia famiglia e i miei amici più cari in Franciacorta, è stato bellissimo. Io sono cresciuto in una famiglia numerosa e si facevano sempre queste grandi tavolate, quindi sono diventato grande un po’ con questa cosa che ci si riuniva tutti a tavola».

    4 chiacchiere con Roby

    Roby, in un clima disteso e sottilmente nostalgico (quando è stato citato Stefano D’Orazio, il batterista scomparso nel 2020), ha raccontato un po’ della sua vita, la stessa che si trova fra le pagine del suo libro: «Il mio vero nome è Camillo e il romanzo inizia proprio con questo. Io sono una persona molto riservata ma quest’anno ho avuto il desiderio di fare qualcosa di diverso e cioè raccontare la mia vita in un libro. Ad esempio, la mia infanzia non la conosce nessuno e nemmeno tanti particolari della mia vita cominciando da quando ero piccolo fino a oggi ma anche quando parlo dei Pooh lo faccio in un modo più intimo. Ho cercato di raccontare come ho vissuto le cose belle e quelle meno belle».

    Pooh: per sempre insieme

    Più volte si è parlato di un concerto d’addio della longeva band… ma poi la forza del palco ha prevalso. Anche questa estate li vedremo in lungo e in largo in giro, coinvolti in un percorso molto suggestivo, che toccherà alcune località estremamente iconiche. Da Caracalla con le sue famosissime Terme alla Puglia di Ostuni, transitando per Pompei, Piazza San Marco a Venezia e altre location di pregio.

    La prova generale di Termoli fissata per l’8 giugno

    Una sorta di “Grand Tour” live che la band si appresta ad offrire al suo fedelissimo pubblico per l’estate, proseguono il tour cominciato con due date evento negli stadi lo scorso anno. Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Red Canzian e Riccardo Fogli si stanno, preparando a una stagione ricca di impegni. Primo obiettivo la “data zero” di Termoli prevista per il prossimo 8 giugno: una sorta di prova generale per rodare i motori. Anche se l’esperienza di questi professionisti della musica li rende in grado di affrontare con tranquillità ogni prova, anche la più complessa. Basta ammirarli sul palco per capire che la voglia di suonare è lontana dall’essersi esaurita.

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      Musica

      Sabrina Salerno: «Ho venduto la mia fisicità, era marketing. Il tumore mi ha resa più cinica»

      Dagli esordi sfrontati con Cecchetto al boom di Boys boys boys, Sabrina Salerno oggi ha 57 anni e parla con lucidità di sé. «Non ho il fuoco sacro della musica, ma ho saputo usare quello che avevo. E oggi, dopo un tumore, ho capito quanto conti il corpo. E quanto pesa essere sempre “quella bomba sexy”».

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        A 17 anni era, parole sue, «una stronzetta presuntuosa». Oggi ne ha 57, un passato da icona sexy e un presente fatto di consapevolezza e cicatrici. Sabrina Salerno si racconta nel modo più diretto possibile: senza veli, ma stavolta non sul palco, bensì nell’anima.

        «Avevo un’autostima pazzesca. A un giornalista che mi chiese se sarei mai arrivata al successo come una certa star, risposi: “Ne avrò il triplo”». E in effetti, con Sexy Girl prima e Boys boys boys poi, il successo arrivò. Ma Sabrina non si è mai illusa di essere un’artista “sacra”: «Il successo è arrivato in maniera casuale. Non sono De Gregori. Magari sarei stata più felice a fare il medico».

        Fin da adolescente, il suo corpo è stato bersaglio di attenzione e giudizi. «A 12 anni nascondevo il seno con le braccia. Poi ho capito che lo sguardo degli uomini era sessuale. All’inizio faticavo ad accettarlo, poi l’ho trasformato in un’arma: ho venduto la mia fisicità, è stato marketing».

        Un marketing che ha pagato, ma a caro prezzo. «Più sei bella ed esponi il corpo, più devi dimostrare di valere. Gli uomini non ricevono lo stesso trattamento. Nessuno va a criticare Brad Pitt sotto i post». E su Elodie: «Ha talento. Ma si spoglia, quindi va attaccata. Sono solo scuse per aggredire le donne».

        Nonostante l’immagine da sex symbol, Sabrina si descrive come riservata, empatica, con un forte senso della famiglia. E anche pudica: «Ho respinto tanti corteggiatori, anche star mondiali. Ma non dirò mai chi sono, non sopporto chi va in giro a raccontare i fatti suoi».

        Quanto al corpo, è tutto vero. «Non mi sono mai rifatta il seno. Se lo avessi fatto lo direi. Sono favorevole alla chirurgia, ma se migliora, non se trasforma».

        E poi c’è il tumore, la parte più dura. «Seguo terapie da cinque anni, prendo una pastiglia che ha tutti gli effetti collaterali possibili. Ma vado in palestra ogni giorno. L’esercizio fisico è la mia medicina». E conclude: «Mi ha cambiata. Sono diventata più cinica. Non sono migliorata».

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          Musica

          Lucio Corsi vince tutto alle Targhe Tenco: miglior album, miglior canzone e un sogno chiamato “d’autore”

          Lucio Corsi si aggiudica le due Targhe Tenco più prestigiose: miglior album in assoluto e miglior canzone con Volevo essere un duro. Premi anche a La Niña, Anna Castiglia, Ginevra Di Marco e Caroline Pagani. La consegna dal 23 al 25 ottobre all’Ariston.

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            Il 2025 è decisamente l’anno di Lucio Corsi. Dopo il successo a Sanremo e all’Eurovision, il cantautore toscano si prende anche le Targhe Tenco, vincendo le due categorie più ambite: miglior album in assoluto e miglior canzone singola, entrambe con Volevo essere un duro, brano manifesto del suo stile eclettico e poetico. Un riconoscimento che lo consacra come nuova voce di riferimento nella canzone d’autore italiana.

            «Sono onorato, grazie mille. Sogno un futuro in cui questa rassegna abbia la stessa visibilità del festival di Sanremo», ha scritto Corsi sui suoi social. E non è solo una frase di circostanza: da sempre il cantautore guarda alla musica d’autore come a una missione, più che a un mestiere.

            I premi sono stati assegnati da una giuria di 241 esperti tra giornalisti, critici musicali, autori e operatori del settore. Una comunità trasversale che ogni anno riconosce le voci più significative del panorama cantautorale.

            Tra i vincitori anche La Niña, con Furèsta, miglior album in dialetto: «Forse è merito della lingua in cui il disco è nato — quel napoletano che porta addosso il suono di tutto il Mediterraneo», ha scritto, dedicando il premio al suo pubblico.

            La Targa per l’opera prima va ad Anna Castiglia con Mi piace, mentre Ginevra Di Marco conquista la sezione interpreti con Kaleidoscope, un lavoro che attraversa sonorità e culture con la sua voce unica. Il miglior album a progetto è Pagani per Pagani, prodotto da Caroline Pagani, omaggio delicato e colto a Nino Pagani.

            Le Targhe saranno consegnate durante il Premio Tenco, in programma dal 23 al 25 ottobre al Teatro Ariston di Sanremo. Sarà, come ogni anno, l’occasione per celebrare la musica che non rincorre le mode, ma racconta il mondo con parole pensate e suoni veri.

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              Massimo Ranieri e l’infanzia al Pallonetto: «Mamma ci lavava nella bagnarola. Non sapevo nuotare, dal ponte mi ci buttavano»

              Lontano dal palcoscenico e dai riflettori, Massimo Ranieri ricorda l’infanzia difficile a Napoli, tra fame, dignità e improvvisati concerti con il mare come platea: «Cantavo per bisogno, per fame. Mi mettevano sul ponte, io non sapevo nuotare»

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                Massimo Ranieri, al secolo Giovanni Calone, torna a parlare di sé con la sincerità di chi non ha mai dimenticato da dove viene. In un’intervista al Corriere della Sera, il cantante partenopeo ripercorre l’infanzia vissuta nei vicoli del Pallonetto di Santa Lucia, a Napoli. Una casa minuscola, una sola stanza per tutti: «Io e mio fratello Aniello dormivamo in fondo al lettone, di traverso. In inverno mettevo i piedi contro il sedere di papà per scaldarmi. Niente bagno, solo un cesso. Mamma ci lavava nella bagnarola».

                Giuseppina, la madre, era una donna forte. «La chiamavano la carabiniera. Ci diceva: “Andate a faticare”. A sette anni facevo il vinaio in una grotta. Portavo quartini di vino agli operai, prendevo 200 lire a settimana. Si dice: “A famm fa asci ’o lupo da dint’ ‘o bosco”».

                La musica arriva quasi per caso. O meglio, per necessità. «Mi mettevano sul ponte di Castel dell’Ovo e mi dicevano: “O canti o ti buttiamo in acqua”. Io non sapevo nuotare. La gente lanciava le monete e i miei amichetti le raccoglievano. Poi si divideva tutto».

                La paura dell’acqua l’ha tenuta a lungo. «Ho imparato a nuotare a 40 anni, ma solo dove si tocca. Tre bracciate, poi basta».

                E i sogni? «Non ne avevo. La sera ero talmente stanco. Cantavo ai matrimoni, nei ristoranti. Tornavo a casa alle nove e mezza, mangiavo quello che c’era. Poi sveglia alle sette per andare a scuola».

                Il padre lavorava all’Italsider. «Una sera lo sentii dire a mamma: “Giuseppì, ho preso 40 mila lire. È andata bene”». Era un’altra Italia. Un’Italia dove si lavorava duro e si sperava il minimo. Ma da quella fatica, da quella miseria, è nato Massimo Ranieri. E con lui una delle voci più potenti e vere della canzone italiana.

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