Spettacolo
Oltre le ombre: Il vasto universo di Tolkien
Il leggendario regno di Rohan si arricchisce con “Il Signore degli Anelli: La Saga dei Rohirrim” e Prime Video ci riporta nel mondo degli elfi, tutti belli, eleganti, influenti e incorruttibili.
Qualche anticipazione
Il film “La Guerra dei Rohirrim” è prodotto da Warner Bros. Animation e New Line Cinema e realizzato grazie allo studio di animazione Sola Entertainment. Si tratta di un prequel ambientato 261 anni prima degli eventi della trilogia di Peter Jackson (e circa 200 anni prima di quelli raccontati nei film de “Lo Hobbit”).
Il leggendario re di Rohan, Helm Hammerhand, sarà interpretato da Brian Cox. Nel cast, tornerà anche Miranda Otto nel ruolo di Éowyn, già presente nella trilogia cinematografica de “Il Signore degli Anelli”, che fungerà anche da narratrice.


Immagini della serie “Il Signore degli Anelli”
“La Guerra dei Rohirrim” sarà rilasciato negli Stati Uniti il 13 dicembre 2024 da Warner Bros. Pictures, ma al momento non è stata comunicata alcuna data di uscita italiana e gli aggiornamenti sembrano scarsi.


Il personaggio Helm e gli Elfi
Un universo quasi inesplorato
Era inglese lo scrittore John Ronald Reuel Tolkien amato per le sue epiche opere fantasy come Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli e Il Silmarillion, era nato nel 1892. Diventato lettore d’inglese all’Università di Leeds nel 1920, divenne docente di inglese antico ad Oxford, nel 1945. Durante la sua carriera universitaria, Tolkien ha pubblicato studi e tenuto conferenze sui generi letterari della fiaba e dell’epica; inoltre, è noto per aver creato lingue e mitologie complete per i mondi che ha immaginato, contribuendo così a plasmare il panorama del fantasy moderno.
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Televisione
Antonella Clerici si emoziona per X Factor: elogio totale a Giorgia, Lauro, Paola Iezzi, Gabbani e Jack La Furia in un tripudio anni ’90
Antonella Clerici celebra sui social il cast di X Factor con una pioggia di complimenti: Giorgia “iconica”, Achille Lauro “fighissimo”, Paola “come Marilyn”, Gabbani “ggiovane” e Jack La Furia “una vera furia”. Per la conduttrice, è il ritorno dello spirito anni ’90.
Antonella Clerici non è riuscita a trattenersi. Davanti alla nuova edizione di X Factor, la conduttrice ha ceduto a un’ondata di entusiasmo così spontanea da trasformarsi in un vero inno pop. Suo il commento coloratissimo che ha acceso i social: «Giorgia ironica e iconica, Lauro fighissimo, Paola come Marilyn stupenda, Gabbani “ggiovane”, Jack una furia vera: evviva gli anni 90». Una frase che è già diventata meme, screenshot e tormentone per gli appassionati del talent.
Il suo giudizio, come sempre, ha il sapore della pancia e della televisione vissuta da protagonista. Per Giorgia, al suo debutto da giudice, la Clerici non ha dubbi: una presenza elegante, leggera, capace di ironia senza perdere un grammo della classe che l’ha resa una delle voci più amate d’Italia. Achille Lauro, invece, conquista con il suo stile liquido e provocatorio, un mix che a Antonella pare irresistibile.
E poi c’è Paola Iezzi, che secondo la Clerici incarna una Marilyn contemporanea: biondo hollywoodiano, carisma pop, un tocco di vintage che riaccende il glamour sul palco. Francesco Gabbani sorprende la conduttrice per quell’aria sbarazzina che lo rende “ggiovane”, come ha scritto lei con un pizzico di autoironia. Jack La Furia, infine, è promosso senza esitazione: una «furia vera», energia pura, ritmo e grinta da palco urban.
Il tutto condito da un ritorno agli anni ’90, decade che la Clerici ricorda con un misto di affetto e nostalgia per un’epoca televisiva più spontanea, più pop, meno levigata. È questo, probabilmente, il segreto del suo entusiasmo: vedere in quel tavolo di giudici un’energia che la riporta ai suoi inizi, quando la TV sperimentava, si divertiva e parlava alla gente senza filtri.
Il suo commento è stato accolto da una valanga di like e reazioni divertite: i fan la adorano proprio per quella spontaneità che non ha mai perso. E mentre X Factor continua il suo percorso, la Clerici resta lì, spettatrice eccellente e commentatrice d’eccezione, pronta a regalare un altro frammento di televisione genuina. Perché a volte basta un tweet per ricordarci perché Antonella è, da sempre, una delle più amate.
Musica
L’IA fa irruzione nel country: “Walk My Walk” conquista Billboard e il misterioso Breaking Rust diventa la prima star artificiale
La voce non è umana, il cantante non esiste e il video è creato da software: “Walk My Walk” segna la prima vittoria dell’IA nella classifica digitale di Billboard. Dietro il successo virale di Breaking Rust c’è un futuro musicale che fa discutere artisti, produttori e fan.
L’onda dell’intelligenza artificiale travolge anche Nashville. Per la prima volta, un brano country interamente generato da algoritmi si arrampica fino al primo posto della classifica digitale Billboard, scatenando un dibattito che corre dai saloon ai social. La canzone è Walk My Walk, la firma è quella del misterioso Breaking Rust, un artista che in realtà… non esiste.
La voce che non viene da un uomo
La voce maschile, roca e da cowboy vissuto, sembra uscita dalle praterie americane. In realtà è un modello vocale sintetico, costruito per assomigliare a un cantautore ruvido e autentico. Un’illusione perfetta: secondo diversi software di riconoscimento audio, la probabilità che il brano sia artificiale oscilla tra il 60 e il 90%. Nessun cantante, nessuno studio di registrazione, nessuna sessione notturna: solo codici, prompt e creatività digitale.
Un fenomeno da milioni di ascolti
Il successo non si limita a Billboard. Su Spotify Breaking Rust supera i due milioni di ascoltatori mensili, mentre molte tracce hanno già sfondato il milione di streaming. Livin’ on Borrowed Time corre verso i cinque milioni di riproduzioni, segno che il pubblico non solo accetta l’IA, ma la consuma con naturalezza. Immagini, copertine e videoclip completano il pacchetto: tutti prodotti con strumenti di generazione grafica.
L’IA rottama i cantanti?
La domanda rimbalza ovunque: cosa accadrà ora? Per i puristi del country, l’ascesa di Breaking Rust è uno choc culturale. È il genere delle radici, dei racconti veri, dei cantautori che scrivono da una veranda polverosa. Eppure proprio qui l’IA ha trovato la sua prima grande vittoria commerciale. Per altri, invece, è solo il segno del tempo: la musica è sempre stata tecnologia. Dal sintetizzatore al campionamento, ogni epoca ha avuto la sua rivoluzione.
“Walk My Walk” diventa così un caso globale. Un pezzo che, paradossalmente, parla di autenticità mentre nasce dalla macchina più artificiale che esista. La domanda, stavolta, non è se l’IA sappia imitare l’uomo. È un’altra: siamo pronti a farci emozionare da una voce che non ha un cuore dietro?
Cinema
La docuserie “Mr. Scorsese” svela il maestro dietro la cinepresa: viaggio dentro la mente del regista più iconico d’America
In cinque capitoli, Martin Scorsese si racconta come mai prima d’ora: dagli anni a Little Italy all’asma che lo portò in sala, dalla dipendenza alla rinascita creativa. I Rolling Stones fanno da cornice a un viaggio intimo che ripercorre le radici di “Mean Streets”, “Toro Scatenato” e della sua eterna sfida al lieto fine hollywoodiano.
La docuserie Mr. Scorsese apre una porta che per anni è rimasta chiusa: quella del laboratorio segreto di uno dei registi più influenti della storia. Con Rebecca Miller come interlocutrice, Scorsese attraversa la sua vita come se stesse raccontando un film: infanzia, fede cattolica, ossessioni, e quell’energia violenta che ha nutrito la sua estetica. Il tutto sulle note dei Rolling Stones, colonna sonora permanente della sua immaginazione.
Sympathy for the Devil: sentire insieme il buio
Il documentario si apre con Sympathy for the Devil. Non è solo un omaggio rock: è una chiave interpretativa. “Syn páthos” significa “sentire insieme”, non imitare il male, ma guardarlo negli occhi. Ed è quello che Scorsese ha fatto per cinquant’anni: raccontare la violenza senza assolverla, rifiutando il lieto fine che Hollywood ama rifilare al pubblico.
L’asma, la finestra e l’inquadratura
Le origini della sua visione sono sorprendentemente semplici. Da bambino, l’asma lo inchiodava in casa mentre gli altri giocavano in strada. Guardava il mondo dalla finestra: un’inquadratura naturale, come rivela Nicholas Pileggi. È lì che nasce la sua firma visiva. Il resto lo aggiunge padre Principe, guida cattolica che lo avvicina alla letteratura e a una forma di disciplina morale che tornerà in tutto il suo cinema.
Joe Pesci, i Rolling Stones e gli “sfavoriti improbabili”
Il racconto accelera come un film di Scorsese quando compaiono gli amici di una vita: De Niro, Pesci, DiCaprio. Joe Pesci diventa il suo “specchio sporco”, la voce dell’America marginale che Scorsese conosce meglio di chiunque altro. I personaggi scorsesiani sono “sfavoriti improbabili”: Travis Bickle, Henry Hill, Jake LaMotta. Uomini che l’America crea e poi finge di non riconoscere più.
E poi c’è il ritmo: quello dei Rolling Stones. Ogni volta che li usa, Scorsese si raddoppia. Violenza e bellezza viaggiano insieme, come i pugni di Pesci e le urla di Jagger.
Dipendenze, cadute e resurrezioni
Scorsese non indora nulla. Racconta la cocaina, la quasi morte, e l’intervento salvifico di De Niro che lo trascina fuori dal letto per Toro scatenato. È l’episodio che trasforma la sua autobiografia in un percorso spirituale. Una resurrezione artistica che culmina anni dopo nell’Oscar per The Departed, consegnato da Spielberg, Coppola e Lucas come un rito di consacrazione.
Alla fine, Scorsese resta ciò che DiCaprio definisce con semplicità: un uomo che “farebbe il regista a tutti i costi”. E in Mr. Scorsese lo si vede per quello che è sempre stato: un credente delle immagini, uno che del cinema ha fatto la sua chiesa, il suo peccato e la sua salvezza.
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