Personaggi e interviste
80 anni di risate, arrabbiature e schiaffi: Teo Teocoli si racconta
Teo Teocoli compie 80 anni e non sembra intenzionato a smettere di stupire. La sua carriera è un viaggio incredibile tra risate, improvvisazioni e aneddoti che sembrano usciti da un film di Totò. Dai quartieri popolari di Milano ai palcoscenici più prestigiosi, dalla commedia brillante ai leggendari schiaffi con Massimo Boldi, Teo ha vissuto la sua vita proprio come Frank Sinatra: “My Way”.

Teocoli ha sempre saputo come attirare l’attenzione. «Quando uscii al Derby per la prima volta, sentii un brusio del tipo: “Ecco, è arrivato il playboy”. Allora salii sul palco completamente nudo». Un battesimo del fuoco che gli ha insegnato che per fare ridere, a volte, basta togliersi tutto. Non era certo impreparato: «Venivo da tre anni di musical Hair, dove lo spettacolo finiva con noi tutti nudi. Io ero in prima fila accanto a due ballerini di colore. Per evitare confronti, li feci spostare qualche fila indietro».
Quella somiglianza con il Molleggiato
Adriano Celentano ha rappresentato una presenza costante nella sua vita, fin da quando Teo era un ragazzino che faceva la posta sotto casa del Molleggiato. «Una sera mi dice: “Dai vieni su a casa”, era la casa in via Gluck. Lo seguii, ma non mi ero accorto che stava andando in bagno. “Eh no eh, almeno a pisciare fammi andare da solo”»
De André e la strana metamorfosi
Un altro aneddoto memorabile riguarda Fabrizio De André: «Una notte eravamo su una barca a Saint-Tropez a giocare a dadi fino all’alba con un amico che chiamavamo Maurice Chevalier. A un certo punto, dalla cabina esce uno incavolato: “Fatemi dormire, avete rotto”. Era De André. Lui e la moglie parlavano solo di profumi, vestiti e moda. Poi deve aver preso una botta ed è diventato il De André che conosciamo».
La tv attuale? Non mi fa impazzire nessuno
Teocoli è sempre stato un perfezionista della risata. Sullo stato della comicità attuale non ha peli sulla lingua: «La tv per un periodo ha aiutato la comicità, poi sono arrivati sedicenti comici. Ho visto Zelig quest’anno: sono bravi, si danno da fare, ma nessuno mi ha fatto impazzire».
Le sberle che hanno fatto storia
Teo e le sberle rappresentano un connubio storico: «Quando Antonio Albanese entrò a Mai Dire Gol, la Gialappa’s mi raccomandò di non toccarlo. La prima registrazione gli ho dato subito una delle mie sberle sul coppino e lui voleva andarsene. Ma la mia sberla era di moda. Anche Aldo, Giovanni e Giacomo ne hanno prese un sacco, ed è così che è nato Tafazzi».
Lo spettacolo d’addio
Con Massimo Boldi il sodalizio tra risate e schiaffoni è leggendario. «È venuto da me qualche giorno fa. Vogliamo fare uno spettacolo d’addio, come quello di Cochi e Renato con Enzo Jannacci. Lo faremo al Teatro Nazionale di Milano».
Cinepanettoni? No, grazie
Teo ha detto no ai cinepanettoni, e anche a grandi occasioni: «Aurelio De Laurentiis mi propose di partecipare, ma sapevo che avrei combinato casini e mi avrebbero cacciato. L’unico rimpianto? Quando Carlo Ponti mi offrì un contratto per quattro film. Accettai, ma poi lui andò in America e non tornò mai più».
L’amore, il contrappasso e le figlie
Teocoli è sposato da 35 anni e ha tre figlie. Da ex playboy, l’arrivo di tre donne in casa è stato una sorta di giustizia poetica. «Non è che tradissi mia moglie, ma mi piaceva piacere alle donne. Avere tre figlie femmine è stato un contrappasso. Ho cominciato a preoccuparmi quando avevano 14-15 anni, ma sono brave ragazze». Infine l’incontro con Veruschka, la supermodella di Blow-Up, che ha lasciato in lui un segno indelebile. Ma Franco Califano non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di una battuta memorabile: «Quando mi vide con lei, altissima, mi disse: “Che te sei portato, er pennello?”».
Ottant’anni e nessun rancore
La sua vita è stata una continua rincorsa tra risate, incavolature e improvvisazioni geniali. Ma nonostante le litigate, gli addii e i colpi di testa, c’è una cosa che lo contraddistingue: «Non porto rancore, mi incazzo e dimentico. Sono in pace con tutti». Ed è così che, a 80 anni, Teo Teocoli continua a essere il re dell’improvvisazione, delle sberle storiche e di una vita vissuta sempre e solo a modo suo.
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Personaggi e interviste
Il figlio segreto di Toto Cutugno: “Per me era un ingegnere. Poi ho scoperto la verità su La Settimana Enigmistica”
Niko Cutugno ha scoperto di essere figlio di Toto Cutugno a soli sette anni, sfogliando distrattamente La Settimana Enigmistica in un pomeriggio del 1996. In copertina c’era proprio lui, il celebre cantautore. Fu il nonno materno a rompere il silenzio: «Lo indicò e mi disse senza girarci intorno: “Quello è tuo padre”».

Una verità che fino ad allora era rimasta celata dietro un’apparenza costruita con cura. L’uomo che lo veniva a trovare a Roma, che diceva di essere un ingegnere sempre in trasferta, era in realtà uno degli artisti più popolari d’Italia.
Due famiglie con un padre fuori dal comune
La madre di Niko conobbe Toto su un volo nel 1989. Lui era già sposato, ma tra i due nacque una relazione che durò anni. “Per tutta la vita – racconta Niko – non ha mai rinunciato né a sua moglie né a noi. Ha coltivato due famiglie, con tutte le contraddizioni che questo comporta”. Contraddizioni che il figlio ha dovuto affrontare fin da piccolo, tra una normalità apparente e i segnali sempre più evidenti di un padre fuori dal comune. Come quella volta in macchina, quando alla radio passarono una delle sue canzoni. “Sembrava una voce familiare. Lui divenne improvvisamente serio, non disse nulla. Solo più tardi capii perché”.
Il riconoscimento nel 1997
Nel 1997 Toto Cutugno decise di riconoscerlo ufficialmente. Una scelta che, se da un lato dava finalmente un nome alla loro relazione, dall’altro apriva la porta a un’esposizione difficile da gestire per un ragazzo ancora in cerca di sé. “I compagni di scuola mi prendevano in giro. Le auto di lusso, gli autisti, Disneyland… erano elementi troppo vistosi in un contesto normale. Eppure per me era tutto confuso. Quando veniva a trovarmi era come Babbo Natale: portava regali, poi spariva”.
Tutto in un libro autobiografico
Quell’infanzia a metà, segnata da assenze e apparizioni luminose, Niko l’ha raccontata nell’autobiografia Fino all’ultimo respiro. Oggi ha 36 anni, una compagna e una professione che lo appassiona: è fondatore di un progetto di crescita personale legato alla respirazione. “Ho fatto pace con molte cose. Ma col tempo ho capito una verità amara: spesso ti manca di più chi nella tua vita c’è stato di meno. Non è logico, ma è sincero”.
Fu lui a consegnare le ceneri dopo la cremazione
Anche nel momento dell’addio, Niko ha voluto esserci: “Ha chiesto di essere cremato. Sono stato io a portare le sue ceneri a casa di sua moglie”. Un gesto silenzioso, carico di significato. Come la vita che ha vissuto: tra il clamore della musica e le ombre di un amore diviso.
Personaggi e interviste
Un piatto di carbonara a 70 euro… ma scherziamo?!? L’indignazione di Edoardo Raspelli
Caviale, guanciale iberico, zafferano, tre foglie d’oro e un prezzo da capogiro: 70 euro. È la Carbondoro, ultima creazione di uno chef milanese. Ma Edoardo Raspelli, il più temuto dei critici gastronomici italiani, la demolisce senza appello: “Un piatto inutile, figlio di un’idea di cucina che non ha più rispetto per le persone e per la tradizione”. E denuncia: “L’Italia sta uccidendo la sua cultura gastronomica per accontentare i ‘riccastri’ e i gastrofighetti”.

Milano a tavola… ancora una volta fa notizia. Stavolta non per l’ennesimo ristorante stellato, ma per una provocazione che ha fatto discutere tutta Italia: la Carbondoro, una carbonara deluxe da 70 euro ideata dallo chef Emin Haziri del ristorante Procaccini. Fra gli ingredienti caviale, guanciale iberico Cinco Jotas, zafferano, pasta di Avellino e persino tre foglie d’oro.
La sentenza senza appello del critico
Haziri difende la sua creazione come “un’idea che rompe gli schemi”. Ma il giudizio del decano dei critici gastronomici, Edoardo Raspelli, è una condanna senza attenuanti: “Una trovata inutile, sterile e stupida. L’ennesima dimostrazione che la cucina italiana sta scegliendo l’autodistruzione”.
“Gastrostupidaggini per ricchi”: il duro attacco
Raspelli, con oltre cinquant’anni di carriera alle spalle, non ha peli sulla lingua: “Non conosco questo chef, non ho assaggiato il piatto, ma basta guardarlo per capire che siamo di fronte all’ennesimo tentativo di épater le bourgeois, scandalizzare i borghesi con scelte folli. Ma questa non è cultura gastronomica, è puro marketing vestito da arte”. E rincara la dose: “Questi piatti nascono solo per alimentare il narcisismo di pochi chef e per soddisfare la vanità di chi può permetterseli. Ma così si tradisce il senso vero della cucina italiana: quella fatta di semplicità, stagionalità, rispetto per le materie prime. Non di ‘gastrostupidaggini’ dorate per riccastri annoiati”.
“La cucina italiana si sta suicidando”
Secondo Raspelli, quella che era una delle cucine più amate e imitate al mondo sta attraversando una crisi identitaria profonda: “Non è più un tentato suicidio. È un suicidio annunciato. E, purtroppo, noi giornalisti siamo complici: ogni volta che diamo spazio a questi piatti assurdi, contribuiamo ad alimentare un modello elitario, lontanissimo dalla realtà quotidiana”. Il riferimento non è solo alla Carbondoro: “C’è chi fa pagare 70 euro un calice di champagne solo perché è servito in un ristorante di grido. Intanto, io vado al supermercato con mia moglie, faccio la spesa con 35 euro e mangio benissimo. Questo è il vero lusso oggi: mangiare bene, senza sprechi e senza spettacoli”.
Oro, caviale e nostalgia per Marchesi
Il riferimento all’oro commestibile fa scattare anche un confronto con il passato: “Gualtiero Marchesi lo usò, è vero. Ma era un gesto simbolico, legato alla tradizione rinascimentale, e non veniva fatto pagare una follia. Era un tocco poetico, non una scusa per gonfiare il conto”. Sulla scelta degli ingredienti, Raspelli è preciso: “Anche il caviale italiano di alta qualità costa tanto, ma si trova anche a 10 euro per 10 grammi. Non è quello il punto. Il vero problema è: ha senso proporre questi eccessi oggi, in un Paese dove la maggioranza delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese?”
La provocazione che non serve a nessuno
La Carbondoro, insomma, non convince. Né per gusto, né per visione. Secondo Raspelli, rappresenta una deriva della cucina italiana: “Ci stiamo dimenticando chi siamo. Abbiamo il miglior patrimonio gastronomico del mondo e lo stiamo rovinando per inseguire una clientela che non cerca sapore, ma Instagram”. E la conclusione non può che suonare amaramente lucida: “Chi può scegliere, scelga ristoranti dove si cucina per passione e non per provocazione. L’Italia ha bisogno di tornare alla verità dei suoi piatti. E meno oro, più amore”.
Personaggi e interviste
Fedez amaro: “Non voglio più essere un esempio, nemmeno per me stesso”
Una partita di calcio a sette, un format che fonde sport e spettacolo, ma anche uno scontro dai toni accesi che ha superato i confini del campo. Durante i quarti di finale della Kings League Italia, andati in scena sabato 10 maggio, il rapper Fedez e lo streamer Blur si sono resi protagonisti di un acceso confronto, culminato in un quasi-scontro fisico. A placare gli animi, tra le due “presidenze infuocate”, è intervenuto l’ex juventino Leonardo Bonucci, convocato da Fedez come “wild card” per rafforzare i Boomers, la sua squadra.

Le immagini sono diventate virali nel giro di poche ore: Fedez si è diretto verso Blur visibilmente alterato, il tutto in diretta streaming e sotto gli occhi del pubblico. Il rapper ha giustificato il gesto come reazione a un “clima tossico e provocatorio” da parte dell’altra squadra. Un clima che, secondo lui, si era già manifestato sui social nei giorni precedenti e che sarebbe stato ignorato dagli organizzatori.
Il Tapiro: «Ero in trance agonistica»
Non poteva mancare il Tapiro d’Oro, il quindicesimo della carriera per Fedez, consegnato da Valerio Staffelli per l’accaduto. Nell’intervista, il cantante non si tira indietro: «Ero in trance agonistica», ammette. «So fare e dire di peggio, credimi». A calmare le acque, Bonucci, che ha fisicamente separato i due contendenti e salvato l’evento da una possibile rissa. Ma il momento più sorprendente arriva quando Staffelli gli ricorda il suo ruolo di personaggio pubblico: «Rappresenti un esempio per molti giovani». Fedez risponde in modo netto, quasi amaro:
«Ho smesso di esserlo. Non voglio più esserlo, nemmeno per me stesso».
Un torneo tra calcio e influencer, ma l’esempio?
La Kings League Italia, figlia dell’originale spagnola ideata da Gerard Piqué, fonde influencer, ex professionisti e show. Dodici squadre, format virale, arene piene. Ma anche tanta tensione, egocentrismi e sfide di popolarità. Fedez e Blur non sono solo presidenti di squadra: sono simboli di due mondi digitali che si scontrano spesso fuori dal campo, tra streaming, tweet velenosi e provocazioni in diretta. Quello che dovrebbe essere puro intrattenimento si trasforma in uno scontro tra ego, dove la linea tra gioco e sfida personale si assottiglia pericolosamente.
L’ombra del burnout e la disillusione
Nella frase di Fedez — «Non voglio essere un esempio nemmeno per me stesso» — c’è tutta la fatica di chi è sempre al centro del mirino. Reduce da una lunga esposizione mediatica, da problemi personali e da un costante scrutinio pubblico, il rapper sembra voler alzare le mani: basta aspettative, basta modelli. Solo la libertà di sbagliare, anche davanti a milioni di follower. E se la Kings League vuole davvero fondere sport e spettacolo, forse il primo passo è ritrovare la misura. Perché senza rispetto, né sul campo né fuori, lo show rischia di diventare solo un’altra arena digitale dove a vincere è chi urla più forte.
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