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Personaggi e interviste

Adriano Aragozzini alla riscossa contro tutti… o quasi

Nella lunga storia del Festival di Sanremo il ruolo di direttore artistico è stato ricoperto anche da personaggi non sempre conosciutissimi al grande pubblico, come Adriano Aragozzini. Giornalista, produttore discografico, teatrale, televisivo e soprattutto per tre edizioni consecutive direttore artistico della kermesse. Con una spiccata verve polemica e senza peli sulla lingua.

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    «Domenico Modugno è il più grande artista italiano di sempre». Sono queste le precise parole di Adriano Aragozzini, per trent’anni impresario del grande cantante nato a Polignano a Mare nel 1928, recentemente omaggiato su Rai Uno dal documentario Domenico Modugno. L’italiano che incantò il mondo, scritto e diretto da Maite Carpio. Su Mister Volare non ha davvero dubbi: «Ci sono stati grandi artisti come Lucio Battisti, Nico Fidenco, Edoardo Vianello, Gianni Morandi, Claudio Baglioni, Renato Zero… ma Mimmo era unico, il migliore degli showman, con le sue canzoni ha rotto ogni schema. Il principe non può che essere lui».

    Coerente con la nomea che circola su di lui

    Chissà se da manager Aragozzini sarà stato con Modugno ugualmente ossequioso… visto che è famoso per essere un uomo senza peli sulla lingua e, per alcuni, anche non eccessivamente simpatico. Ex patron sanremese dal 1989 al 1993, è tornato di recente a parlare della kermesse. Tre mogli, tre figlie e ancora tanto da fare e raccontare nonostante i suoi 86 anni, Aragozzini mantiene fede alla tempra che l’ha sempre contraddistinto: «Attualmente mi occupo di un tenore meraviglioso che voglio lanciare, Giuseppe Gambi».

    Pro Conti, critica Amadeus

    Sul futuro del festival dice: «L’arrivo di Carlo Conti il prossimo anno a Sanremo è un fatto positivo per la musica italiana. Ha stile, classe, categoria. Può fare benissimo e mi dà fiducia. Perché il signor Amadeus, tanto celebrato per questo “miracolo d’ascolti”, ha americanizzato il Festival. Se va a vedere gli ascolti della Rai, nel mio Sanremo del 1989 non c’è stata una serata che Amadeus abbia battuto, ma nessuno lo ha scritto. Come conduttore lo giudico inesistente».

    Con Ama è una questione personale

    Una critica nei confronti di “Ama” precisa e piccata: «Come artista non lo discuto, ma come uomo è inesistente». Alla domanda sul perchè di tale affermazione, lui pronto risponde: «Ho dei messaggi sul telefono che conservo. Riguardano i giorni in cui l’ho cercato per proporre il mio artista, ma Amadeus ha scartato due brani». Ma «lui ha voluto scartare Adriano Aragozzini, non le canzoni». Il contenuto preciso non viene svelato ma «sono un documento che voglio tenere con me e che tirerei fuori semmai rispondesse dopo aver letto le mie parole».

    Alternative ne abbiamo?

    Quando il discorso verte sui possibili nuovi volti da mandare all’Ariston, Aragozzini non si contiene: «Alessandro Cattelan? Per carità. Stefano De Martino? Non mi sembra una star. Uno come Pippo Baudo nasce ogni cento anni, un nuovo Baudo non c’è. Mi piace Marco Liorni ma è sempre della generazione di Conti, eccetera. Guardi, se ci sono giovani bravi, io non ne conosco».

    Un record personale del quale lui può andare fiero

    Nel 1998 Aragozzini organizzò allo stadio Olimpico di Roma, per la prima volta concesso integralmente per un evento musicale, il concerto di Claudio Baglioni. Lo spettacolo farà il tutto esaurito e stabilirà il record italiano di spettatori paganti in un singolo concerto in uno stadio.

    Trapper, rapper e… Gabriella Ferri

    E sulla scena musicale attuale, dove spopolano rapper e trapper – anche all’Ariston – non ha dubbi: «Possono piacere o no, ma è il festival della canzone italiana. Se ne possono prendere due o tre significativi, non di più. Perché poi è ovvio che, dovendo fare un cast di rapper e trapper, lasci fuori uno come Al Bano, straordinario cantante e autore». Di recente un giornalista, intervistandolo. gli ha chiesto quale artista italiano riteneva il più capriccioso di tutti. Ecco la sua risposta: «Gabriella Ferri. Durante un tour, a metà anni ’70, a Buenos Aires, chiese tre volte di cambiare stanza in hotel. Un giorno uscì e tornò con sette chili di vernice: dipinse i muri a strisce con qualche fiore qua e là; due giorni dopo incendiò la camera, ma siccome non c’era la prova, il direttore dell’hotel disse che l’importante era che la portassimo via».

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      Personaggi e interviste

      «Credevo che sarei morta in un letto d’ospedale». Bianca Balti racconta la paura, la malattia e il coraggio di sentirsi viva

      Dopo l’asportazione del seno nel 2021 per la mutazione del gene BRCA1, aveva rimandato la rimozione delle ovaie: “Non è una decisione facile. Ho avuto paura di sentirmi meno donna”. Una battaglia personale che oggi trasforma in testimonianza collettiva, per dare forza a chi si trova davanti alla stessa scelta

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        C’è un giorno che Bianca Balti non potrà mai dimenticare. L’8 settembre 2024, in un pronto soccorso della California, i medici le dissero che aveva un tumore ovarico al terzo stadio. La diagnosi arrivò come una sentenza. «Credevo che sarei morta in un letto d’ospedale e che le mie figlie sarebbero cresciute senza madre», racconta oggi la top model, 40 anni, nel suo nuovo diario online. Una confessione che scava nell’intimità della paura più grande: quella di non esserci più.

        La modella, icona internazionale, ha scelto di condividere la sua storia partendo da quel momento buio. «Non avevo mai sperimentato la mortalità fino ad allora», scrive. Il cancro non era più un concetto astratto, ma una realtà che si prendeva spazio nella sua vita, costringendola a guardare in faccia l’ipotesi più terribile.

        La mutazione genetica e le scelte difficili

        Bianca non era del tutto impreparata. Nel 2021 le era stata diagnosticata la mutazione del gene BRCA1, che aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare tumori al seno e alle ovaie. All’epoca decise di sottoporsi subito a una mastectomia preventiva, ma non fece lo stesso con le ovaie. «Rimandavo. Molti, dopo, mi hanno chiesto: se lo sapevi, perché non l’hai fatto? Ma bisogna essere gentili con le donne… Perché non è una decisione facile da prendere», spiega.

        Le ovaie, dice, sono parte della femminilità, del desiderio di maternità che non aveva ancora accantonato: «Io volevo altri figli, li ho sempre voluti. Togliere le ovaie è un pezzo di identità che senti di perdere. Ho avuto paura di sentirmi meno donna». Parole che pesano come un macigno in un dibattito medico spesso dominato da fredde statistiche, e che lei riporta sul piano emotivo ed esistenziale.

        Il pianto, la fede e Google

        Quando ricevette la diagnosi, la sua prima reazione fu disperazione. «La mia prima reazione fu piangere. Non riuscivo a respirare. Ho pensato: sono una stupida, dovevo farlo prima», ha confidato in un’intervista al Corriere della Sera. In quelle ore, la fede che negli anni aveva costruito come un rifugio personale fu messa alla prova. «Dodici anni fa sono tornata sobria e ho costruito una fede che fosse mia, dolce e indulgente. Quella fede è stata messa alla prova la notte in cui ho digitato su Google: il cancro ovarico al terzo stadio è curabile?». La risposta era spietata: «Non sempre».

        Una rinascita condivisa

        Oggi Bianca è viva e festeggia la vita. Ha deciso di trasformare la sua esperienza in un percorso collettivo: un blog in cui invita le persone a scegliere un giorno da celebrare. «Non deve essere necessariamente legato alla malattia. Potrebbe essere il giorno in cui hai lasciato una relazione che ti stava distruggendo. Il giorno in cui sei sopravvissuto a un incidente. Il giorno in cui hai capito di voler andare avanti».

        L’iniziativa ha già trovato eco: oltre 150 persone hanno scritto sul blog, condividendo la propria data simbolica. Un flusso di testimonianze che conferma la potenza di un gesto semplice: segnare sul calendario il giorno in cui si è sopravvissuti e ricordarlo ogni anno come un anniversario privato di resilienza.

        Una vita nuova con le figlie

        Al centro di tutto, restano le sue figlie, Matilde e Mia. La paura più grande, dice, era quella di lasciarle senza una madre. È stato pensando a loro che ha trovato la forza di affrontare le terapie, le operazioni e i mesi più duri. «Ogni volta che vedevo i loro occhi, capivo che non potevo arrendermi», scrive. La maternità, vissuta come responsabilità e come amore assoluto, è stata il carburante della sua lotta.

        L’invito a non rimandare

        La testimonianza di Bianca Balti non è un manifesto di eroismo, ma un invito alla consapevolezza. La top model ammette gli errori, i rimandi, la paura di sentirsi “meno donna”. Eppure, proprio da quella vulnerabilità, nasce la forza del suo messaggio: non rimandare, non sottovalutare i segnali, non lasciare che la paura decida al posto tuo.

        Oggi, per lei, il giorno da celebrare non è solo quello in cui ha ricevuto la diagnosi, ma quello in cui ha capito che poteva ancora vivere, amare e raccontare la sua storia. Un anniversario personale che ha trasformato in patrimonio collettivo, perché «la vita non si festeggia solo quando si vince: si festeggia ogni volta che si sopravvive».

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          Personaggi e interviste

          Diego Abatantuono: “La vecchiaia mi fa schifo, ma bisogna prenderla con allegria”

          Il comico e attore milanese torna sul grande schermo con Esprimi un desiderio: “I successi di oggi nascono dalle sconfitte di ieri. Mi sento ancora vicino ai giovani, almeno fino a quando non parlano di social: la sola parola mi provoca mal di stomaco”.

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            A settant’anni Diego Abatantuono non ha perso la battuta pronta, ma nemmeno la lucidità per guardare con ironia e realismo al tempo che passa. Nel nuovo film di Volfango De Biasi interpreta Ettore, ex imprenditore vinicolo che vive in una Rsa ma non rinuncia ai sogni. Un ruolo che lo costringe a misurarsi con la vecchiaia, tema che affronta senza giri di parole: «La vecchiaia mi fa abbastanza schifo, ma bisogna prenderla con allegria, perché non ci sono altre soluzioni. È come una malattia costante, con cui bisogna convivere. L’abilità sta nel non farci troppo caso».

            E se qualcuno gli chiede se ci riesce, risponde con disincanto: «Fino a un certo punto. Se la mattina riesco ad alzarmi va bene, quando diventa più difficile allora sì, me ne accorgo. Ma il brutto non è tanto la mia vecchiaia: è vedere quella degli amici. L’importante è che ci siano, perché quando non ci sono più, quella è la parte peggiore».

            Abatantuono, da sempre legato alla commedia, non rinnega le sue origini, anzi: «I film brillanti li faccio sempre volentieri, penso che la gente abbia bisogno di ridere. È il genere più difficile, ma anche quello che dà più senso al mio lavoro. Se capita un film serio, lo faccio, ma far sorridere resta il compito più complicato e utile».

            Non mancano i ricordi: «Mi fa un bell’effetto sentire ancora oggi le battute di Eccezziunale… veramente. Quel personaggio, che sembrava semplice, in realtà esprimeva una sua verità: c’è sempre qualcuno più a sud di un altro». E sull’altra svolta della carriera: «Ringrazierò sempre Pupi Avati per Regalo di Natale. So che prima di chiamare me aveva sentito Lino Banfi, che rifiutò. Quel film mi cambiò la vita».

            Eppure oggi non si guarda indietro con nostalgia. Si tiene in mezzo ai giovani, anche se con qualche distanza: «Non riesco a vedermi come un vecchio, mi sento alla loro altezza, almeno finché non parlano troppo di tecnologie. I social? La sola parola mi provoca mal di stomaco: se la mattina invece del caffè dico “social”, ottengo lo stesso effetto».

            Infine, uno sguardo al presente: «Ciò che mi preoccupa è la superficialità con cui si accettano eventi assurdi. Da appassionato di storia so che quello che accadde prima della guerra si sta ripetendo. Ma davanti ai miei figli devo simulare allegria, non posso incupirmi. È il prezzo di una vita vissuta tra amici e grandi tavolate».

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              Personaggi e interviste

              Kabir Bedi: da Sandokan a sostenitore di Trump, Robert Kennedy Jr. ed Elon Musk

              Trump? “Adesso mi piace ma più di lui sono un grande fan di Robert Kennedy Jr., che si sta occupando di cibo e di alcune cose contro l’industria farmaceutica”.

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                Geppi Cucciari e Giorgio Lauro su RadioUno, l’attore Kabir Bedi si svela un trumpiano di ferro. Rivela la sua simpatia per Donald Trump anche se fino a qualche anno fa non la pensava proprio in questo modo. Ma si sa noi tutti trasformiamo la nostra vita e cambiamo opinione. Intervistato da un mensile femminile americano nel ruolo di Sandokan a proposito di Donald Trump l’attore rispondeva che “E’ un perfetto James Brooke, il cattivo rajah bianco di Sarawak che crede fermamente nella superiorità della sua razza sulle altre. Una visione del mondo di cui avere paura“.

                Trump: “Adesso mi piace”

                A Un Giorno da Pecora l’attore ha condiviso opinioni inaspettate e controcorrente. Durante l’intervista, infatti, ha espresso simpatia per il Presidente americano, ma ha dichiarato un’ammirazione ancora maggiore per Robert Kennedy Jr. e Elon Musk.
                Trump mi piace, ma sono un grande fan di Robert Kennedy Jr.,” ha spiegato l’attore, intervenuto in diretta da Mumbai. “Sta affrontando questioni importanti legate al cibo e ai problemi causati dall’industria farmaceutica. Tuttavia, è difficile spiegare tutto in italiano.”

                Sostegno a RFK Jr. e critiche a Big Pharma

                Bedi ha ammesso di apprezzare Trump, seppur con meno entusiasmo rispetto a RFK Jr. e Musk. “Mi piace per alcune cose, ma il mio cuore batte più forte per Kennedy e le sue battaglie,” ha spiegato. Quando gli è stato chiesto delle accuse che avvicinano Kennedy al movimento no-vax, Bedi ha replicato con fermezza: “Questa è solo propaganda delle Big Pharma. Lui vuole che le persone abbiano il diritto di scegliere e sostiene la necessità di più ricerca.”

                Ed Elon Musk? Per Kabir Bedi “E’ un eroe moderno”

                Durante l’intervista, l’attore non ha nascosto la sua ammirazione per Elon Musk. “Sono un grandissimo fan. Musk è incredibile, un vero Superman. Ha affrontato e vinto una battaglia titanica contro l’industria dell’automobile. È un uomo straordinario.” Il protagonista di Sandokan continua a sorprendere il pubblico con dichiarazioni che mescolano nostalgia e contemporaneità, dimostrando di avere opinioni forti e controverse su temi globali. Da leggendario pirata della Malesia a sostenitore di cause moderne, Kabir Bedi si conferma un personaggio sempre fuori dagli schemi…

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