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Personaggi e interviste

Benvenuta Fortuna, la rinascita di Ermal Meta passa attraverso la paternità

Il cantautore albanese sperimenta per la prima volta l’emozione di essere padre. Una novità che gli ha rivoluzionato in positivo la vita.

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    Papà per la prima volta, un emozionato Ermal Meta racconta a Verissimo la straordinaria esperienza di questo evento unico: «Con mia figlia sono rinato anche io». La bimba si chiama Fortuna, avuta con la compagna Chiara Sturdà.

    Cresciuto senza il padre

    Un evento che gli ha davvero rivoluzionato la vita, naturalmente in meglio: «Quando è nata lei, sono rinato anche io, me lo dicevano tutti ma finché non vivi questa emozione non sai cosa significhi». Ermal è cresciuto senza padre e, in merito a questa particolare situazione, ci ha tenuto a dire: «Io non ho avuto quell’esempio da seguire perché mamma è stata anche un papà per me. La paternità è un territorio nuovo e inesplorato»

    La sognava durante la gestazione della compagna

    Nel salotto di Silvia Toffanin appare un fiume in piena: «È tutto meraviglioso, la nostra Fortuna ha quasi sette mesi e quando la mia compagna era incinta l’ho sognata tutte le notti ma quando l’ho conosciuta, ho capito che era molto più bella di quanto me la immaginassi. Quando è nata non ho potuto prenderla in braccio subito perché è stato un parto un po’ complicato, quindi, l’ho vista due ore più tardi rispetto al momento della nascita».

    Come si cambia da genitori

    «Dopo essere diventato papà sono cambiato un po’. Diventare padri è un’emozione troppo grande da contenere, tutti i miei amici me lo dicevano ma finché non lo vivi, non lo capisci, avere un figlio ti sposta proprio dal centro della tua vita e, a volte, “andare un po’ in periferia” è salutare perché riesci a rivedere tutto attraverso un altro punto di vista. Mia figlia ha curato tutte le mie vecchie ferite: quando è nata lei, è come se fossi rinata anche io. Mi sono riscoperto diverso e anche molto più paziente».

    La sua Chiara che definisce “eroina”

    Chiara, la fidanzata del cantante, non ama apparire pubblicamente ma, nella sua intervista a Verissimo, Ermal l’ha citata più volte e ha raccontato: «Chiara dorme molto poco e, infatti, mi dispiace tanto. Lei non dorme da un anno perché ha avuto una gravidanza un po’ difficile, era sempre in vigile attesa perché aveva paura che potesse accaderle qualcosa mentre era a letto e, quindi, non se ne sarebbe accorta. Ha salvato la nostra bambina avendo questo atteggiamento protettivo. È davvero la nostra eroina. Ti amo».

    Suo padre era un violento

    Classe 1981, cantautore, compositore e polistrumentista albanese, Ermal Meta è nato a Fier in Albania. All’età di 13 anni si è trasferito con la madre (violinista professionista), il fratello e la sorella a Bari, rompendo ogni rapporto con il padre, da lui definito violento. Dopo un paio di esperienze in altrettante band, dal 2013 intraprende la carriera da solista, pubblicando quattro album in studio e vincendo il Festival di Sanremo 2018 in coppia con Fabrizio Moro con il brano Non mi avete fatto niente.

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      Virginia Raffaele replica a Belen Rodriguez: “La mia imitazione non era volgare. Le offese sono altre”

      Botta e risposta nel mondo dello spettacolo tra Belen Rodriguez e Virginia Raffaele. Dopo le critiche della showgirl argentina, che aveva definito “volgarotta” la sua imitazione, la comica ha replicato con calma: “Credo di non aver offeso nessuno, le offese sono altre”. Poi la citazione di Chaplin: “Quando un personaggio viene imitato vuol dire che è veramente grande”.

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        Virginia Raffaele ha scelto la via dell’ironia per rispondere alle accuse di Belen Rodriguez, che in un’intervista aveva definito “volgarotta” la sua imitazione. Una polemica scoppiata dopo l’ultima apparizione della comica, che aveva portato sul palco una versione esagerata e autoironica della showgirl argentina, suscitando risate e qualche malumore.

        “Credo di non aver offeso nessuno, le offese sono altre”, ha dichiarato la Raffaele, mettendo fine alle polemiche con il tono elegante e misurato che da sempre la contraddistingue. Nessuna frecciata, solo una riflessione sul senso stesso dell’imitazione, che secondo lei deve essere sempre “un gioco di specchi, mai una caricatura cattiva”.

        La comica ha poi voluto citare Charlie Chaplin, ricordando le sue parole: “Quando un personaggio viene imitato vuol dire che è veramente grande”. Un omaggio all’arte dell’imitazione, ma anche un messaggio indiretto a Belen, che nel corso degli anni è diventata a tutti gli effetti un’icona della tv italiana.

        Nel frattempo, sui social, i fan si sono schierati in massa con Virginia, sottolineando la leggerezza e l’intelligenza delle sue parole. “Non c’è volgarità nel talento, solo in chi non sa riconoscerlo”, ha scritto qualcuno.

        La Raffaele, dal canto suo, sembra intenzionata a chiudere qui la vicenda: nessun rancore, solo la consapevolezza che ogni imitazione, quando è fatta con rispetto, è un tributo più che una presa in giro. E con la sua solita classe, riesce ancora una volta a trasformare una polemica in una lezione di stile.

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          Achille Costacurta, il racconto shock al podcast: “Ho preso sette boccettine di metadone per suicidarmi”.

          Nel podcast One More Time Achille Costacurta ricorda l’adolescenza tra droghe, ricoveri forzati e violenza, fino al tentativo di suicidio a 15 anni: “Mi hanno salvato, non so come sia vivo”. La svolta in Svizzera, la diagnosi di ADHD e il legame ritrovato con i genitori.

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            La storia di Achille Costacurta non è un racconto patinato. È una discesa nel buio e una lenta risalita, narrata con lucidità nel podcast One More Time di Luca Casadei. “Ho iniziato a fumare a 13 anni, al compleanno dei 18 ho provato la mescalina”, racconta. Una spirale di abusi, scontri con la realtà e con la legge: “Una volta ho avuto una colluttazione con la polizia. Ero sotto effetto e ho fatto il matto su un taxi. Il poliziotto arriva, mi tira un pugno in faccia, io ero allucinato quindi l’ho spaccato di legnate. Lì dopo poco mi fanno il primo TSO, me ne hanno fatti 7 in un anno”.

            TSO, disperazione e il buio più profondo
            Non risparmia nulla, nemmeno i momenti più duri. “A Milano ho trovato due dottori cattivissimi che mi hanno legato al letto per tre giorni… urlavo che mi serviva il pappagallo, io ero legato e mi dovevo fare la pipì addosso”. Un dolore quegli anni che tocca anche la famiglia: “L’unica volta che ho visto piangere mio padre è stata quando gli chiedevo di andare a fare l’eutanasia, perché non provavo più nulla”.

            Il punto più basso arriva a 15 anni e mezzo. Arresti, comunità, isolamento. E la fuga verso l’estremo: “Prendo le chiavi dell’infermeria, sette boccettine di metadone. Le bevo tutte. Volevo suicidarmi. Arrivano i pompieri e sfondano la porta… nessun medico ha saputo dirmi come io sia ancora vivo”.

            La Svizzera e la diagnosi che cambia tutto
            La svolta arriva dopo. “Quando sono arrivato in clinica mi hanno detto: ‘Se fossi stato fuori altri 10 giorni saresti morto’”. In Svizzera scopre l’ADHD. “Tu ti volevi auto-curare con la droga”, gli dicono i medici. Una frase che gli rimane impressa. Anche i genitori partecipano a un corso specifico: “Da lì non è mai più successo niente, perché loro sanno come dirmi un no”.

            Una nuova consapevolezza
            Oggi Achille ha 21 anni e guarda avanti: “Sono fiero di me. Non mi vergogno di quello che mi è successo, perché sono una persona normale. Ho imparato a non dimenticare quei traumi, ma a farne tesoro”.

            Non uno slogan motivazionale, ma una verità conquistata, passo dopo passo. E, come dice lui, “grazie a chi non ha smesso di esserci”.

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              Giorgia sul caso delle “sorelle di chat”: «Insultare non è femminista». La cantante interviene

              Parlando con Il Fatto Quotidiano, l’artista commenta l’indagine che riguarda tre attiviste accusate di stalking e diffamazione: «Tempo violento, non avrei voglia né modo di insultare nessuno».

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              Giorgia

                Il dibattito sulle forme di attivismo digitale e sui confini dell’azione politica torna al centro della cronaca. La Procura di Monza ha iscritto nel registro degli indagati tre attiviste, Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene, nell’ambito di un’indagine per stalking e diffamazione. Un gruppo definito in rete come “le sorelle di chat”, accusato di aver messo nel mirino alcune persone con campagne ritenute aggressive e reiterate. Il caso alimenta il confronto su toni, linguaggi e responsabilità, soprattutto nel campo del femminismo contemporaneo e dei social network.

                Giorgia: «Non c’è femminismo nell’insulto»

                A intervenire è Giorgia, che sul Fatto Quotidiano ha espresso il suo punto di vista. «Non trovo niente di femminista nell’insultare le persone», afferma. La cantante ricorda la sua formazione in un ambiente femminile forte e coeso: «Sono cresciuta in un ambiente di donne che si sono sempre rimboccate le maniche. Mia madre era una femminista gentile: mi dava libri, mi spiegava, parlava. È stato un esempio». L’artista sottolinea di non riconoscersi in dinamiche di aggressione verbale: «Non rientra nella mia educazione comprendere come possa essere ideologico riunirsi e insultare persone a prescindere».

                “Un tempo violento”

                Per Giorgia il problema va oltre il singolo caso e riguarda il clima del dibattito pubblico: «Diciamo che questo è un tempo molto violento. Io non ce l’avrei il tempo di stare a insultare. Non ci arrivo, non credo che ci sia nulla di femminista in questo». Una posizione che riporta il discorso sul terreno del confronto di idee e non dello scontro permanente, soprattutto in un’epoca in cui la visibilità digitale può amplificare toni eccessivi e polarizzazioni.

                Il confronto interno al movimento

                L’indagine e le parole della cantante accendono una discussione anche dentro il mondo femminista, dove da tempo convivono approcci diversi: dal linguaggio militante più duro a forme di attivismo empatico e dialogico. La giustizia farà il suo corso, ma il tema resta aperto: come difendere diritti e istanze senza trasformare l’arena social in una piazza punitiva. Per Giorgia la strada passa dalla fermezza, non dall’insulto.

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