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Personaggi e interviste

Bisnonno Libero: Lino Banfi riunisce quattro generazioni per lo scatto in copertina

Il celebre attore pugliese celebra l’arrivo della pronipote Matilde Lucia, un evento che considera un segno del destino. Un racconto di famiglia, amore e ricordi, con un desiderio speciale: riunire ancora una volta i Martini di Un medico in famiglia.

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    Un’unica immagine in copertina sul settimanale Oggi, una fotografia che racconta amore e legami indissolubili. Lino Banfi posa orgoglioso con la piccola Matilde Lucia, la figlia Rosanna e la nipote Virginia. Un momento speciale che diventa simbolo di continuità e speranza.

    La copertina del settimanale

    L’amore più forte della scienza

    L’attore, amatissimo dal pubblico italiano, si lascia andare a un pensiero profondo sulla nascita della pronipote. Un evento che sembrava impossibile, ma che si è realizzato contro ogni previsione. «Questa bambina non doveva nascere» confessa con emozione. Virginia, infatti, aveva ricevuto una diagnosi di menopausa precoce, che avrebbe dovuto precluderle la maternità. Ma la scienza e forse qualcosa di più grande hanno sovvertito ogni pronostico: attraverso la procreazione assistita, Matilde Lucia è venuta al mondo.

    Lucia, amatissima moglie sempre nei suoi pensieri

    Per Lino Banfi, dietro questa nascita c’è un segno dal cielo. «Sono sicuro che mia moglie Lucia ci abbia messo lo zampino» racconta con la voce velata di emozione. Sua moglie, scomparsa il 22 febbraio 2023, è sempre nel suo cuore, e il destino ha voluto che la piccola Matilde venisse al mondo proprio il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia. Un caso? Per Lino Banfi, assolutamente no. «Se non è un miracolo questo…» aggiunge, sottolineando quanto sia forte la presenza della sua amata, anche se non fisicamente accanto a lui.

    L’importanza della famiglia

    L’amore per Lucia è una costante nella vita dell’attore. Da sempre un uomo di famiglia, continua a sentirne la vicinanza e a credere che lei gli stia preparando un posto nell’Aldilà. Un amore che non si spegne, ma si trasforma, accompagnandolo anche nei momenti più importanti della sua vita.

    Un sogno per il futuro

    Guardando al futuro, Lino Banfi ha un desiderio: vedere crescere la sua pronipote e, magari, tornare a vestire i panni di nonno Libero in Un medico in famiglia. «Mi piacerebbe girare altre 4 o 5 puntate, di nuovo tutti i Martini insieme per una bella festa» confessa. Un sogno che fa riaffiorare ricordi dolci e nostalgici.

    Durante una recente visita a Cinecittà, ha ritrovato la casa della famiglia Martini ancora intatta. L’emozione è stata grande, soprattutto nel rivedere l’ulivo che aveva piantato anni fa, ormai cresciuto con un tronco possente. Un simbolo di radici profonde, proprio come i legami che ha sempre coltivato nella sua vita e carriera.

    lino banfi, un simbolo di amore e famiglia

    Lino Banfi è da sempre un simbolo di autenticità, affetto e calore familiare. Con la nascita della pronipote, si chiude un cerchio, ma se ne apre un altro, fatto di nuove speranze e sogni. La piccola Matilde Lucia rappresenta il futuro, ma anche un filo invisibile che lega passato e presente.

    In un mondo in continua evoluzione, la storia di Lino Banfi e della sua famiglia ci ricorda che l’amore, la memoria e i legami veri sono eterni. E forse, da qualche parte, Lucia sorride, orgogliosa della famiglia che ha costruito e dell’uomo che, con il suo cuore grande, continua a trasmettere emozioni a milioni di persone.

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      Personaggi e interviste

      Veronica Gentili: “Le critiche? Nessuno mi rompe le scatole quanto me stessa. E dopo L’Isola non dico più ‘mai’”

      Dall’esordio al cinema con Come te nessuno mai alla tv, dai talk alla politica, fino al reality più discusso: Veronica Gentili rivendica il suo percorso “spurio” e annuncia nuove sfide. Tra fragilità, insicurezze e un desiderio di maternità, ammette: “Non devo più dire ‘questo non lo farò mai’”.

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        Veronica Gentili torna a vestire la divisa nera delle Iene. Da oggi la giornalista e conduttrice riprende le redini del programma cult di Italia 1, pronta a riabbracciare inchieste e servizi corrosivi dopo l’esperienza da padrona di casa de L’isola dei famosi. Un passaggio che, più di altri, l’ha esposta ai commenti taglienti del pubblico e degli addetti ai lavori.

        «Le critiche? Se sei abituata a tormentarti da sola, quello che ti danno gli altri lascia il tempo che trova. Nessuno riesce a rompermi le scatole quanto me stessa», afferma con il sorriso. Un’autocritica feroce, la sua, che spiazza chi la vede sempre sicura e tagliente davanti alle telecamere. «Sono piena di fragilità – confessa –. Quello che mi manca davvero è la spensieratezza: mi faccio mille problemi per tutto e per tutti».

        Il bilancio dell’Isola, però, resta per lei positivo: «Ho dato un mio stile distintivo e gli ascolti, considerando il contesto, erano buoni». Non un passo falso, dunque, ma una deviazione nel suo percorso che oggi rivendica. «All’inizio non volevo neanche farlo – ricorda –. Poi ho pensato: non devo dire mai ‘questo non lo farò’. E infatti ho contraddetto me stessa».

        La metamorfosi è nel suo dna. Nata come attrice – esordì al cinema in Come te nessuno mai di Muccino – Gentili ha alle spalle un diploma all’Accademia Silvio d’Amico. Ma sul set, racconta, si è accesa un’altra esigenza: «Sentivo che mancava un pezzo. Non bastava recitare, volevo anche dire la mia. E così è arrivata la politica, il giornalismo, la tv di inchiesta».

        Un percorso che rivendica come “spurio” e che affonda le radici in una famiglia altrettanto eclettica: «Mio padre avvocato diventato dirigente Rai, mia madre mercante d’arte, mio fratello fisico prestato alla computer science, mia sorella psicologa. Nessuno di noi è nato e morto nello stesso quadrato».

        Coraggio o autostima? «Coraggio, che spesso diventa imprudenza. Ma è così che sono cresciuta». Anche nelle scelte private, come ammette, la regola è sempre una: non accontentarsi. Oggi, però, il pensiero corre altrove. «All’ordine del giorno semmai potrebbe esserci un figlio – rivela –. Lo desidero da tempo ma l’ultimo periodo è stato molto doloroso per via della morte di mio padre».

        E se un domani fosse la politica a chiamarla? Veronica non si sbilancia: «A oggi non mi interessa. Ma non dirò mai più ‘non lo farò mai’. Ho imparato che la vita sorprende. L’Isola lo ha dimostrato».

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          «Credevo che sarei morta in un letto d’ospedale». Bianca Balti racconta la paura, la malattia e il coraggio di sentirsi viva

          Dopo l’asportazione del seno nel 2021 per la mutazione del gene BRCA1, aveva rimandato la rimozione delle ovaie: “Non è una decisione facile. Ho avuto paura di sentirmi meno donna”. Una battaglia personale che oggi trasforma in testimonianza collettiva, per dare forza a chi si trova davanti alla stessa scelta

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            C’è un giorno che Bianca Balti non potrà mai dimenticare. L’8 settembre 2024, in un pronto soccorso della California, i medici le dissero che aveva un tumore ovarico al terzo stadio. La diagnosi arrivò come una sentenza. «Credevo che sarei morta in un letto d’ospedale e che le mie figlie sarebbero cresciute senza madre», racconta oggi la top model, 40 anni, nel suo nuovo diario online. Una confessione che scava nell’intimità della paura più grande: quella di non esserci più.

            La modella, icona internazionale, ha scelto di condividere la sua storia partendo da quel momento buio. «Non avevo mai sperimentato la mortalità fino ad allora», scrive. Il cancro non era più un concetto astratto, ma una realtà che si prendeva spazio nella sua vita, costringendola a guardare in faccia l’ipotesi più terribile.

            La mutazione genetica e le scelte difficili

            Bianca non era del tutto impreparata. Nel 2021 le era stata diagnosticata la mutazione del gene BRCA1, che aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare tumori al seno e alle ovaie. All’epoca decise di sottoporsi subito a una mastectomia preventiva, ma non fece lo stesso con le ovaie. «Rimandavo. Molti, dopo, mi hanno chiesto: se lo sapevi, perché non l’hai fatto? Ma bisogna essere gentili con le donne… Perché non è una decisione facile da prendere», spiega.

            Le ovaie, dice, sono parte della femminilità, del desiderio di maternità che non aveva ancora accantonato: «Io volevo altri figli, li ho sempre voluti. Togliere le ovaie è un pezzo di identità che senti di perdere. Ho avuto paura di sentirmi meno donna». Parole che pesano come un macigno in un dibattito medico spesso dominato da fredde statistiche, e che lei riporta sul piano emotivo ed esistenziale.

            Il pianto, la fede e Google

            Quando ricevette la diagnosi, la sua prima reazione fu disperazione. «La mia prima reazione fu piangere. Non riuscivo a respirare. Ho pensato: sono una stupida, dovevo farlo prima», ha confidato in un’intervista al Corriere della Sera. In quelle ore, la fede che negli anni aveva costruito come un rifugio personale fu messa alla prova. «Dodici anni fa sono tornata sobria e ho costruito una fede che fosse mia, dolce e indulgente. Quella fede è stata messa alla prova la notte in cui ho digitato su Google: il cancro ovarico al terzo stadio è curabile?». La risposta era spietata: «Non sempre».

            Una rinascita condivisa

            Oggi Bianca è viva e festeggia la vita. Ha deciso di trasformare la sua esperienza in un percorso collettivo: un blog in cui invita le persone a scegliere un giorno da celebrare. «Non deve essere necessariamente legato alla malattia. Potrebbe essere il giorno in cui hai lasciato una relazione che ti stava distruggendo. Il giorno in cui sei sopravvissuto a un incidente. Il giorno in cui hai capito di voler andare avanti».

            L’iniziativa ha già trovato eco: oltre 150 persone hanno scritto sul blog, condividendo la propria data simbolica. Un flusso di testimonianze che conferma la potenza di un gesto semplice: segnare sul calendario il giorno in cui si è sopravvissuti e ricordarlo ogni anno come un anniversario privato di resilienza.

            Una vita nuova con le figlie

            Al centro di tutto, restano le sue figlie, Matilde e Mia. La paura più grande, dice, era quella di lasciarle senza una madre. È stato pensando a loro che ha trovato la forza di affrontare le terapie, le operazioni e i mesi più duri. «Ogni volta che vedevo i loro occhi, capivo che non potevo arrendermi», scrive. La maternità, vissuta come responsabilità e come amore assoluto, è stata il carburante della sua lotta.

            L’invito a non rimandare

            La testimonianza di Bianca Balti non è un manifesto di eroismo, ma un invito alla consapevolezza. La top model ammette gli errori, i rimandi, la paura di sentirsi “meno donna”. Eppure, proprio da quella vulnerabilità, nasce la forza del suo messaggio: non rimandare, non sottovalutare i segnali, non lasciare che la paura decida al posto tuo.

            Oggi, per lei, il giorno da celebrare non è solo quello in cui ha ricevuto la diagnosi, ma quello in cui ha capito che poteva ancora vivere, amare e raccontare la sua storia. Un anniversario personale che ha trasformato in patrimonio collettivo, perché «la vita non si festeggia solo quando si vince: si festeggia ogni volta che si sopravvive».

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              Diego Abatantuono: “La vecchiaia mi fa schifo, ma bisogna prenderla con allegria”

              Il comico e attore milanese torna sul grande schermo con Esprimi un desiderio: “I successi di oggi nascono dalle sconfitte di ieri. Mi sento ancora vicino ai giovani, almeno fino a quando non parlano di social: la sola parola mi provoca mal di stomaco”.

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                A settant’anni Diego Abatantuono non ha perso la battuta pronta, ma nemmeno la lucidità per guardare con ironia e realismo al tempo che passa. Nel nuovo film di Volfango De Biasi interpreta Ettore, ex imprenditore vinicolo che vive in una Rsa ma non rinuncia ai sogni. Un ruolo che lo costringe a misurarsi con la vecchiaia, tema che affronta senza giri di parole: «La vecchiaia mi fa abbastanza schifo, ma bisogna prenderla con allegria, perché non ci sono altre soluzioni. È come una malattia costante, con cui bisogna convivere. L’abilità sta nel non farci troppo caso».

                E se qualcuno gli chiede se ci riesce, risponde con disincanto: «Fino a un certo punto. Se la mattina riesco ad alzarmi va bene, quando diventa più difficile allora sì, me ne accorgo. Ma il brutto non è tanto la mia vecchiaia: è vedere quella degli amici. L’importante è che ci siano, perché quando non ci sono più, quella è la parte peggiore».

                Abatantuono, da sempre legato alla commedia, non rinnega le sue origini, anzi: «I film brillanti li faccio sempre volentieri, penso che la gente abbia bisogno di ridere. È il genere più difficile, ma anche quello che dà più senso al mio lavoro. Se capita un film serio, lo faccio, ma far sorridere resta il compito più complicato e utile».

                Non mancano i ricordi: «Mi fa un bell’effetto sentire ancora oggi le battute di Eccezziunale… veramente. Quel personaggio, che sembrava semplice, in realtà esprimeva una sua verità: c’è sempre qualcuno più a sud di un altro». E sull’altra svolta della carriera: «Ringrazierò sempre Pupi Avati per Regalo di Natale. So che prima di chiamare me aveva sentito Lino Banfi, che rifiutò. Quel film mi cambiò la vita».

                Eppure oggi non si guarda indietro con nostalgia. Si tiene in mezzo ai giovani, anche se con qualche distanza: «Non riesco a vedermi come un vecchio, mi sento alla loro altezza, almeno finché non parlano troppo di tecnologie. I social? La sola parola mi provoca mal di stomaco: se la mattina invece del caffè dico “social”, ottengo lo stesso effetto».

                Infine, uno sguardo al presente: «Ciò che mi preoccupa è la superficialità con cui si accettano eventi assurdi. Da appassionato di storia so che quello che accadde prima della guerra si sta ripetendo. Ma davanti ai miei figli devo simulare allegria, non posso incupirmi. È il prezzo di una vita vissuta tra amici e grandi tavolate».

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