Personaggi e interviste
Daniele Scardina senza filtri: «Vi parlo di Diletta Leotta, la più bella». La rinascita di King Toretto
Dopo l’emorragia cerebrale che lo ha portato in coma, il pugile sta lottando per tornare a camminare. «Per i medici sono un miracolo». Tra fede, sacrificio e forza di volontà, Scardina ripercorre il suo passato, parla del suo rapporto con Diletta Leotta e guarda al futuro con speranza.
Daniele Scardina è nato per combattere. Lo ha fatto sul ring, inseguendo la gloria nella boxe. Oggi lo fa ogni giorno per riappropriarsi della sua vita. Il 28 febbraio 2023, una data che non dimenticherà mai: durante un allenamento, il blackout improvviso. Emorragia cerebrale, corsa disperata in ospedale, operazione d’urgenza, coma.
Sembrava la fine, ma King Toretto ha sempre saputo lottare. Ora il suo unico obiettivo è tornare a camminare.
«C’erano mia madre, mio fratello, i miei amici, che sono la mia famiglia. Ho voluto vivere, risvegliarmi, ho voluto tornare a ogni costo. Ho combattuto dentro quel buio della mia anima con i denti, con la punta dei capelli, con i lobi delle orecchie, ho combattuto con ogni fibra che avevo, che ho», racconta nell’intervista a Chi.
I sogni sono cambiati: un tempo inseguiva il titolo mondiale, oggi la sua battaglia è più semplice, ma immensa. «Il mio sogno è tornare a camminare. Ci sto riuscendo, piano piano».
Una lotta quotidiana per la vita
La strada per la rinascita è lunga e faticosa. Quando si è risvegliato dal coma, non si muoveva, aveva perso la memoria, non riusciva a parlare.
«Ho dovuto imparare di nuovo tutto, tutto quanto. Non riuscivo a parlare, a ridere, a piangere. Ancora oggi, non sempre mi escono le lacrime».
Ogni giorno si sveglia, prega, fa colazione e si allena, tra le mura del San Raffaele o a casa. Un percorso in salita, ma che affronta con grinta.
«Per i medici sono un miracolo. Sono entrato in sala operatoria morto e ne sono uscito vivo. Dovevo morire, e invece sono qui, con la testa che funziona».
La forza della fede
A dargli energia, oltre alla sua tempra, c’è la fede. La svolta è arrivata quando viveva a Miami, molto prima del dramma che ha cambiato la sua vita.
«Dio mi ha aiutato, ma l’avevo scoperto già prima dell’emorragia cerebrale. Un giorno sono andato in chiesa con mia cognata, era una chiesa cristiano-evangelica. Quando conosci Dio, non hai alternativa: puoi solo innamorarti».
La fede lo ha sostenuto nei momenti più duri e continua ad accompagnarlo in questa sfida.
L’amore con Diletta Leotta: «Era vero, mai usato per fama»
Scardina è stato anche protagonista del gossip. La sua storia d’amore con Diletta Leotta, oggi sposata con Loris Karius, ha fatto sognare i fan. Oggi, però, il pugile ci tiene a chiarire un punto: «Non abbiamo mai usato la nostra relazione per la notorietà. Era un amore vero e importante».
Non c’è rancore nelle sue parole, solo affetto e rispetto per una storia ormai chiusa:
«All’epoca io ero il più vincente e lei la più bella. Ma non abbiamo mai parlato di noi, non abbiamo mai “usato” la nostra relazione. Le storie finiscono, resta il bene».
Il futuro di King Toretto
Il peggio è passato, ma la battaglia non è finita. Scardina vuole tornare a camminare, a vivere, a costruire un nuovo futuro.
Ogni giorno è una sfida. Ma lui è abituato a combattere. E questa volta, più che mai, è deciso a vincere.
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Personaggi e interviste
Fiorello punge Carlo Conti: “È subdolo, ha preso cantanti con nomi corti per andare più veloce”. E il web si scatena
Una battuta nata a Viva Rai2 diventa virale e accende il clima da pre-Sanremo. Fiorello ironizza sulla mania di Conti per l’efficienza, mentre il pubblico si divide tra chi ride e chi intuisce un retroscena più profondo su come cambia la macchina del Festival.
Fiorello non perde il vizio di sparigliare le carte. Durante una delle sue mattinate romane, lo showman ha commentato la nuova squadra di Carlo Conti per il Festival con una battuta delle sue: «Carlo è subdolo: a lui non importa dei cantanti o delle canzoni, lui deve fa’ veloce. Ha scelto cantanti con nomi corti». Una manciata di parole e il web si è acceso, trasformando l’ennesima ironia di Fiorello in un piccolo caso social.
L’ossessione della velocità secondo Fiorello
La battuta non è solo un gioco di stile. Dentro c’è quella lettura affettuosamente cattiva che Fiorello riserva agli amici di sempre. Conti, noto per la precisione svizzera con cui costruisce scalette e tempi televisivi, diventa così il bersaglio ideale. L’idea che la lunghezza del nome possa influire sulla durata del Festival è talmente assurda da diventare irresistibile, e proprio per questo ha fatto centro.
La risposta del pubblico: risate e interpretazioni
Sui social le reazioni si sono moltiplicate: c’è chi l’ha vista come la solita presa in giro bonaria tra due fuoriclasse della tv e chi ha voluto leggerci un commento più ampio sull’edizione di Sanremo che sta per arrivare. Una parte del pubblico ha addirittura iniziato a stilare classifiche parallele su quali nomi garantiscano “massima resa nel minor tempo”, mentre altri hanno ricordato le interminabili serate del passato, trasformando la battuta in un rimedio contro i traumi televisivi collettivi.
L’amicizia che permette tutto
La verità è che Fiorello può permettersi questo e altro. Il suo rapporto con Carlo Conti è fatto di confidenza, stima e quel tipo di complicità che autorizza la presa in giro. Il Festival è ancora lontano, ma la temperatura dell’attesa cresce anche grazie a momenti come questo, in cui l’ironia diventa il miglior teaser possibile. E, scherzi a parte, la sensazione è che Samremo stia già correndo veloce… nomi corti o meno.
Personaggi e interviste
Vanessa Incontrada punta dritta a Sanremo: “Se non lo faccio quest’anno non lo farò mai più”, il sogno che ora guarda a Carlo Conti
Vanessa Incontrada non si nasconde più e ammette apertamente di voler condurre il Festival. «Se non faccio Sanremo quest’anno non lo farò mai più», dice con quella franchezza che la contraddistingue. E ora tutte le attenzioni si spostano sul rapporto con Carlo Conti, direttore artistico, che potrebbe essere la chiave del suo grande salto all’Ariston.
Sanremo è un sogno che torna, ciclico, insistente. E per Vanessa Incontrada è arrivato il momento di dirlo senza giri di parole. «Se non faccio Sanremo quest’anno non lo farò mai più», ha dichiarato con una sincerità che ha subito catturato l’attenzione del pubblico. Una frase che suona come un desiderio, ma anche come una sfida al destino.
Il desiderio di un palco iconico
Vanessa non è nuova ai grandi show, ma il Festival è un’altra cosa: è il palco più osservato d’Italia, il luogo dove un volto televisivo si trasforma in icona. Ed è chiaro che per lei sarebbe un coronamento naturale. La sua conduzione, fatta di leggerezza, calore e un sorriso che buca lo schermo, potrebbe funzionare alla perfezione nell’arena dell’Ariston.
Il ruolo decisivo di Carlo Conti
Il suo asso nella manica, inutile negarlo, si chiama Carlo Conti. Tra i due c’è un rapporto di fiducia consolidato e il fatto che lui sia al timone del Festival rende tutto più interessante. Vanessa non lo dice apertamente, ma è evidente che conti sulla loro amicizia, o almeno sulla sua capacità di capire cosa potrebbe dare al pubblico una presenza come la sua.
Perché la sua candidatura fa rumore
La forza di Vanessa è sempre stata la spontaneità. E proprio questo rende la sua ambizione così credibile. Non ci sono calcoli, non ci sono strategie: solo una donna che sente di essere nel momento giusto per giocarsi una carta importante. Il pubblico, intanto, si divide tra chi la vede già scendere la scala dell’Ariston e chi aspetta la decisione finale del direttore artistico.
Un sogno che può diventare notizia
Al momento non c’è nulla di ufficiale, ma la frase è bastata per innescare l’immaginazione collettiva. Vanessa Incontrada che apre la serata, accanto a Carlo Conti, è uno scenario che corre veloce sui social e nei corridoi televisivi. Sanremo vive anche di questo: desideri che diventano possibilità e possibilità che, a volte, diventano realtà.
Personaggi e interviste
Pandorogate, la sentenza attesa a gennaio 2026: dopo l’arringa della difesa Chiara Ferragni aspetta il verdetto
Nel procedimento sul cosiddetto Pandorogate la Procura di Milano ha chiesto un anno e otto mesi per Chiara Ferragni. Il giudice ha riconosciuto la Casa del Consumatore come parte civile, confermando il diritto dei consumatori a chiedere un risarcimento. Al centro del processo le campagne legate al Pandoro Balocco “Pink Christmas” e alle uova Dolci Preziosi, il confine tra marketing solidale e truffa e il ruolo degli influencer nella fiducia del pubblico.
La sentenza è attesa per gennaio 2026. Nel Tribunale di Milano il cosiddetto Pandorogate è arrivato al suo passaggio decisivo: l’udienza dedicata all’arringa della difesa di Chiara Ferragni, che si è svolta a porte chiuse ma sotto i riflettori dell’opinione pubblica. L’influencer è imputata in rito abbreviato per truffa aggravata, con una richiesta della Procura di un anno e otto mesi di reclusione, già ridotti proprio grazie al rito scelto. Ora il procedimento entra nella fase conclusiva, in cui il giudice dovrà tirare le fila di un caso che va oltre i singoli panettoni griffati.
Un processo simbolo per l’influencer economy
Quella che si è chiusa nell’aula meneghina non è stata una semplice udienza tecnica, ma un passaggio simbolico per l’ecosistema dell’influencer marketing. Il Pandorogate è diventato il paradigma di una domanda destinata a pesare anche in futuro: fino a che punto un’operazione commerciale che richiama la beneficenza può giocare sulle emozioni dei consumatori senza oltrepassare il confine del messaggio ingannevole? La risposta, stavolta, non arriverà da un algoritmo o da una campagna social, ma da una sentenza penale.
La linea della Procura: consumatori fuorviati e profitti indebiti
Secondo la ricostruzione della Procura di Milano, tra il 2021 e il 2022 milioni di consumatori sarebbero stati indotti a credere che l’acquisto diretto del Pandoro Balocco “Pink Christmas” e delle uova Dolci Preziosi fosse legato in modo immediato e proporzionale alla beneficenza. Il meccanismo comunicativo – sostengono i pm, anche sulla base degli accertamenti della Guardia di Finanza – avrebbe creato l’idea che più si comprava, più si donava. In realtà, secondo l’accusa, né il prezzo – raddoppiato rispetto al prodotto standard – né il numero delle vendite avrebbero inciso sull’entità effettiva delle donazioni. Il cuore del processo, quindi, non è solo economico: riguarda la fiducia. Cosa è stato fatto capire al pubblico? E quanto questo coincideva con la realtà dei contratti e dei bonifici?
Dentro le mail interne: il nodo delle risposte “non troppo precise”
A rendere più delicato il quadro ci sono le mail interne richiamate nelle carte dell’accusa. In quei messaggi, secondo quanto riportato, si farebbe riferimento alla necessità di evitare risposte troppo dettagliate a chi chiedeva che quota del prezzo del pandoro o delle uova finisse in beneficenza. Per i pm questo tassello concorre a delineare un modello di comunicazione “fuorviante”, strutturato per non chiarire fino in fondo il rapporto tra prodotto acquistato e donazione finale. Da qui la contestazione di presunti profitti indebiti, quantificati in circa 2,2 milioni di euro. Per la difesa, invece, quelle email sarebbero parte di un contesto più ampio, fatto di scambi e aggiustamenti di comunicazione che non possono essere letti automaticamente come la prova di un disegno preordinato di inganno.
La strategia difensiva di Ferragni: buona fede e beneficenza reale
In aula gli avvocati di Chiara Ferragni hanno ribadito il punto chiave della loro linea: la buona fede. La tesi è che non ci sia mai stata la volontà di raggirare chi comprava il pandoro o le uova, ma la scelta di legare operazioni commerciali a una componente solidale reale, forse comunicata in modo non perfetto ma non costruita per trarre in inganno. La difesa insiste sul fatto che le donazioni siano comunque arrivate, che il legame con la beneficenza non fosse fittizio e che eventuali criticità sul piano della trasparenza vadano lette come errori di comunicazione, non come reato penale.
In questo quadro viene ricordato anche il gesto successivo dell’influencer, che ha donato complessivamente 3,4 milioni di euro. Per la Procura è un elemento neutro rispetto alla responsabilità: il diritto penale, spiegano i magistrati, valuta i comportamenti al momento dei fatti, non le iniziative riparatorie successive. Per la difesa, però, è un segnale del rapporto reale tra Ferragni, i temi sociali e il mondo della beneficenza, che andrebbe considerato nel giudizio complessivo sulla sua condotta.
Consumatori al centro: la Casa del Consumatore resta parte civile
Sul fronte dei consumatori è arrivato un passaggio importante. Il giudice ha respinto la richiesta della difesa di escludere la Casa del Consumatore come parte civile, riconoscendole il diritto di restare nel processo e di chiedere un eventuale risarcimento. È un tassello che pesa, perché certifica che la vicenda non riguarda soltanto la reputazione di Chiara Ferragni o i rapporti tra marchi e influencer, ma anche un presunto danno collettivo subito da chi ha comprato quei prodotti convinto di contribuire direttamente a una causa benefica.
La presenza dell’associazione in aula rende ancora più chiaro il terreno su cui si gioca il Pandorogate: la tutela di chi acquista, la trasparenza delle campagne solidali, la possibilità per le organizzazioni dei consumatori di intervenire quando percepiscono una frattura tra messaggio pubblicitario e realtà dei fatti.
Verso la sentenza: gennaio 2026 come data chiave
Lo scenario temporale è delineato. Dopo l’arringa della difesa, il fascicolo si avvia verso la sentenza, attesa per gennaio 2026. In quella data il giudice dovrà sciogliere il nodo principale: le campagne legate al Pandoro Balocco “Pink Christmas” e alle uova Dolci Preziosi sono state soltanto operazioni di marketing mal calibrate o hanno superato il limite, trasformandosi in un raggiro ai danni dei consumatori?
La risposta avrà conseguenze immediate per Chiara Ferragni, ma anche un effetto domino sul mondo dei brand personali, delle collaborazioni commerciali e delle iniziative “charity” lanciate online. Perché questo processo, al di là dei nomi coinvolti, mette a fuoco un punto cruciale: quanto vale la parola di chi parla ai consumatori non solo come testimonial, ma come “amica” e punto di riferimento quotidiano sui social.
In un ecosistema in cui la reputazione è moneta, il verdetto sul Pandorogate sarà più di una sentenza penale. Sarà uno spartiacque tra il prima e il dopo nella relazione tra influencer, aziende e pubblico. E, nel rumore del web, il fatto che a decidere sia un giudice – e non una strategia di comunicazione – resta il dato più significativo.
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