Personaggi e interviste
Gaia Zucchi: Zeffirelli, la Lollo, il cinema, i libri e la recitazione come flusso di vita
In occasione dell’uscita della seconda edizione del suo fortunato libro “La vicina di Zeffirelli”, abbiamo avuto l’occasione di parlare con l’attrice Gaia Zucchi – qui in veste di esordiente scrittrice – in una chiacchierata estremamente piacevole e ricca di spunti.

Abbiamo fatto una lunga chiacchierata telefonica con Gaia Zucchi. Non la classica intervista – anche se la leggerete come tale in questo articolo – ma uno scambio di punti di vista, di emozioni e di suggestioni come si farebbe con un’amica famosa, che ha avuto la fortuna di vivere un rapporto straordinario nella sua vita, dalla quale vorresti apprendere qualche elemento utile anche a te. Aprendoci le porte del suo mondo, raccontandoci dei suoi legami con il leggendario regista Franco Zeffirelli, delle sfide, delle inevitabili delusioni ma soprattutto delle soddisfazioni del suo percorso professionale. Con uno sguardo rivolto costantemente al futuro.




Costantemente sotto il segno dell’arte
Attrice e scrittrice, Gaia Zucchi rappresenta una donna e una professionista poliedrica che è riuscita a ritagliarsi un preciso spazio nel panorama artistico italiano grazie alla sua viscerale passione per il cinema, il teatro e – più di recente ma non con meno intensità – la letteratura. Attraverso una carriera ricca di esperienze straordinarie, collaborando con alcuni dei più grandi nomi dell’arte e dello spettacolo, sotto il segno dell’arte vera.
L’arte dell’incontro
E se la vita, come sosteneva il grande musicista brasiliano Vinicius de Moraes, è davvero “l’arte dell’incontro”, sicuramente Gaia l’ha sempre praticata (e lo fa tuttora) con la capacità di avvicinarsi con curiosità ed affetto alle più disparate esperienze per poi sintetizzarle in qualcosa di nuovo e prezioso. Il medesimo approccio che ha utilizzato scrivento “La vicina di Zeffirelli”, il suo libro d’esordio, con la prefazione di Maria Giovanna Elmi, una sua grande amica.
Una piacevolissima chiacchierata
Gaia, partiamo dal tuo libro che già dal titolo è in grado di incuriosire. Che cosa rappresenta per te in questo preciso momento della tua vita?
La curiosità del titolo la devo al mio manager, fratello e carissimo amico, Walter Garibaldi. Una persona alla quale sono fraternamente legata da oltre 30 anni. Quando me l’ha proposto ho subito intuito che riusciva a sintetizzare in maniera originale e creativa la mia vita attraverso l’amicizia con queste grandissime personalità. E’ vero, posso dire con orgoglio che quella con Franco è stata una bella amicizia. Lui era una persona che mi voleva molto bene, che mi stimava e che mi proteggeva. Posso dire che l’intuizione di Walter alla fine si sia rivelata vincente, perchè il titolo incuriosisce e piace… e fortunatamente anche il contenuto!
In cosa hai trovato ispirazione per scrivere questo libro? Ci sono stati momenti o eventi specifici che ti hanno spinta a raccontare questa storia?
Da anni mi veniva detto di scrivere perché mi viene riconosciuto il dono della scrittura e perché la mia vita, tutto sommato, sembra la sceneggiatura di un film. Tutti mi ripetevano: “Devi scrivere della tua vita, devi farne un libro e poi un film”. Ho sempre pensato che a nessuno potesse interessare leggere un mio libro e ho sempre accantonato la cosa. Poi, quando è morta mia mamma, la mia amatissima mamma Mirella, il dolore è stato talmente forte che ho sentito il bisogno di rivoluzionare la mia vita. Le strade col compagno con cui stavo da sempre si sono divise e mi sono ritrovata da sola. A quel punto, come in una visione, è comparsa mia mamma che mi ha detto: “Scrivi”. Questo libro è naturalmente dedicato a lei, sono sicura che dietro al successo di questo libro ci sia il suo spirito amoroso, perché la sento sempre stretta a me. Sento che mi dice che andrà tutto bene e che la mia vita prenderà il volo, che non devo mai arrendermi, come lei non si è mai arresa fino all’ultimo momento.
Come era Zeffirelli di persona?
Sicuramente una figura complessa. Immensamente appassionato per il suo lavoro, perfezionista, estremamente generoso ed autentico. Se Franco ti amava tutto andava bene, se non gli stavi simpatico sapeva annientarti con parole e taglienti.
Il tuo libro permette anche uno sguardo dietro le quinte del mondo del cinema e del teatro. In che stato di salute sono attualmente a tuo giudizio?
Mi fa male vedere che oggi si stia perdendo il vero senso di questo lavoro. Crescendo accanto a personalità enormi, ti formi in maniera più completa e vorresti trasmettere questa esperienza al mondo. Purtroppo oggi trovo che sia estremamente difficile se non impossibile. Sul set si lavora in fretta, con poco amore, per produrre rapidamente. A teatro c’è sempre meno pubblico, specialmente dopo il Covid. Non è facile trovare lavoro, nulla è più facile. È diventato un mondo quasi impossibile, che solo un grande amore per il mestiere può compensare. Il mio libro è stato definito dal grandissimo Ermanno Corsi, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Napoli per oltre 30 anni e scrittore, un “libro di formazione”. Soprattutto per i giovani, augurando loro di non cadere nei cliché e nelle trappole del cinema e del teatro, mestieri che nascondono anche grandi delusioni.
Come definiresti l’eredità che Zeffirelli ha lasciato nella tua vita?
Sicuramente un’impronta indelebile, insegnandomi tantissimo e trasmettendomi costantemente amore e stima. Sentimenti che, naturalmente, erano reciproci. Franco mi ha insegnato a non arrendermi mai, a non piegare mai la testa davanti a nulla, ad amare questo lavoro e a onorarlo sempre con umiltà ma anche con grande orgoglio e passione. Lui continuava a ripetermi: “Non smettere mai di credere in te stessa, fatti valere, sei una ragazza di talento, nonostante tutte le avversità che potrai incontrare nella vita”. Franco, figura unica ed irripetibile, rappresentava un nonno, un padre, un amico, un uomo che ha lasciato una grande impronta in me. Sono fiera e orgogliosa di poter dire che ho avuto l’onore di essere stata sua amica. Frequentando la sua casa, a contatto con personaggi famosi di grande talento, che lui era in grado di catalizzare. Andavi da lui è ti capitava di incrociare Jeremy Irons, Sting, Cher… non so se mi spiego.
In che cosa, nello specifico, ritieni abbia segnato il tuo modo di vivere la creatività?
Grazie a lui ho sempre affrontato il mio lavoro con meticolosità. Non bisogna mai lasciare nulla al caso: una regola fondamentale.
Rapportarsi con personaggi di quella levatura non ti ha mai creato problemi?
Il confronto con questi grandi maestri può causare un po’ di ansia, ma è un’ansia costruttiva e piacevole, che ti spinge a migliorarti sempre, a crescere, a cercare di approfondire, perché hai avuto la fortuna di confrontarti con mostri di bravura e devi quindi trarne il massimo.
Nel tuo esordio come scrittrice, cos’hai voluto trasmettere? Cosa speri che i lettori traggano dalla lettura di questo libro?
Alla base del mio scrivere c’è il costante concetto della speranza, unito alla lucida (almeno credo) consapevolezza che la vita è fatta di momenti belli e momenti brutti, che vanno affrontarti con coraggio e determinazione. D’altronde la storia che ho scritto parla da sola: quella di una ragazza che ha avuto una vita molto difficile e che, nonostante le difficoltà, è riuscita a trovare la sua strada, grazie anche agli incontri con persone straordinarie come Zeffirelli. Credere in sé stessi, non arrendersi mai, perseverare nella lotta alla conquista dei propri sogni. Di una cosa sono convinta… e non si tratta di una frase ad effetto: con il lavoro, la passione e la determinazione, alla lunga i sogni possono trasformarsi in realtà.
A cosa stai lavorando attualmente?
Sto scrivendo un nuovo libro, dopo la ristampa “rivista e corretta” del primo, richiesta a gran voce dalle persone che mi seguono. Una ristampa che è come un nuovo libro, perchè è stato ampliato con l’aggiunta di capitoli e la sostituzione di tutte le fotografie. Attraverso ogni capitolo e tutte queste nuove immagini, si possono meglio comprendere le mie avventure, vedere i miei figli, la mia vita privata e il mio lavoro. Fotografie tra l’altro scattate dai più grandi fotografi a livello internazionale, che arricchiscono ulteriormente il libro, come quelle di Carlo Bellincampi, Daniele Pedone, Sandro Canestrelli e molti altri.
Ma il libro nuovo… di cosa tratta?
Sto scrivendo La vicina di Gina perché, oltre a Zeffirelli, ho abitato vicino alla grande Gina Lollobrigida. Il mio secondo libro sarà una sorta di seguito. Sto preparando il materiale, scrivendo e cercando le foto. Alessandro Basso ha realizzato la nuova copertina, molto bella e ricca di colori. Il titolo anche stavolta è frutto di un’idea di Walter Garibaldi. Come si dice… squadra vincente non si cambia, quindi anche Andrea Di Bella e Niki Marcelli continueranno a farne parte. Dopo questo, scriverò un terzo libro che però sarà completamente diverso, sul quale per ora non dico nulla. Scrivere mi piace un sacco e voglio continuare a farlo. Ma il mio vero sogno, che spero di realizzare presto, è trasformare La vicina di Zeffirelli in un film o addirittura in una serie televisiva, come pure realizzare una versione per il teatro. Può sembrare un sogni ambizioso, io spero che si avveri…
Le foto di Gaia Zucchi sono di Daniele Pedone
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Personaggi e interviste
«Credevo che sarei morta in un letto d’ospedale». Bianca Balti racconta la paura, la malattia e il coraggio di sentirsi viva
Dopo l’asportazione del seno nel 2021 per la mutazione del gene BRCA1, aveva rimandato la rimozione delle ovaie: “Non è una decisione facile. Ho avuto paura di sentirmi meno donna”. Una battaglia personale che oggi trasforma in testimonianza collettiva, per dare forza a chi si trova davanti alla stessa scelta

C’è un giorno che Bianca Balti non potrà mai dimenticare. L’8 settembre 2024, in un pronto soccorso della California, i medici le dissero che aveva un tumore ovarico al terzo stadio. La diagnosi arrivò come una sentenza. «Credevo che sarei morta in un letto d’ospedale e che le mie figlie sarebbero cresciute senza madre», racconta oggi la top model, 40 anni, nel suo nuovo diario online. Una confessione che scava nell’intimità della paura più grande: quella di non esserci più.
La modella, icona internazionale, ha scelto di condividere la sua storia partendo da quel momento buio. «Non avevo mai sperimentato la mortalità fino ad allora», scrive. Il cancro non era più un concetto astratto, ma una realtà che si prendeva spazio nella sua vita, costringendola a guardare in faccia l’ipotesi più terribile.
La mutazione genetica e le scelte difficili
Bianca non era del tutto impreparata. Nel 2021 le era stata diagnosticata la mutazione del gene BRCA1, che aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare tumori al seno e alle ovaie. All’epoca decise di sottoporsi subito a una mastectomia preventiva, ma non fece lo stesso con le ovaie. «Rimandavo. Molti, dopo, mi hanno chiesto: se lo sapevi, perché non l’hai fatto? Ma bisogna essere gentili con le donne… Perché non è una decisione facile da prendere», spiega.
Le ovaie, dice, sono parte della femminilità, del desiderio di maternità che non aveva ancora accantonato: «Io volevo altri figli, li ho sempre voluti. Togliere le ovaie è un pezzo di identità che senti di perdere. Ho avuto paura di sentirmi meno donna». Parole che pesano come un macigno in un dibattito medico spesso dominato da fredde statistiche, e che lei riporta sul piano emotivo ed esistenziale.
Il pianto, la fede e Google
Quando ricevette la diagnosi, la sua prima reazione fu disperazione. «La mia prima reazione fu piangere. Non riuscivo a respirare. Ho pensato: sono una stupida, dovevo farlo prima», ha confidato in un’intervista al Corriere della Sera. In quelle ore, la fede che negli anni aveva costruito come un rifugio personale fu messa alla prova. «Dodici anni fa sono tornata sobria e ho costruito una fede che fosse mia, dolce e indulgente. Quella fede è stata messa alla prova la notte in cui ho digitato su Google: il cancro ovarico al terzo stadio è curabile?». La risposta era spietata: «Non sempre».
Una rinascita condivisa
Oggi Bianca è viva e festeggia la vita. Ha deciso di trasformare la sua esperienza in un percorso collettivo: un blog in cui invita le persone a scegliere un giorno da celebrare. «Non deve essere necessariamente legato alla malattia. Potrebbe essere il giorno in cui hai lasciato una relazione che ti stava distruggendo. Il giorno in cui sei sopravvissuto a un incidente. Il giorno in cui hai capito di voler andare avanti».
L’iniziativa ha già trovato eco: oltre 150 persone hanno scritto sul blog, condividendo la propria data simbolica. Un flusso di testimonianze che conferma la potenza di un gesto semplice: segnare sul calendario il giorno in cui si è sopravvissuti e ricordarlo ogni anno come un anniversario privato di resilienza.
Una vita nuova con le figlie
Al centro di tutto, restano le sue figlie, Matilde e Mia. La paura più grande, dice, era quella di lasciarle senza una madre. È stato pensando a loro che ha trovato la forza di affrontare le terapie, le operazioni e i mesi più duri. «Ogni volta che vedevo i loro occhi, capivo che non potevo arrendermi», scrive. La maternità, vissuta come responsabilità e come amore assoluto, è stata il carburante della sua lotta.
L’invito a non rimandare
La testimonianza di Bianca Balti non è un manifesto di eroismo, ma un invito alla consapevolezza. La top model ammette gli errori, i rimandi, la paura di sentirsi “meno donna”. Eppure, proprio da quella vulnerabilità, nasce la forza del suo messaggio: non rimandare, non sottovalutare i segnali, non lasciare che la paura decida al posto tuo.
Oggi, per lei, il giorno da celebrare non è solo quello in cui ha ricevuto la diagnosi, ma quello in cui ha capito che poteva ancora vivere, amare e raccontare la sua storia. Un anniversario personale che ha trasformato in patrimonio collettivo, perché «la vita non si festeggia solo quando si vince: si festeggia ogni volta che si sopravvive».
Personaggi e interviste
Diego Abatantuono: “La vecchiaia mi fa schifo, ma bisogna prenderla con allegria”
Il comico e attore milanese torna sul grande schermo con Esprimi un desiderio: “I successi di oggi nascono dalle sconfitte di ieri. Mi sento ancora vicino ai giovani, almeno fino a quando non parlano di social: la sola parola mi provoca mal di stomaco”.

A settant’anni Diego Abatantuono non ha perso la battuta pronta, ma nemmeno la lucidità per guardare con ironia e realismo al tempo che passa. Nel nuovo film di Volfango De Biasi interpreta Ettore, ex imprenditore vinicolo che vive in una Rsa ma non rinuncia ai sogni. Un ruolo che lo costringe a misurarsi con la vecchiaia, tema che affronta senza giri di parole: «La vecchiaia mi fa abbastanza schifo, ma bisogna prenderla con allegria, perché non ci sono altre soluzioni. È come una malattia costante, con cui bisogna convivere. L’abilità sta nel non farci troppo caso».
E se qualcuno gli chiede se ci riesce, risponde con disincanto: «Fino a un certo punto. Se la mattina riesco ad alzarmi va bene, quando diventa più difficile allora sì, me ne accorgo. Ma il brutto non è tanto la mia vecchiaia: è vedere quella degli amici. L’importante è che ci siano, perché quando non ci sono più, quella è la parte peggiore».
Abatantuono, da sempre legato alla commedia, non rinnega le sue origini, anzi: «I film brillanti li faccio sempre volentieri, penso che la gente abbia bisogno di ridere. È il genere più difficile, ma anche quello che dà più senso al mio lavoro. Se capita un film serio, lo faccio, ma far sorridere resta il compito più complicato e utile».
Non mancano i ricordi: «Mi fa un bell’effetto sentire ancora oggi le battute di Eccezziunale… veramente. Quel personaggio, che sembrava semplice, in realtà esprimeva una sua verità: c’è sempre qualcuno più a sud di un altro». E sull’altra svolta della carriera: «Ringrazierò sempre Pupi Avati per Regalo di Natale. So che prima di chiamare me aveva sentito Lino Banfi, che rifiutò. Quel film mi cambiò la vita».
Eppure oggi non si guarda indietro con nostalgia. Si tiene in mezzo ai giovani, anche se con qualche distanza: «Non riesco a vedermi come un vecchio, mi sento alla loro altezza, almeno finché non parlano troppo di tecnologie. I social? La sola parola mi provoca mal di stomaco: se la mattina invece del caffè dico “social”, ottengo lo stesso effetto».
Infine, uno sguardo al presente: «Ciò che mi preoccupa è la superficialità con cui si accettano eventi assurdi. Da appassionato di storia so che quello che accadde prima della guerra si sta ripetendo. Ma davanti ai miei figli devo simulare allegria, non posso incupirmi. È il prezzo di una vita vissuta tra amici e grandi tavolate».
Personaggi e interviste
Kabir Bedi: da Sandokan a sostenitore di Trump, Robert Kennedy Jr. ed Elon Musk
Trump? “Adesso mi piace ma più di lui sono un grande fan di Robert Kennedy Jr., che si sta occupando di cibo e di alcune cose contro l’industria farmaceutica”.

Intervistato da0
Geppi Cucciari e Giorgio Lauro su RadioUno, l’attore Kabir Bedi si svela un trumpiano di ferro. Rivela la sua simpatia per Donald Trump anche se fino a qualche anno fa non la pensava proprio in questo modo. Ma si sa noi tutti trasformiamo la nostra vita e cambiamo opinione. Intervistato da un mensile femminile americano nel ruolo di Sandokan a proposito di Donald Trump l’attore rispondeva che “E’ un perfetto James Brooke, il cattivo rajah bianco di Sarawak che crede fermamente nella superiorità della sua razza sulle altre. Una visione del mondo di cui avere paura“.
Trump: “Adesso mi piace”
A Un Giorno da Pecora l’attore ha condiviso opinioni inaspettate e controcorrente. Durante l’intervista, infatti, ha espresso simpatia per il Presidente americano, ma ha dichiarato un’ammirazione ancora maggiore per Robert Kennedy Jr. e Elon Musk.
“Trump mi piace, ma sono un grande fan di Robert Kennedy Jr.,” ha spiegato l’attore, intervenuto in diretta da Mumbai. “Sta affrontando questioni importanti legate al cibo e ai problemi causati dall’industria farmaceutica. Tuttavia, è difficile spiegare tutto in italiano.”
Sostegno a RFK Jr. e critiche a Big Pharma
Bedi ha ammesso di apprezzare Trump, seppur con meno entusiasmo rispetto a RFK Jr. e Musk. “Mi piace per alcune cose, ma il mio cuore batte più forte per Kennedy e le sue battaglie,” ha spiegato. Quando gli è stato chiesto delle accuse che avvicinano Kennedy al movimento no-vax, Bedi ha replicato con fermezza: “Questa è solo propaganda delle Big Pharma. Lui vuole che le persone abbiano il diritto di scegliere e sostiene la necessità di più ricerca.”
Ed Elon Musk? Per Kabir Bedi “E’ un eroe moderno”
Durante l’intervista, l’attore non ha nascosto la sua ammirazione per Elon Musk. “Sono un grandissimo fan. Musk è incredibile, un vero Superman. Ha affrontato e vinto una battaglia titanica contro l’industria dell’automobile. È un uomo straordinario.” Il protagonista di Sandokan continua a sorprendere il pubblico con dichiarazioni che mescolano nostalgia e contemporaneità, dimostrando di avere opinioni forti e controverse su temi globali. Da leggendario pirata della Malesia a sostenitore di cause moderne, Kabir Bedi si conferma un personaggio sempre fuori dagli schemi…
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