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Personaggi e interviste

Il mio straordinario incontro col Papa. Ma al funerale non ci sarò: parla Al Bano

Il cantantepugliese racconta i suoi incontri con Papa Francesco, definendolo “un guerriero animato dalla fede”. Svela perché non sarà presente alle esequie del pontefice e confessa di non aver mai parlato con lui della figlia scomparsa, Ylenia: “Evito l’argomento, troppo doloroso”.

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    Al Bano Carrisi, figura simbolo della musica italiana, ha scelto di non partecipare al funerale di Papa Francesco, che si terrà sabato mattina in piazza San Pietro, alla presenza di oltre 200 mila fedeli. Un’assenza che nasce da una riflessione personale e profonda. «Per rispetto verso il Papa e la cerimonia – spiega – So che non potrei fare un passo senza che qualcuno mi chieda un autografo o un selfie. Non sarebbe giusto, in un momento così solenne. Preferisco restare nel mio silenzio».

    Un legame profondo con Bergoglio: “Un Papa vero, un padre”

    Il rapporto tra Al Bano e Papa Francesco va oltre le semplici formalità. Lo racconta lui stesso, ricordando due momenti fondamentali. Il primo risale al dicembre 2016, quando, poco prima di un concerto natalizio, fu colpito da un infarto. Operato d’urgenza, riuscì comunque a presentarsi, pochi giorni dopo, all’incontro in Vaticano. «I medici mi consigliavano riposo assoluto. Ma io risposi scherzando: “Se devo morire, meglio davanti al Papa”. Volevo vederlo. E quel primo incontro fu indimenticabile. La sua umanità mi colpì: accarezzava gli ammalati, donava sorrisi, sembrava un padre, oltre che un Papa».

    Il secondo incontro: 45 minuti indimenticabili

    Due anni fa, Al Bano tornò a bussare alla porta del Vaticano, senza appuntamento. «Avevo chiesto udienza, mi avevano detto che non sarebbe stato possibile. Ma io andai lo stesso. La gendarmeria mi aiutò, e il Papa accettò di incontrarmi». Quarantacinque minuti di conversazione intima: si parlò del passato, della musica, di spiritualità. «Gli raccontai del mio duetto con Caruso, lui mi parlò della sua infanzia, di quanto fosse vivace, ma rispettoso. Fu un dialogo vero, autentico».

    “Con lui non ho mai parlato di Ylenia. Cerco di evitare il dolore”

    Ma tra i tanti argomenti, uno rimase sempre fuori: Ylenia, la figlia di Al Bano e Romina Power scomparsa misteriosamente nel 1994. «Non ho mai parlato con Papa Francesco di mia figlia. Evito l’argomento. È una ferita ancora troppo viva. Il dolore non si cancella, si impara solo a conviverci».

    Un addio nel silenzio, ma con il cuore

    Al Bano saluta Papa Francesco da lontano, con il rispetto e l’affetto di chi ha conosciuto non solo un pontefice, ma un uomo capace di farsi prossimo. «Era un guerriero animato dalla fede, mandato tra noi dalla forza dello Spirito Santo. Lo porterò sempre con me».

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      La dolce vita di Elisa Esposito su OnlyFans: dolce come la panna… da 5mila euro!

      Chi avrebbe mai pensato che spalmarsi della panna in faccia potesse valere più di una giornata in tribunale? Eppure è successo davvero. Elisa Esposito, meglio conosciuta come la “prof di corsivo” di TikTok, ha raccontato a “Fuori dal Coro” una delle richieste più bizzarre ricevute su OnlyFans: “Mi hanno dato 5 mila euro per un video in cui mi spalmavo della panna in faccia”.

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        Non si è trattato di panna montata sulla torta. Era un business. Con la stessa disinvoltura con cui declina verbi in corsivo, Elisa ha dichiarato questo modo bizzarro di guadagnare più di un notaio. E non è un’iperbole. Il mondo dei contenuti per adulti, si sa, può essere più redditizio di molti lavori tradizionali. Ma è il modo in cui lo racconta a rendere tutto ancora più interessante: con un misto di ironia, consapevolezza e nessuna voglia di tornare indietro.

        Dalla prof di corsivo alla regina di OnlyFans

        Lei è diventata virale sui social con le sue lezioni di “corsivo milanese”, una trovata ironica che l’ha lanciata nel firmamento delle creator italiane. Ma il vero salto economico è arrivato con OnlyFans, dove le sue performance – panna inclusa – le hanno garantito uno stile di vita ben diverso da quello di un qualsiasi impiegato. “Guadagno più di un lavoro comune, più di un notaio”, ha dichiarato senza filtri. E come biasimarla? Se il mercato chiede panna, lei serve panna. E incassa.

        Le nuove “mantenute digitali”: quando è il fan a pagare l’affitto

        Elisa non è un caso isolato. Il fenomeno delle creator che si fanno “mantenere” dai propri fan su OnlyFans è in crescita. Non si tratta più solo di vendere foto o video, ma di instaurare veri e propri rapporti economico-affettivi con i follower più generosi. In alcuni casi, come mostrato dal servizio di Fuori dal Coro, si parla di mille euro al mese solo per compagnia virtuale. Una relazione 2.0 dove il romanticismo lascia spazio ai bonifici.

        Sugar baby 3.0: la nuova economia dell’influenza

        Il confine tra influencer e sugar baby si fa sempre più sottile. Gruppi Telegram, chat private e social network pullulano di offerte assurde, richieste stravaganti e accordi tra “mantenute” e benefattori. Elisa, con la sua onestà spiazzante, rivendica il suo stile di vita e la sua indipendenza: “Ormai sono abituata a un altro stile di vita, non so se riuscirei a cambiarlo”. E probabilmente non dovrà farlo, visto il successo ottenuto.

        Fra tabù e normalità: business o scandalo?

        L’esplosione di piattaforme come OnlyFans ha messo in discussione molti tabù. È solo intrattenimento per adulti o una vera e propria nuova forma di imprenditoria digitale? Elisa Esposito rappresenta perfettamente questo dilemma: ironica, provocatoria, e assolutamente consapevole del valore del suo personaggio. Forse non tutti possono (o vogliono) spalmarsi panna in faccia per 5 mila euro, ma una cosa è certa: Elisa ha compreso perfettamente come monetizzare un trend, diventando simbolo – discutibile per alcuni, ammirabile per altri – della nuova economia della creatività.

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          Il figlio segreto di Toto Cutugno: “Per me era un ingegnere. Poi ho scoperto la verità su La Settimana Enigmistica”

          Niko Cutugno ha scoperto di essere figlio di Toto Cutugno a soli sette anni, sfogliando distrattamente La Settimana Enigmistica in un pomeriggio del 1996. In copertina c’era proprio lui, il celebre cantautore. Fu il nonno materno a rompere il silenzio: «Lo indicò e mi disse senza girarci intorno: “Quello è tuo padre”».

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            Una verità che fino ad allora era rimasta celata dietro un’apparenza costruita con cura. L’uomo che lo veniva a trovare a Roma, che diceva di essere un ingegnere sempre in trasferta, era in realtà uno degli artisti più popolari d’Italia.

            Due famiglie con un padre fuori dal comune

            La madre di Niko conobbe Toto su un volo nel 1989. Lui era già sposato, ma tra i due nacque una relazione che durò anni. “Per tutta la vita – racconta Niko – non ha mai rinunciato né a sua moglie né a noi. Ha coltivato due famiglie, con tutte le contraddizioni che questo comporta”. Contraddizioni che il figlio ha dovuto affrontare fin da piccolo, tra una normalità apparente e i segnali sempre più evidenti di un padre fuori dal comune. Come quella volta in macchina, quando alla radio passarono una delle sue canzoni. “Sembrava una voce familiare. Lui divenne improvvisamente serio, non disse nulla. Solo più tardi capii perché”.

            Il riconoscimento nel 1997

            Nel 1997 Toto Cutugno decise di riconoscerlo ufficialmente. Una scelta che, se da un lato dava finalmente un nome alla loro relazione, dall’altro apriva la porta a un’esposizione difficile da gestire per un ragazzo ancora in cerca di sé. “I compagni di scuola mi prendevano in giro. Le auto di lusso, gli autisti, Disneyland… erano elementi troppo vistosi in un contesto normale. Eppure per me era tutto confuso. Quando veniva a trovarmi era come Babbo Natale: portava regali, poi spariva”.

            Tutto in un libro autobiografico

            Quell’infanzia a metà, segnata da assenze e apparizioni luminose, Niko l’ha raccontata nell’autobiografia Fino all’ultimo respiro. Oggi ha 36 anni, una compagna e una professione che lo appassiona: è fondatore di un progetto di crescita personale legato alla respirazione. “Ho fatto pace con molte cose. Ma col tempo ho capito una verità amara: spesso ti manca di più chi nella tua vita c’è stato di meno. Non è logico, ma è sincero”.

            Fu lui a consegnare le ceneri dopo la cremazione

            Anche nel momento dell’addio, Niko ha voluto esserci: “Ha chiesto di essere cremato. Sono stato io a portare le sue ceneri a casa di sua moglie”. Un gesto silenzioso, carico di significato. Come la vita che ha vissuto: tra il clamore della musica e le ombre di un amore diviso.

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              Un piatto di carbonara a 70 euro… ma scherziamo?!? L’indignazione di Edoardo Raspelli

              Caviale, guanciale iberico, zafferano, tre foglie d’oro e un prezzo da capogiro: 70 euro. È la Carbondoro, ultima creazione di uno chef milanese. Ma Edoardo Raspelli, il più temuto dei critici gastronomici italiani, la demolisce senza appello: “Un piatto inutile, figlio di un’idea di cucina che non ha più rispetto per le persone e per la tradizione”. E denuncia: “L’Italia sta uccidendo la sua cultura gastronomica per accontentare i ‘riccastri’ e i gastrofighetti”.

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                Milano a tavola… ancora una volta fa notizia. Stavolta non per l’ennesimo ristorante stellato, ma per una provocazione che ha fatto discutere tutta Italia: la Carbondoro, una carbonara deluxe da 70 euro ideata dallo chef Emin Haziri del ristorante Procaccini. Fra gli ingredienti caviale, guanciale iberico Cinco Jotas, zafferano, pasta di Avellino e persino tre foglie d’oro.

                La sentenza senza appello del critico

                Haziri difende la sua creazione come “un’idea che rompe gli schemi”. Ma il giudizio del decano dei critici gastronomici, Edoardo Raspelli, è una condanna senza attenuanti: “Una trovata inutile, sterile e stupida. L’ennesima dimostrazione che la cucina italiana sta scegliendo l’autodistruzione”.

                “Gastrostupidaggini per ricchi”: il duro attacco

                Raspelli, con oltre cinquant’anni di carriera alle spalle, non ha peli sulla lingua: “Non conosco questo chef, non ho assaggiato il piatto, ma basta guardarlo per capire che siamo di fronte all’ennesimo tentativo di épater le bourgeois, scandalizzare i borghesi con scelte folli. Ma questa non è cultura gastronomica, è puro marketing vestito da arte”. E rincara la dose: “Questi piatti nascono solo per alimentare il narcisismo di pochi chef e per soddisfare la vanità di chi può permetterseli. Ma così si tradisce il senso vero della cucina italiana: quella fatta di semplicità, stagionalità, rispetto per le materie prime. Non di ‘gastrostupidaggini’ dorate per riccastri annoiati”.

                “La cucina italiana si sta suicidando”

                Secondo Raspelli, quella che era una delle cucine più amate e imitate al mondo sta attraversando una crisi identitaria profonda: “Non è più un tentato suicidio. È un suicidio annunciato. E, purtroppo, noi giornalisti siamo complici: ogni volta che diamo spazio a questi piatti assurdi, contribuiamo ad alimentare un modello elitario, lontanissimo dalla realtà quotidiana”. Il riferimento non è solo alla Carbondoro: “C’è chi fa pagare 70 euro un calice di champagne solo perché è servito in un ristorante di grido. Intanto, io vado al supermercato con mia moglie, faccio la spesa con 35 euro e mangio benissimo. Questo è il vero lusso oggi: mangiare bene, senza sprechi e senza spettacoli”.

                Oro, caviale e nostalgia per Marchesi

                Il riferimento all’oro commestibile fa scattare anche un confronto con il passato: “Gualtiero Marchesi lo usò, è vero. Ma era un gesto simbolico, legato alla tradizione rinascimentale, e non veniva fatto pagare una follia. Era un tocco poetico, non una scusa per gonfiare il conto”. Sulla scelta degli ingredienti, Raspelli è preciso: “Anche il caviale italiano di alta qualità costa tanto, ma si trova anche a 10 euro per 10 grammi. Non è quello il punto. Il vero problema è: ha senso proporre questi eccessi oggi, in un Paese dove la maggioranza delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese?”

                La provocazione che non serve a nessuno

                La Carbondoro, insomma, non convince. Né per gusto, né per visione. Secondo Raspelli, rappresenta una deriva della cucina italiana: “Ci stiamo dimenticando chi siamo. Abbiamo il miglior patrimonio gastronomico del mondo e lo stiamo rovinando per inseguire una clientela che non cerca sapore, ma Instagram”. E la conclusione non può che suonare amaramente lucida: “Chi può scegliere, scelga ristoranti dove si cucina per passione e non per provocazione. L’Italia ha bisogno di tornare alla verità dei suoi piatti. E meno oro, più amore”.

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