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Personaggi e interviste

“Svegliatevi, protestate, parlate”: l’appello di Robert De Niro contro Donald Trump

«I senatori e i deputati devono avere più paura dei cittadini che di Donald Trump. Solo così si può correggere l’errore», tuona Robert De Niro, 81 anni, leggenda di Hollywood e voce sempre più incisiva nella battaglia civile americana. Parole forti, pronunciate fuori da un tribunale di New York e poi ribadite al Festival di Cannes, dove l’attore ha usato il suo prestigio per cercare di risvegliare le coscienze del pubblico.

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    Condividi questo articoloIl bersaglio è chiaro: Donald Trump, definito «un bullo» e paragonato a chi pretende la merenda il lunedì e tre giorni dopo vuole anche il pranzo. «Se vede che può farla franca, continuerà. Ecco perché va fermato ora, non domani. Non si può più restare in silenzio». Per De Niro, la democrazia americana sta vivendo una crisi profonda, e l’unica risposta adeguata è l’attivazione del popolo.

    “Non voglio guardarmi allo specchio e dire che non ho fatto nulla”

    In un’intervista a La Repubblica, De Niro racconta senza filtri la sua preoccupazione: «Non posso restare fermo. Lo so cosa fa un bullo. E so quanto può essere pericoloso. Ma so anche che la storia non dimentica». Un riferimento diretto all’epoca del maccartismo e alla famosa frase dell’avvocato Joseph Welch: “Non ha nessuna decenza?”. Per De Niro, è questo il momento per ripetere quel gesto di coraggio, e rompere il silenzio.

    La paura non deve vincere

    L’attore è consapevole dei rischi: «Trump è vendicativo, aizza le folle. Sì, ho paura per la mia famiglia, ma non posso farmi intimidire. Non a questa età. E non in questo momento storico». De Niro denuncia anche il silenzio dei potenti, dei colleghi, delle grandi aziende: «Ci sono tanti che la pensano come me, ma stanno zitti. Studios e piattaforme hanno paura. Ma devono scegliere: mi piego o dico no?». Alcune università e studi legali, dice, hanno già detto no. E questo crea un effetto domino. La resistenza ispira altra resistenza. «Serve coraggio. Serve un fronte comune. Perché se Trump torna, non sarà solo una vendetta personale. Sarà una vendetta sistemica».

    “Non vogliamo una dittatura”

    «La gente deve votare. Ma prima ancora deve alzarsi in piedi. Manifestare. Protestare. Alzare la voce. Non vogliamo una dittatura. Non vogliamo un governo autoritario. Vogliamo una democrazia che funzioni. E oggi non funziona». Così De Niro chiama il popolo americano a una vera e propria sollevazione civile, pacifica ma determinata. L’obiettivo non è solo fermare un uomo. È fermare un’idea pericolosa: che la forza, la menzogna e il potere possano prevalere sulla legge, sulla verità, sulla giustizia.

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      Personaggi e interviste

      Assolto il figlio di Vasco Rossi, anche se le ferite interiori non si cancellano

      “Giustizia è fatta, ma le ferite restano”: la celebrata rockstar italiana Vasco Rossi commenta l’assoluzione del figlio Davide.

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        A volte la verità arriva tardi, ma arriva. È definitiva l’assoluzione di Davide Rossi, figlio di Vasco, dalle accuse di lesioni personali stradali e omissione di soccorso per un incidente avvenuto a Roma nel 2016. Dopo una condanna in primo grado a un anno e dieci mesi, la Corte di Cassazione ha confermato quanto già stabilito dalla Corte d’Appello: Davide è innocente. Nessuna responsabilità penale. Nessuna fuga. Solo una vicenda giudiziaria lunga otto anni e segnata da un accanimento mediatico che ha lasciato cicatrici profonde.

        Da padre tira un lungo respiro di sollievo

        «Grazie alla magistratura, giustizia è fatta», ha scritto Vasco sui social, con la voce di un padre che ha sempre creduto nel figlio. E ha aggiunto parole taglienti: «Le ferite di un innocente messo alla gogna dai media sono ancora aperte». La rabbia per il trattamento ricevuto da parte di certa stampa è evidente: «Alcuni titoli mi davano per colpevole solo perché porto un cognome famoso», ha commentato Davide, 39 anni, che oggi conduce una vita riservata con la compagna e i quattro figli.

        La dinamica dell’incidente

        L’incidente risale al 16 settembre 2016. Secondo la versione iniziale della procura, Davide non avrebbe rispettato uno stop in zona Balduina, scontrandosi con un’auto su cui viaggiavano due ragazze poi medicate con una prognosi sotto i 40 giorni. Sempre secondo l’accusa, Rossi si sarebbe allontanato senza prestare soccorso. Ma questa ricostruzione si è rivelata infondata. Lo ha dimostrato la difesa e lo hanno confermato i giudici. Davide, da parte sua, ha sempre raccontato di essersi fermato, di aver chiesto alle ragazze come stessero e di aver ricevuto rassicurazioni.

        Mai nessun dubbio su Davide

        «È stato un peso enorme», ha dichiarato dopo la sentenza. «Il dolore più grande non è stato solo affrontare un processo, ma vedere il mio nome usato come bersaglio. Come se fossi colpevole a prescindere, per il solo fatto di essere il figlio di Vasco Rossi». Il rocker di Zocca non ha mai fatto mancare il suo sostegno: «Non ho mai avuto dubbi su di lui. È una brava persona. Non ha mai fatto del male a nessuno». E l’ha ribadito oggi, celebrando la fine di un incubo lungo otto anni.

        Quando il cognome diventa una condanna

        Essere figli di un personaggio pubblico è un’eredità che pesa. Davide Rossi è cresciuto con un nome importante, ma anche con l’onere di dimostrare ogni giorno di essere altro rispetto alle aspettative e ai pregiudizi. In questo caso, il cognome ha attirato i riflettori. E spesso, i riflettori possono bruciare. Oggi la verità giudiziaria ha trionfato. Ma resta la domanda: quanto costa davvero essere “figli di”? Per Davide, il prezzo è stato alto. Ma il sollievo per l’assoluzione è accompagnato da una consapevolezza più amara: le ferite dell’ingiustizia mediatica non si rimarginano facilmente.

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          Personaggi e interviste

          Marco Bocci: “Ho detto basta all’amore tossico. Ora Laura Chiatti mi ama di più”

          Dal desiderio di scrivere poesie da bambino alla consapevolezza dell’amore sano, Marco Bocci si confessa: “Cinque, sei anni fa mi sono imposto di dire quello che penso. Da allora, la mia vita e il mio rapporto con Laura Chiatti sono migliorati”.

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            Da bambino scriveva poesie durante le lezioni di algebra, sognando amori impossibili. Oggi, Marco Bocci quella voglia di mettere nero su bianco le emozioni non l’ha mai persa, e dopo il successo dei suoi primi due romanzi torna in libreria con Nelle tue mani, nella sua pelle, un racconto profondo su amori tossici e scelte sbagliate, in cui l’attore e scrittore mette molto di sé.

            Il protagonista della storia è Laura, un nome che inevitabilmente richiama quello di Laura Chiatti, sua moglie e madre dei suoi due figli. Ma Bocci ci tiene a precisare che il personaggio non è ispirato a lei, bensì a un insieme di donne che hanno segnato la sua vita: “Ho pensato anche a mia madre, a mia sorella, alle mie amiche”, racconta. Il vero punto centrale, però, è un altro: lui stesso.

            “Ha presente quando stai per fare una scelta sapendo benissimo che non va bene, eppure non puoi fare a meno di andare avanti?”, chiede l’attore. “È quello che succede a Laura nel romanzo, ma è anche quello che è successo a me svariate volte. Ho sentito il profumo di una strada sbagliata alla quale non potevo e non volevo rinunciare, pur essendo consapevole che mi avrebbe messo nei guai. La testa ti dice una cosa, ma il corpo va da un’altra parte. Perché? Volevo scrivere un romanzo che toccasse alcuni grandi interrogativi della mia vita”.

            Per Bocci l’amore non è solo una questione di sentimenti, ma di dipendenza affettiva, fragilità e bisogno di sentirsi all’altezza. E non riguarda solo le donne: “Anche un uomo può essere manipolato, anche un uomo può soffrire per amore”, sottolinea.

            Ma qualcosa, nella sua vita, è cambiato. “Cinque, sei anni fa mi sono rotto le palle e ho trovato il coraggio di dire quello che penso”, confessa. “Me lo sono imposto e, da allora, vivo relazioni più sane con tutti. Anche con mia moglie”.

            Oggi il rapporto con Laura Chiatti è più forte proprio perché Bocci ha trovato il coraggio di essere se stesso, senza cercare di adattarsi alle aspettative altrui: “Mi ha dato sicurezza perché mi sono reso conto di essere apprezzato e amato per quello che sono”.

            Nel romanzo, oltre all’amore tossico, c’è anche una riflessione sul ruolo del sesso nelle relazioni: “Contamina il nostro punto di vista più di quanto crediamo”, ammette. “E non è un male. Trovare un partner con cui ci si sente liberi anche sotto quell’aspetto è una delle cose più sane che possano accadere”. E di sesso, nel suo libro, ce n’è parecchio: “Mi sono lasciato andare”, conclude.

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              Personaggi e interviste

              Alice Bellagamba: “Ero a un passo da Hollywood, ma la mia felicità l’ho trovata a Iesi”

              Dopo “Amici”, la danza, la recitazione, l’infortunio e un cambio di rotta radicale: oggi Alice Bellagamba insegna in una scuola tutta sua.

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                Nel 2008 era una delle protagoniste più amate di “Amici”, con il viso da cerbiatta e l’energia da “soldatina” del palcoscenico. Oggi, Alice Bellagamba ha lasciato Roma e la rincorsa al successo per tornare nella sua Iesi, dove ha aperto una scuola di danza e insegna con lo stesso entusiasmo di allora. “Ho capito che quella vita tranquilla, lontana dalle corse frenetiche, non mi dispiaceva. Oggi sono felice di quello che ho”.

                Diciassette anni dopo, Alice ripercorre quel percorso con uno sguardo sereno. “Da piccola sognavo di diventare una showgirl, volevo ballare, cantare, recitare. ‘Amici’ mi ha permesso di farlo. Entrai per la danza contemporanea, ma scelsi l’hip hop con Maura Paparo e studiai anche recitazione. Fu proprio quella formazione a cambiarmi la vita”.

                Dopo il talent, infatti, arriva un provino per Balla con noi. Da lì, una carriera d’attrice che la porta su set televisivi di successo come Provaci ancora Prof!, Anna e i cinque e Un passo dal cielo. “Non avrei mai immaginato tutto questo. Da bambina ero balbuziente. Parlare davanti a una camera senza balbettare è stata la mia sfida più grande. E vincerla è stata una gioia immensa”.

                Poi, la svolta. “A trent’anni ero stata scelta per un film americano, New York Academy, il sequel di un dance movie famoso. Avevo studiato l’inglese con un dialogue coach, ero pronta. Ma tre settimane prima delle riprese, mentre ero a Los Angeles, mi sono strappata il bicipite femorale. Il film è sfumato, e con lui il mio sogno di Hollywood”.

                Un colpo durissimo, ma anche un momento di consapevolezza. “Sono tornata a casa, dai miei. Ho capito che mi piaceva quella calma. Mi sono detta: quasi quasi, resto qui”. Così è nata la sua scuola, il Balletto delle Marche. “Insegniamo danza e fitness. All’inizio ero freelance, poi ho capito che volevo costruire qualcosa di mio. Adoro lavorare con i bambini e parlare coi genitori. Non ho rimpianti”.

                E no, non ha mai pensato di tornare a “Amici” da professionista. “Ero concentrata sul mio lavoro e sulla scuola. Anche se, anni dopo, sono tornata da Maria per promuovere delle fiction: mi ha accolta con affetto, era felice per il mio percorso”.

                Il nome di Alice, per i fan, è legato anche a quello di Luca Napolitano. “Eravamo sotto osservazione 24 ore su 24. La nostra storia nacque lì. I fan si affezionarono tantissimo e forse anche per questo arrivammo entrambi in finale. Quando ci lasciammo, alcuni si arrabbiarono con me. Oggi? Ogni tanto ci sentiamo ancora, ci scriviamo per Natale o per i compleanni”.

                Con altri ex concorrenti è rimasta in contatto. “Gianluca Lanzilotta e Adriano Bettinelli sono venuti a fare stage nella mia scuola. Anche Valerio Scanu mi scrive, lo trovo molto simpatico. Alessandra Amoroso non l’ho più sentita, ma so che è incinta, come me. Anche Martina Stavolo è diventata mamma di recente. È successo a tutte e tre nello stesso anno, una bella coincidenza”.

                Impossibile non ricordare i battibecchi con la maestra Celentano. “Mi diceva che ero troppo bassa, troppo muscolosa, che avevo una testa troppo grossa. Mi dispiacevano i suoi attacchi, ma avevo il sostegno degli altri insegnanti e non mi sentivo sola. Oggi ci sorrido. La stimo molto: crede nella disciplina e io condivido quella visione”.

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