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Personaggi e interviste

Trump contro Bruce Springsteen: la politica made in USA che sa di pagliacciata (video)

Tra un colpo di scena da social e un EP dal vivo, continua la guerra personale (e pubblica) tra Donald Trump e Bruce Springsteen. Colpi bassi, musica alta e una pallina da golf che ha fatto più rumore di mille discorsi presidenziali.

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    Se pensavate che il confronto tra cultura pop e politica fosse roba da libri di storia, preparate i popcorn: negli Stati Uniti si fa tutto in diretta social. Donald Trump ha deciso di lanciare il suo ennesimo strale virtuale contro Bruce Springsteen, “colpendolo” – per così dire – con una pallina da golf in un video palesemente manipolato. Pubblicato su Truth Social e rilanciato su X (ex Twitter, per i poco avvezzi ai social), il video mostra l’ex presidente che tira un colpo e… boom! Il Boss cade dal palco come in un episodio malriuscito di Jackass.

    Ironia? Satira? O solo una battuta da bar diventata virale? Qualunque fosse l’intento, il risultato è stato un’ondata di critiche da parte degli utenti, che hanno accusato Trump di atteggiamenti infantili e, diciamolo, da vero “bullo digitale”. Con oltre 400.000 like, il post ha fatto il giro del web più velocemente di un assolo di chitarra, ma non ha certo migliorato l’immagine dell’ex presidente.

    “Born in the USA”… ma non proprio per farsi prendere a pallate

    La faida tra Trump e Springsteen non è una novità. Bruce, durante l’inaugurazione del suo tour europeo, ha usato il palco come megafono politico, definendo l’amministrazione Trump “corrotta, incompetente e traditrice”. Parole dure, da vero rocker, che hanno infiammato il pubblico e fatto salire la pressione (mediatica) a Mar-a-Lago. Trump, ovviamente, non ha incassato in silenzio. Ha contrattaccato deridendo l’aspetto di Springsteen, liquidandolo come un “liberale da copione”, e – ciliegina sulla torta – invocando addirittura un’indagine su di lui. Per cosa? Per avere troppo talento? Per i jeans scoloriti? Non è dato saperlo.

    Rock, resistenza e democrazia: la risposta del musicista

    Ma Bruce non si è limitato a parole e chitarra. Ha pubblicato un nuovo EP dal vivo, Land Of Hope And Dreams, registrato proprio nella serata del “discorso anti-Trump”. Quattro brani, due interventi parlati e un appello acceso alla democrazia. “Chiediamo a tutti coloro che credono nel meglio dell’esperimento americano di alzarsi con noi” – dice, e si capisce che non è un invito a saltare sulle note di Born to Run.

    Chi vince? Chi perde? Intanto, vince l’assurdo

    La polemica tra un ex presidente con la passione per il golf (e le gif aggressive) e un’icona rock che parla come un attivista non è solo gossip da tabloid. È il ritratto tragicomico dell’America del 2025: iperconnessa, ipersatirica, e sempre più incline a trasformare tutto in show. Forse è il caso di lasciare le palline da golf al mini-golf, le invettive ai comici, e la musica… ai musicisti. Perché se Bruce suona per difendere la democrazia, Trump sembra pronto a mandarla fuori campo. Con una mazza da golf.

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      Personaggi e interviste

      Bello, famoso, buddista ed elegantemente… anti-trumpiano: Richard Gere a Milano (gallery)

      Quando Richard Gere arriva in città, non è mai solo una proiezione cinematografica. Milano si è trasformata in teatro di un evento unico, che ha unito spiritualità, impegno civile e… frecciate ben assestate. L’occasione? L’anteprima del documentario “La saggezza della felicità” (Wisdom of Happiness), dedicato alla figura del Dalai Lama e prodotto proprio da Gere. Ma l’evento, al quale ha partecipato anche LaCity Mag, è diventato ben presto anche un’occasione per un attacco diretto all’ex presidente americano Donald Trump.

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        L’attore hollywoodiano infiamma l’Anteo e il dibattito politico: tra la saggezza tibetana e le critiche a Donald Trump, il pubblico milanese applaude con il cuore e con la coscienza. Durante l’incontro non ha usato mezzi termini: «Sono americano, e in questo momento nel mio Paese abbiamo un leader con una bassa intelligenza emotiva… e sto scegliendo le parole più gentili». Un colpo diretto, pronunciato con il sorriso sornione di chi sa bene di star dicendo una verità scomoda ma condivisa. Le parole di Gere, come sempre, mescolano attivismo e umanità, tra compassione buddhista e pugni (verbali) ben assestati.

        Il potere della gentilezza… e dell’indignazione

        Ma non si è trattato solo di attacchi personali. L’attore ha dipinto un affresco più ampio: «Abbiamo bisogno di una cultura dell’onestà, della compassione, perché non siamo isole: siamo interconnessi». Una dichiarazione che suona come manifesto per un’umanità stanca di leader divisivi, ma ancora capace di ribellarsi con eleganza.

        Applausi per il coraggio di Gaza

        In un momento toccante dell’incontro, Gere ha chiesto al pubblico un pensiero per Gaza: «Io e mia moglie ne parliamo da ore. Facciamo un applauso per Gaza». La risposta della sala è stata calda, commossa, intensa. Come se anche il cinema, per una sera, potesse davvero cambiare qualcosa.

        “Siamo meglio di così”: un richiamo all’azione

        Il messaggio finale? Un invito a non restare immobili: «Siamo in un momento buio. Serve coraggio, serve agire con grazia e lucidità. Non accetterò il mondo così com’è. Non mi sacrificherò a questa violenza». Un invito alla resistenza etica, lontano da qualsiasi comizio ma potente come una scena madre di un film impegnato.

        Il Dalai Lama? Un gigante. Ma ora tocca a noi

        La riflessione sull’anziano leader spirituale diventa monito collettivo: «Ha 90 anni e si sveglia alle 3 per meditare. Quando non ci sarà più, dovremo diventare noi gli eroi. È il nostro turno». Un finale che sa di chiamata alle armi… morali, ovviamente.

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          Personaggi e interviste

          “Abbiamo bisogno di canzoni che raccontino il nostro tempo”: l’intervista di Joan Baez a Milano

          Vera e propria icona della musica e dell’attivismo, famosa anche per la sua relazione con Bob Dylan, Joan Baez è tornata a Milano per presentare la sua nuova raccolta poetica, in occasione della XXVI edizione de La Milanesiana. Durante l’incontro ha parlato della genesi del libro, del rapporto tra poesia, musica e impegno politico e della necessità urgente di nuovi inni che raccontino la realtà contemporanea.

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            84 anni portati benissimo, appare elegante anche indossando un paio di jeans, una maglia nera e uno scialle azzurro. La Baez è a Milano per presentare Quando vedi mia madre, chiedile di ballare, pubblicato dalla casa editrice di Elisabetta Sgarbi, La Nave di Teseo. Dopo l’addio alle scene avvenuto nel 2018, la voce che ha segnato intere generazioni continua a raccontare il mondo attraverso la scrittura. “Questo libro non è nato con intenzioni politiche,” spiega, “ma è inevitabile che la politica ci raggiunga. Viviamo tempi difficili, soprattutto negli Stati Uniti.” Nel libro, ricco di poesie intime e riflessioni autobiografiche, mescola ricordi personali e omaggi a grandi figure della musica come Jimi Hendrix, Leonard Cohen e – ovviamente il suo ex: Robert Zimmermann, in arte Bob Dylan.

            Poesia, terapia e identità

            La scrittura, per la Baez, rappresenta anche un processo di carattere terapeutico. “Mi è stato diagnosticato un disturbo di personalità multipla. Alcune poesie sembrano scritte da altri ‘me’. È un libro molto personale”. Le poesie raccolte arrivano da decenni diversi e sono state recuperate da vecchi computer e appunti sparsi. Scrivere versi le ha dato una libertà nuova: “La poesia è senza struttura, come me. È stata la mia via per esprimere ciò che la musica non riusciva più a dire.”

            Ancora tanta voglia di cantare

            Mentre i giovani di oggi scoprono la sua musica e il suo impegno grazie al biopic A complete unknown su Bob Dylan, l’artista 84enne non ha di certo premura di smettere nel far sentire la propria voce attraverso le canzoni e la scrittura. Ad un certo punto della conferenza stampa, inizia addirittura a cantare One in a million, il recente brano scritto da Janis Ian. 

            L’intervista

            Prima di lasciare spazio alle domande ci tiene a fare una precisazione: “Ormai, ogni volta che dico qualcosa, sento il bisogno di contestualizzarla: il contesto è il disastro in cui versa il mio Paese, che a mio avviso lascia ben poca speranza. Detto questo, possiamo parlare di qualsiasi cosa”. Chiara, semplice e diretta.

            Con questo libro ha scelto di raccontare la tua storia attraverso delle poesie: perchè questa scelta?

            Si tratta di poesie scritte anche molto tempo fa, che ho messo insieme recuperandole in giro un po’ dappertutto: rovistando nei cassetti, in soffitta, cercandole anche presso l’ufficio della mia assistente. Alcune non le trovavamo più. Un giorno la mia assistente ha rimesso in funzione un vecchio computer di 40 anni fa che conteneva alcuni scritti: ha dovuto trascriverli a mano perchè non riusciva a scaricarli.

            Che differenza c’è tra scrivere poesie rispetto alle canzoni?

            Dentro di me convivono molte persone, alcune anche più giovani di me. Usare il linguaggio della poesia mi ha dato una grande libertà. Si tratta di una forma libera, senza struttura… e io non sono brava con le strutture.

            Pensa che la poesia possa essere sorella della musica e dell’attivismo?

            Ho iniziato a scrivere poesie da postare sui social. Diverse da quelle contenute nel libro: sono tutte politiche. E a proposito delle canzoni… la gente si chiede: “Quando qualcuno scriverà di nuovo Blowin’ in the wind o un’altra Imagine?”. E io rispondo: non succederà. Dovrà esserci qualcos’altro, figlio del nostro tempo, anche se non so da chi. Ci sono tante belle canzoni oggi, ma ciò che desideriamo è un inno. Una canzone di protesta che si trasformi in un inno potente come è stata We shall overcome. Tutti potevano cantarla, riusciva a dare la sensazione di essere tutti uniti e potenti.

            Come si rapporta a tutto quello che sta succedendo nel mondo?

            Ho un po’ di problemi a dormire, perché le notizie che arrivano sono ogni giorno sempre più disgustose. Ho un po’ di problemi nel dormire perchè mi capita di svegliarmi a pensare nel cuore della notte, chiedendomi se stia davvero succedendo. Ma in generale, la mia salute e il mio spirito stanno bene.

            La poesia e la musica possono essere ancora considerati strumenti di lotta e liberazione? Oppure quella stagione è da considerare finita per sempre?

            Al contrario: quella stagione è appena cominciata! Abbiamo assolutamente bisogno di canzoni che parlino di questo tempo. Forse serve un talento profondo come quello di Bob o di Jimi. Nel frattempo, sfruttiamo quello che abbiamo. Anche i giovanissimi manifestanti per il controllo delle armi in Florida cantano vecchie canzoni di Dylan, perché non c’è nulla che le abbia sostituite.

            La sua musica è sempre stata una finestra aperta sul mondo, rappresentando appieno il suo attivismo. Secondo lei, oggi gli artisti dovrebbero ancora assumere un ruolo politico o sociale?

            Certamente, l’ho sempre pensato! Alcune grandi opere nascono da chi non è politico… ma per me le due cose sono sempre state legate.

            Lei è stata una grande amica del giornalista Furio Colombo, scomparso lo scorso gennaio: che ricordo conserva di lui?

            Ogni volta che sono venuta in Italia non ho mai perso occasione di incontrare Furio. L’ultima volta che abbiamo parlato è stato sul fascismo e sulla situazione globale. Mi ha detto: ‘Joni, sono nato nel fascismo e morirò nel fascismo’. Questo era Furio… e mi manca davvero molto.











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              La dolce vita di Elisa Esposito su OnlyFans: dolce come la panna… da 5mila euro!

              Chi avrebbe mai pensato che spalmarsi della panna in faccia potesse valere più di una giornata in tribunale? Eppure è successo davvero. Elisa Esposito, meglio conosciuta come la “prof di corsivo” di TikTok, ha raccontato a “Fuori dal Coro” una delle richieste più bizzarre ricevute su OnlyFans: “Mi hanno dato 5 mila euro per un video in cui mi spalmavo della panna in faccia”.

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                Non si è trattato di panna montata sulla torta. Era un business. Con la stessa disinvoltura con cui declina verbi in corsivo, Elisa ha dichiarato questo modo bizzarro di guadagnare più di un notaio. E non è un’iperbole. Il mondo dei contenuti per adulti, si sa, può essere più redditizio di molti lavori tradizionali. Ma è il modo in cui lo racconta a rendere tutto ancora più interessante: con un misto di ironia, consapevolezza e nessuna voglia di tornare indietro.

                Dalla prof di corsivo alla regina di OnlyFans

                Lei è diventata virale sui social con le sue lezioni di “corsivo milanese”, una trovata ironica che l’ha lanciata nel firmamento delle creator italiane. Ma il vero salto economico è arrivato con OnlyFans, dove le sue performance – panna inclusa – le hanno garantito uno stile di vita ben diverso da quello di un qualsiasi impiegato. “Guadagno più di un lavoro comune, più di un notaio”, ha dichiarato senza filtri. E come biasimarla? Se il mercato chiede panna, lei serve panna. E incassa.

                Le nuove “mantenute digitali”: quando è il fan a pagare l’affitto

                Elisa non è un caso isolato. Il fenomeno delle creator che si fanno “mantenere” dai propri fan su OnlyFans è in crescita. Non si tratta più solo di vendere foto o video, ma di instaurare veri e propri rapporti economico-affettivi con i follower più generosi. In alcuni casi, come mostrato dal servizio di Fuori dal Coro, si parla di mille euro al mese solo per compagnia virtuale. Una relazione 2.0 dove il romanticismo lascia spazio ai bonifici.

                Sugar baby 3.0: la nuova economia dell’influenza

                Il confine tra influencer e sugar baby si fa sempre più sottile. Gruppi Telegram, chat private e social network pullulano di offerte assurde, richieste stravaganti e accordi tra “mantenute” e benefattori. Elisa, con la sua onestà spiazzante, rivendica il suo stile di vita e la sua indipendenza: “Ormai sono abituata a un altro stile di vita, non so se riuscirei a cambiarlo”. E probabilmente non dovrà farlo, visto il successo ottenuto.

                Fra tabù e normalità: business o scandalo?

                L’esplosione di piattaforme come OnlyFans ha messo in discussione molti tabù. È solo intrattenimento per adulti o una vera e propria nuova forma di imprenditoria digitale? Elisa Esposito rappresenta perfettamente questo dilemma: ironica, provocatoria, e assolutamente consapevole del valore del suo personaggio. Forse non tutti possono (o vogliono) spalmarsi panna in faccia per 5 mila euro, ma una cosa è certa: Elisa ha compreso perfettamente come monetizzare un trend, diventando simbolo – discutibile per alcuni, ammirabile per altri – della nuova economia della creatività.

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