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Televisione

Barbara D’Urso verso il ritorno in Rai? “Salvini la vuole su Rai 1”: l’indiscrezione che agita Viale Mazzini

Secondo voci circolate in ambienti Rai, la storica conduttrice partenopea potrebbe tornare in televisione nel 2026 con un programma emotainment. A volerla sarebbe proprio il vicepremier, da sempre suo ospite fisso negli anni d’oro di Mediaset.

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    La televisione è fatta di ritorni, resurrezioni e colpi di scena degni delle migliori telenovelas. E quello di Barbara D’Urso potrebbe rientrare a pieno titolo nella categoria. Dopo due anni di silenzio e assenza dai palinsesti, la regina del pomeriggio trash – colei che ha inventato un modo tutto suo di fare intrattenimento tra lacrime, lustrini e “col cuore” – potrebbe presto rimettere piede su Rai 1.

    A far circolare l’indiscrezione sono ambienti ben informati dentro e attorno a Viale Mazzini, secondo i quali ci sarebbe addirittura un “sponsor politico” d’eccezione dietro l’operazione: Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture, che non avrebbe mai dimenticato l’ospitalità ricevuta dalla conduttrice napoletana nei tempi in cui era onnipresente nei talk-show del pomeriggio. Ora il leader della Lega, che da sempre ha un debole per la tv generalista, starebbe spingendo affinché la D’Urso torni sul primo canale Rai con un nuovo progetto da gennaio 2026.

    Il format pensato per lei? Un programma di emotainment, a metà strada tra racconto popolare e tv dei sentimenti, da trasmettere ogni venerdì pomeriggio. Un ritorno in grande stile, cucito su misura per una delle professioniste più controverse della televisione italiana, capace di dividere il pubblico come pochi altri.

    Del resto, non è un mistero che la Rai stia vivendo una fase di riassetto editoriale, con spinte che arrivano anche dai piani alti della politica. E chi conosce bene certi meccanismi, sa che Salvini ha da tempo messo gli occhi su quella fetta di televisione popolare che parla a milioni di italiani fuori dalle bolle social. La strategia è chiara: occupare spazi, piazzare volti familiari, parlare la lingua dell’intrattenimento generalista. Dopo l’operazione che ha riportato Massimo Giletti in prima serata con Lo Stato delle cose, il prossimo nome sulla lista sarebbe proprio quello della D’Urso.

    Intanto lei, Barbara, non è rimasta con le mani in mano. Dopo l’addio poco amichevole con Mediaset, dovuto a una scelta voluta in prima persona da Pier Silvio Berlusconi, si è dedicata alla sua società di eventi B&Fable, creata con l’amica Francesca Caldarelli Liuzzi. E ha fatto qualche timida comparsata televisiva, come ospite a Domenica In o a Ballando con le Stelle. Ma il palco principale, quello di una trasmissione tutta sua, le manca. E potrebbe arrivare presto.

    La Rai, dal canto suo, non ha ancora confermato nulla. Ma i rumor si rincorrono e, come spesso accade, dove c’è fumo potrebbe presto esserci fuoco. I fautori dell’operazione parlano di un programma dal taglio “inclusivo, popolare, caloroso”, con al centro storie di vita, emozioni, lacrime e sorrisi. In pratica: il “metodo D’Urso”, ma rivisitato per il pubblico di Rai 1. Un’operazione che, se confermata, farebbe discutere parecchio, sia dentro che fuori dagli studi televisivi.

    Di certo, la figura di Salvini come “regista occulto” di questo ritorno fa storcere il naso a più di qualcuno. Soprattutto in una Rai che dice di voler stare lontana dalla politica e vicina al servizio pubblico. Ma si sa: il telecomando è un’arma potente, e la tv, da sempre, è campo di battaglia anche per le ambizioni di chi governa.

    Quel che è certo è che Barbara D’Urso in Rai non passerebbe inosservata. E se davvero dovesse tornare in onda, lo farebbe – come da copione – a modo suo, senza chiedere permesso a nessuno, col cuore ma anche con una certa ferocia da animale da palcoscenico.

    Stay tuned.

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      Televisione

      Il reboot di Harry Potter: anche una serie tv riesce a dividere come se fosse politica estera

      La nuova serie televisiva di Harry Potter targata HBO è stato annunciata con un cast completamente rinnovato: Dominic McLaughlin sarà Harry, Arabella Stanton interpreterà Hermione e Alastair Stout vestirà i panni di Ron. Ma la magia si scontra con la realtà: l’annuncio ha scatenato un’ondata di odio social tale da costringere HBO a chiudere i commenti. Anche una serie tv fantasy diventa un aspro campo di battaglia.

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        Il mondo magico dei personaggi partoriti dalla fantasia di J.K. Rowling sta per riaprirsi, questa volta sotto forma di serie TV firmata HBO. Una produzione ambiziosa che punta a riportare in auge la saga più amata degli ultimi decenni, con una fedeltà mai vista prima ai libri della scrittrice inglese. Ma l’annuncio che avrebbe dovuto incantare i fan si è trasformato in una pioggia battente di polemiche.

        I piccoli attori al debutto nella serie

        I nuovi protagonisti sono giovanissimi: Dominic McLaughlin nel ruolo di Harry Potter, Arabella Stanton che impersonifica Hermione Granger e Alastair Stout nei panni di Ron Weasley. Tre volti nuovi per un racconto vecchio, ma sempre attuale.

        Una produzione colossale per un’eredità pesante

        La serie, scritta da Francesca Gardiner, sarà prodotta in collaborazione con Warner Bros. Television e Brontë Film and TV, con J.K. Rowling nel ruolo di produttore esecutivo. Ogni stagione coprirà un libro della saga, promettendo un approfondimento maggiore rispetto ai film originali. Il cast tecnico è di alto livello: alla regia Mark Mylod, supervisione casting di Lucy Bevan e Emily Brockmann. La sfida? Riuscire a ricreare la magia senza rimanere schiacciati dal peso dell’originale.

        Commenti chiusi per “proteggere i bambini”: il lato oscuro dei social

        Appena diffusa la notizia, HBO ha dovuto correre ai ripari: la sezione commenti su Instagram è stata disattivata per proteggere i giovani attori dalla valanga di odio online. Motivo? Scetticismo per la mancanza di esperienza del cast, nostalgia tossica verso i vecchi interpreti e l’immancabile guerra tra “puristi” e “progressisti” della fandom.

        Che amarezza…

        Una serie per ragazzi diventata campo di battaglia ideologico. Perché oggi, anche scegliere un attore è un atto divisivo. Viviamo tempi in cui nemmeno la magia di Hogwarts riesce a mettere tutti d’accordo. Una scelta di casting si trasforma in un bellicoso referendum culturale, nel quale un semplice reboot viene accolto come se fosse un attentato alla memoria collettiva. E così, mentre la serie si prepara a debuttare su HBO Max anche in Italia, il fandom è già spaccato in due. Come se non bastassero i Mangiamorte, ora ci sono anche i “commentatori seriali da tastiera”.

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          La serie Doc – Nelle tue mani diventa americana, ma perde il cuore

          La versione americana del celebre medical drama italiano, con Molly Parker nei panni della dottoressa Amy Larsen, convince per il ritmo ma delude sul piano emotivo. Troppo fredda, poco corale e più interessata a correre che a commuovere, questa Doc rischia di diventare un prodotto ben confezionato ma senz’anima. Eppure, qualcosa funziona: dal gender swap agli intrecci familiari più maturi, che promettono sviluppi interessanti.

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            Quando un successo italiano conquista il pubblico internazionale, la tentazione di farne un remake è forte. E così è stato per Doc – Nelle tue mani, la serie Rai con Luca Argentero che ha sbancato gli ascolti e conquistato spettatori anche all’estero. Oggi è diventata Doc, versione americana in onda su FOX, con Molly Parker nel ruolo della protagonista. Non più il Dottor Andrea Fanti, ma la Dottoressa Amy Larsen. Un gender swap che, almeno sulla carta, prometteva una rilettura interessante. Ma sulla lunga distanza, la serie sembra aver smarrito qualcosa di fondamentale: il cuore.

            Partiamo da ciò che resta: la protagonista è un medico brillante che, in seguito a un grave trauma, perde la memoria e deve ricostruire se stessa. Non più dodici anni spariti nel nulla come nella versione originale, ma otto. Niente proiettile nel cranio, solo un incidente d’auto. E soprattutto: non c’è un fatto realmente accaduto dietro, come invece nella serie italiana ispirata alla vera storia del medico Pierdante Piccioni. Questo dettaglio, che nella versione nostrana era un carburante di verità e lacrime, si sente. E non poco.

            La Amy Larsen interpretata da Molly Parker è fredda, spigolosa, determinata. Ma a tratti risulta anche respingente. Più interessata a tornare a lavorare che a ricostruire le sue relazioni. Un medico che pare aver lasciato indietro l’empatia, l’ascolto, l’umanità: tutte qualità che invece il Dottor Fanti – pur burbero e spigoloso – non ha mai davvero smesso di cercare. Mancano quell’ambiguità emotiva, quella lotta interiore, che rendeva la versione italiana così avvincente. In parole povere: si segue, ma non ci si affeziona.

            E poi c’è il ritmo. Doc versione FOX corre, spesso troppo. Nei primi due episodi, già si spalanca un’intera valigia di ricordi, misteri e relazioni perdute, mentre i personaggi secondari rimangono sfocati, quasi accessori. La coralità che era uno dei punti di forza della serie originale – dove ognuno aveva il proprio arco narrativo, i propri conflitti, le proprie ferite – qui è sacrificata sull’altare della velocità. I casi medici ci sono, ma sono spesso trattati come pretesti per arrivare a un altro cliffhanger, a un’altra svolta nel passato della protagonista.

            Certo, qualche merito c’è. Il cambio di genere introduce dinamiche inedite. La figura della madre (anche se mai troppo esplorata), il rapporto con una figlia ormai adulta, l’essere una donna che ha avuto successo ma ha pagato il prezzo dell’isolamento: elementi interessanti, che portano la narrazione su terreni nuovi. Anche il ritorno di Scott Wolf, ex volto noto di Party of Five, nel ruolo di un medico collega e possibile ex amante, aggiunge un pizzico di nostalgia e carisma.

            C’è poi tutta una componente tecnologica che, nel passaggio da 2017 a 2025, perde di mordente. Non c’è più quello scarto clamoroso tra il “prima” e il “dopo”, tra le vecchie cartelle cliniche e il cloud, tra le strette di mano e le videochiamate. Negli Stati Uniti il salto è meno marcato, e gli sceneggiatori si trovano con meno strumenti per raccontare il disorientamento della protagonista. Anche per questo, la sensazione è che la serie punti tutto su un presente iperveloce, ma abbia poco da dire sul passato.

            Eppure, Doc intrattiene. Funziona come serie da prime time, è ben girata, ha una regia dinamica e una fotografia pulita. Il cast è solido, la scrittura professionale. Ma è come se mancasse la linfa. Come se, nel tentativo di adattare un racconto tutto italiano – fatto di errori, redenzione e commozione – a una logica americana più diretta, si fosse perso quel filo emotivo che legava i personaggi al pubblico.

            Per ora, la serie è stata rinnovata per una seconda stagione. Segno che gli ascolti ci sono, e che il pubblico americano ha risposto. È in arrivo anche un remake messicano, con Juan Pablo Medina, che potrebbe riportare in scena quella carica emotiva latente in questa versione.

            Ma se vi aspettate la stessa intensità che vi ha fatto piangere e riflettere davanti alla versione italiana, sappiate che qui troverete altro. Un prodotto ben fatto, sì. Ma anche più chirurgico che viscerale. E se nella medicina è un pregio, nella serialità è un limite.

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              Televisione

              Mike Bongiorno e la sua famiglia da quiz: tra salami, crisi di coppia e salme rubate

              A 101 anni dalla nascita di Mike Bongiorno, il figlio Nicolò ci porta dietro le quinte del mito: non solo “allegria!” ma anche lacrime, momenti familiari surreali e… abbondanza di culatelli. Dal papà affettuoso al marito in crisi, fino all’incredibile furto della salma: ecco il lato inedito dell’uomo che ha insegnato l’italiano agli italiani. Un racconto tenero, bizzarro e profondamente umano.

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                Dimenticate per un attimo il conduttore occhialuto sempre perfetto, in giacca e cravatta. Nicolò Bongiorno ricorda un padre affettuoso, un po’ bambino, capace di sollevarlo in braccio per un abbraccio tenero o di trasformare la cena in una sagra gastronomica: «Per anni abbiamo mangiato torte e culatelli regalati dai concorrenti dei quiz!». Il prosciutto cotto Rovagnati? Un must a tavola. Altro che dieta mediterranea!

                Università no, quiz sì: il maestro (involontario) d’italiano

                Nicolò parla anche del cruccio mai confessato di Mike: non aver completato gli studi. Eppure, l’uomo che non possedeva una laurea è diventato l’insegnante più famoso d’Italia. Un paradosso da manuale: “Ha insegnato l’italiano a milioni di italiani e senza neanche una tesi!”. Se non è ironia questa…

                Crisi con Daniela? Risolta con un bambino

                Come ogni coppia che si rispetti, anche Mike e Daniela hanno avuto il loro momento “Dallas”. «Quando avevo sei anni c’è stata una brutta crisi», rivela Nicolò. E come si risolve una crisi coniugale negli anni ’80? Con la nascita di un altro figlio, ovviamente! Leonardo, il secondogenito, è diventato il simbolo della pace familiare. Altro che terapia di coppia!

                L’uomo più fermato d’Italia: camminare con Mike era come accompagnare il Papa

                «Ogni passeggiata era un pellegrinaggio», racconta Nicolò. Mike non diceva mai no a un fan. Selfie, strette di mano, battute, dediche: sembrava che conducesse La Ruota della Fortuna anche dal panettiere. Viaggiare con lui? Un tour guidato permanente con tappa obbligata ad ogni sguardo riconoscente.

                Un addio surreale: furto della salma e prete-investigatore

                Ma il colpo di scena arriva dopo la morte: la salma di Mike viene trafugata. Una storia assurda, degna di una fiction trash: minacce, ricatti, sciacalli. A risolverla? Don Mauro Pozzi, il parroco trasformatosi in detective per amore del conduttore. Alla fine, missione compiuta senza pagare un euro. Ora Mike riposa in pace. Letteralmente.

                Un’eredità tra tv e aiuole: “Intitolategli almeno una via, dai!”

                Nicolò conclude con un desiderio: vedere il nome di suo padre su una via, o almeno su un’aiuola. Sarebbe il minimo sindacale per chi ha cambiato la televisione italiana con una parola sola: Allegria!

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