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Spettacolo

L’intrigante danza tra Francesca Chillemi e l’ardente Can Yaman!

Nel cuore pulsante di Palermo, tra i vicoli intrisi di storia e i colori accesi del mare, si dipana una storia avvincente e piena di passione, “Viola come il mare”, che nella seconda serie ci riporta in un viaggio emozionante attraverso gli occhi di una coraggiosa giornalista e di un misterioso poliziotto dal passato turbolento.

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    Can Yaman, celebre attore turco, porta sullo schermo il personaggio del poliziotto Francesco Demir, soprannominato Zelig, nella serie televisiva “Viola come il mare”.
    Il commissario Demir collabora con Viola per risolvere casi di cronaca nera, creando un coinvolgente mix di commedia romantica, dramma e giallo poliziesco.

    Francesca Chillemi e Can Yaman in una scena della seconda serie

    La trama si concentra sulla giornalista romana Viola Vitale, interpretata da Francesca Chillemi, che si trasferisce a Palermo e possiede un peculiare “superpotere”: la sinestesia, che le permette di percepire i sentimenti degli altri attraverso i colori.

    Immagini di scene della serie

    La serie, composta da 12 episodi divisi in 6 serate, introduce nella seconda stagione nuovi personaggi come Leonardo Piazza, il nuovo editore di Sicilia WebNews interpretato da Ninni Bruschetta, Vita Stabili, la nuova direttrice interpretata da Alice Arcuri, e Matteo Ferrara, il nuovo PM interpretato da Giovanni Scifoni, per arricchire ulteriormente la trama e creare nuove dinamiche con i personaggi esistenti.

    Can da vero professionista perfeziona il suo italiano con l’insegnate di scena

    Quindi intrighi, segreti e pericoli si nascondono dietro ogni angolo, mettendo alla prova il coraggio e la determinazione di Viola e Francesco. Tra le strade pittoresche di Palermo, tra le sfumature dei suoi colori e il profumo del mare, nasce una storia d’amore travolgente, che affronta le sfide con forza e speranza. In “Viola come il mare”, ogni battito del cuore è un invito a immergersi in un mondo di emozioni, dove l’amore è sempre il colore più intenso di tutti.

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      Spettacolo

      Loredana Berté svela a The Voice Senior il suo incontro con Bob Marley e la nascita di “E la Luna Bussò”

      Durante The Voice Senior, Loredana Berté ha lasciato lo studio senza fiato: alla domanda di Nek, ha raccontato di aver incontrato Bob Marley in Giamaica, seguendo una folla fino a un giovane rastaman che cantava con i dreadlock fino a terra. Colpita dal suo magnetismo, acquistò tutti i suoi dischi, li portò a Mario Lavezzi e lo spronò a studiarli. Da quell’intuizione nacque “E la Luna Bussò”, uno dei brani più iconici della musica italiana.

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        A volte, nelle pieghe dei talent show, emergono storie che sembrano uscite da un romanzo musicale. È quello che è accaduto a The Voice Senior quando Nek, con la curiosità di chi sa che dietro ogni leggenda c’è sempre un aneddoto inatteso, ha chiesto a Loredana Berté: «Ma davvero hai conosciuto Bob Marley?». La risposta della cantante è stata un piccolo viaggio nel tempo.

        Berté ha raccontato di trovarsi in Giamaica, in un momento della sua vita in cui la musica era bussola e ossigeno. «Ho visto una fiumana di persone – ha detto – e mi sono messa a seguirle». Un gesto istintivo, quasi cinematografico, che l’ha portata davanti a un giovane artista che cantava immerso in un’aura magnetica. «Aveva i capelli intrecciati lunghi fino a terra», ha ricordato, descrivendo Bob Marley prima che diventasse Bob Marley.

        La scena, quasi sospesa, è rimasta impressa nella memoria dell’artista italiana. Colpita da quel sound ribelle e spirituale, Berté decise di portarsi a casa un pezzo di quell’esperienza. «Quando me ne sono andata ho comprato tutti i suoi dischi», ha raccontato con il suo tono inconfondibile. Quegli LP attraversarono l’oceano, finirono tra le mani di Mario Lavezzi e scatenarono una scintilla creativa.

        «Gli ho detto: “Studia, studia”», ha spiegato sorridendo. Lavezzi studiò davvero, si immerse nel reggae, nel ritmo sincopato, nella vibrazione caraibica. Da quell’incontro fortuito tra una diva italiana e un giovane profeta della musica giamaicana nacque “E la Luna Bussò”, brano che avrebbe segnato per sempre la carriera della Berté e aperto una finestra reggae nella canzone italiana.

        Il racconto, condiviso con naturalezza davanti ai concorrenti e al pubblico, ha ricordato quanto la Berté sia un ponte vivente tra mondi musicali, una viaggiatrice che ha saputo assorbire influenze e restituirle con una potenza tutta sua. E soprattutto ha mostrato come un semplice “seguire una folla” possa trasformarsi in storia della musica.

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          Musica

          Dargen D’Amico tra Gaza, politica, musica “piatta” e Fedez: il rapper si confessa senza filtri

          Dargen D’Amico torna a parlare a ruota libera di tutto: dalla musica italiana che definisce “encefalogramma piatto” alle dichiarazioni su Gaza a Sanremo 2024 (“le ridirei”), passando per il nuovo podcast Tolomeo, la critica al governo (“vedo clientelismo e nepotismo”), la fatica di X Factor e il legame complesso con Fedez. Un’intervista che riapre temi politici e culturali rimasti sospesi.

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            Dargen D’Amico non è uno che gira intorno alle cose. E infatti, mentre lancia Tolomeo — Le impronte che lasciamo, podcast in sei episodi finanziato dal progetto Next Generation EU, coglie l’occasione per una lunga riflessione sul presente. “Da questo podcast ho imparato l’importanza dei piccoli gesti”, spiega. Un modo per allargare il proprio orizzonte oltre musica e televisione.

            Il rapper racconta di aver voluto interrogare chi “si batte sul campo” per un mondo migliore: attivisti, studiosi, persone che osservano il reale senza filtri. Una scelta dettata, dice, da un’epoca in cui “verità che ci siamo raccontati per anni sono crollate davanti alle stragi a Gaza”. E le sue parole a Sanremo 2024, dove aveva invocato il cessate il fuoco? “Le ridirei. C’erano bambini che morivano. Come ha fatto Ghali: dirlo era il minimo”.

            E poi la politica, verso cui non usa mezzi termini: “Vedo clientelismo e nepotismo. Magari è una mia distorsione, ma la fiducia si è azzerata da quando, nel 1992, non ho avuto risposte sulle stragi di mafia”. Nonostante tutto, lui vota. “Vorrei farlo perché ci credo, ma oggi la politica ignora clima e cittadinanza”.

            Sulla musica italiana, tira un’altra stoccata: “Encefalogramma piatto. Scriviamo canzoni come se già ci fosse l’intelligenza artificiale”. Ma esclude l’idea di smettere: “Se non avrò idee, smetterò. Non è ancora il momento”.

            Parla anche del ruolo a X Factor: “È stato stressante. Credevo fosse un gioco, invece decidere per gli altri è difficilissimo. È come allenare una squadra di calcio”. E su un possibile ritorno a Sanremo lascia la porta aperta: “Per me è famiglia. Certo che ci tornerei”.

            Impossibile evitare il tema Fedez, di cui è stato autore e compagno di giuria. “Ci seguiamo ancora. Facciamo vite opposte: io sono un artigiano, lui gestisce livelli di successo che non mi competono. Impazzirei nei suoi panni”.

            Un Dargen lucido, spigoloso e coerente. Uno di quelli che, quando decide di parlare, non teme di lasciare impronte.

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              Personaggi e interviste

              Christian Bale costruisce un villaggio da 22 milioni per tenere uniti i fratelli in affido: il suo progetto nel deserto della California

              Per Christian Bale non esiste ingiustizia più grande che vedere bambini divisi dal sistema di affido. Così, a Palmdale, nel cuore della California, sta nascendo un villaggio da 22 milioni di dollari progettato per tenerli insieme e offrirgli una nuova possibilità di vita, sotto lo stesso tetto.

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                Christian Bale, uno che potrebbe limitarsi a godersi i frutti dei suoi film milionari, ha deciso invece di investire tempo, denaro e visione in qualcosa di molto più concreto di un nuovo set hollywoodiano. A Palmdale, in California, l’attore sta costruendo Together California: un villaggio pensato per ospitare bambini in affido senza separarli da fratelli e sorelle. Un progetto dal valore complessivo di 22 milioni di dollari che, giorno dopo giorno, prende forma nell’assolato paesaggio del deserto.

                Bale conosce bene il sistema di affido degli Stati Uniti e ne ha più volte denunciato le fragilità, soprattutto quando costringe i minori a crescere lontani dai propri familiari. Per lui non è una statistica: è una ferita aperta. «Non c’è nulla di più doloroso per un bambino che essere separato da chi ama», ha ripetuto negli anni. Ed è proprio da questa convinzione che è nato il villaggio: un luogo sicuro dove i legami non si spezzano.

                Il progetto prevede abitazioni accoglienti, spazi verdi, centri educativi e un team di operatori specializzati. Un modello nuovo, pensato per ridurre i traumi e dare continuità affettiva ai piccoli ospiti. Quando sarà completato, Together California offrirà un ambiente stabile a decine di minori che oggi vivono in condizioni difficili o rischiano la separazione forzata.

                Bale segue personalmente ogni fase dei lavori, lontano dai riflettori, com’è nel suo stile. Nessuna conferenza stampa, nessun tappeto rosso: solo il rumore dei cantieri e un obiettivo chiaro. Perché per lui questo non è un progetto benefico da aggiungere al curriculum, ma una battaglia che tocca il cuore della sua idea di giustizia sociale.

                Nella città di Palmdale, questo villaggio è già considerato un piccolo miracolo che cresce giorno dopo giorno. Per i bambini che lo abiteranno, potrebbe diventare il luogo dove ricominciare, senza dover rinunciare alla cosa più preziosa che hanno: la propria famiglia.

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