Televisione
Ellen DeGeneres, dalla tv al silenzio: nuova vita in campagna nel Regno Unito
La coppia ha scelto di trasferirsi in Inghilterra dopo la rielezione di Donald Trump. Oggi Ellen racconta la sua quotidianità lontana dai riflettori, tra cavalli, galline e riflessioni sul futuro.

Ellen DeGeneres è passata in pochi anni dall’essere uno dei volti più amati della televisione americana a un periodo di quasi totale ritiro mediatico. La conduttrice, che con The Ellen DeGeneres Show ha intrattenuto il pubblico per 19 stagioni fino alla chiusura nel 2022. Ha deciso di cambiare radicalmente vita insieme alla moglie Portia de Rossi, attrice ed ex star di Ally McBeal.
Dopo le presidenziali del 2024, concluse con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. La coppia ha annunciato di aver scelto il Regno Unito come nuova casa. «Siamo arrivate qui il giorno prima delle elezioni e quando ci siamo svegliate abbiamo capito che volevamo restare», ha raccontato Ellen in un’intervista a Richard Bacon. Oggi vivono in una fattoria immersa nella campagna inglese, documentando sui social momenti di vita rurale tra animali e natura.
La conduttrice non nasconde l’entusiasmo per questa scelta: «È meraviglioso, tutto è più semplice e autentico. I villaggi, l’architettura, il modo in cui le persone si rapportano agli animali… è tutto più umano». Portia ha portato con sé i cavalli, mentre Ellen si occupa di galline e — scherza — di alcune pecore che sono state presto rivendute perché «tentavano continuamente la fuga».
Nonostante la nuova serenità, la DeGeneres non ha dimenticato le polemiche che hanno segnato la fine del suo programma. Nel 2020, alcuni ex dipendenti denunciarono un ambiente di lavoro “tossico” dietro le quinte del talk show. Ellen ha affrontato il tema in uno speciale comico su Netflix, dichiarando: «Sono una persona diretta, ma questo è stato tradotto dai media come “cattiva”. È doloroso che la gente pensi questo di me, perché so di essere empatica e compassionevole».
Alla domanda su un possibile ritorno televisivo, la conduttrice ha ammesso di avere dei dubbi. «Oggi la gente guarda tutto sul telefono, l’attenzione per la tv non è più quella di una volta». Per ora, dunque, nessun progetto concreto all’orizzonte, se non la voglia di vivere con leggerezza: «Mi piacciono le mie galline, ma so che prima o poi dovrò scegliere cosa fare. Voglio divertirmi e trovare qualcosa che mi dia entusiasmo».
Per chi l’ha seguita per quasi vent’anni sul piccolo schermo, il contrasto è evidente: da regina dei daytime americani a donna che coltiva un orto tra colline inglesi. Una trasformazione che DeGeneres sembra vivere con ironia, pur lasciando intendere che il futuro professionale resta ancora tutto da scrivere.
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Televisione
Amanda Knox su Disney+: corvi, orge e un procuratore indemoniato, la fiction che ridicolizza l’Italia
Prodotta da Knox con Monica Lewinsky, la serie su Disney+ non racconta il caso Kercher: lo traveste da melodramma grottesco, dipingendo l’Italia come un Paese di bigotti superstiziosi e Mignini come un prete invasato.

Non un legal drama, non una riflessione sul circo mediatico, ma una giostra kitsch. The Twisted Tale of Amanda Knox, otto episodi in arrivo il 20 agosto su Disney+, trasforma il delitto di Perugia in un fumettone pieno di simboli grossolani. La promessa era un’analisi spietata sugli errori giudiziari: il risultato è un carnevale macabro in cui corvi sbattono alle finestre della Procura e libri prendono fuoco da soli.
Amanda Knox e il marito Christopher Robinson hanno prodotto la serie insieme a Monica Lewinsky, ma il taglio è tutto meno che serio. La protagonista diventa un’eroina perseguitata, il processo un melodramma con moventi sessuali da rotocalco e un procuratore trasformato in stregone visionario. Giuliano Mignini appare come un inquisitore che parla con Gesù e invoca i santi, un ritratto che scivola nel ridicolo e che offende la memoria di chi quella tragedia l’ha vissuta davvero.
La verità giudiziaria – l’assoluzione definitiva della Cassazione – passa in secondo piano. Meglio la favola nera: Amanda vittima sacrificale, Sollecito fantoccio e Meredith ridotta a comparsa. Il racconto cancella la complessità, rilanciando le stesse accuse che i tribunali hanno demolito.
I media, vero bersaglio dichiarato, sono dipinti come avvoltoi che trasformarono “Foxy Knoxy” in un mostro erotico. Ma la serie non è diversa: si nutre degli stessi cliché che finge di criticare. Invece di spiegare, spettacolarizza; invece di analizzare, gonfia. Così l’Italia diventa la caricatura di se stessa: processi da Medioevo, religione come superstizione, giornalisti in caccia di sangue.
Il problema non è solo l’approssimazione, ma la spocchia. Knox non cerca un dibattito: pretende un risarcimento simbolico, una rivincita personale. Disney+ le offre il palcoscenico globale, ma a pagare è la verità. E soprattutto l’immagine di un Paese ridotto a teatrino gotico, tra orge inventate e corvi digitali.
Televisione
Paolo Belli lascia l’orchestra di “Ballando” per diventare concorrente: la sorpresa di Milly e il ritorno della Pellegrini
Il musicista è stato per due decenni spalla inseparabile di Milly Carlucci. Ora il cambio di ruolo lascia aperti molti interrogativi, anche sul ritorno della campionessa olimpica.

A “Ballando con le stelle” non mancano mai le sorprese. Milly Carlucci, che ha fatto della capacità di reinventare lo show la sua arma vincente, stavolta sembra pronta a cambiare uno degli equilibri storici del programma. Paolo Belli, direttore d’orchestra e co-conduttore sin dalla prima edizione, potrebbe infatti abbandonare il suo ruolo per trasformarsi in concorrente. Una notizia che circola con insistenza e che, se confermata, rappresenterebbe un ribaltone clamoroso nella storia dello show del sabato sera di Rai1.
Per vent’anni Belli è stato presenza fissa al fianco della conduttrice, pronto a dirigere l’orchestra, a commentare con leggerezza le performance dei vip in gara e a garantire quella continuità musicale che è diventata marchio di fabbrica del programma. Vederlo dall’altra parte, a sfidare la giuria in giacca scintillante e passi di cha-cha-cha, sarebbe un colpo di scena in piena regola.
Non è chiaro se la sua partecipazione come concorrente significhi un addio definitivo alla sala delle stelle o solo una parentesi speciale, ma le indiscrezioni parlano di un cambio di passo deciso da Carlucci per rinfrescare il format e sorprendere il pubblico. In fondo, il successo di “Ballando” è stato costruito anche sulla capacità di spiazzare, di mischiare le carte, di non adagiarsi mai su una formula statica.
E come se non bastasse, sul palco tornerà anche Federica Pellegrini. La “Divina”, già protagonista di una partecipazione in passato, riappare in un ruolo che resta avvolto nel mistero. Bocche cucite in Rai e nella produzione, ma in molti si chiedono se non possa essere proprio lei a prendere il posto di Belli, magari come nuova padrona di casa musicale accanto a Milly. L’idea intriga e spiazza allo stesso tempo: una campionessa olimpica nella doppia veste di icona sportiva e volto televisivo.
Per ora restano solo domande. Ma una cosa è certa: la Carlucci ha deciso di muovere le pedine più importanti del suo show. E se davvero Paolo Belli scendesse in pista da concorrente, “Ballando con le stelle” si preparerebbe a una stagione che promette scintille, colpi di scena e un mix di novità capace di riaccendere la curiosità del pubblico.
Televisione
DAZN, un pozzo senza fondo: nel 2023 ha perso 1,5 miliardi di dollari. E in Italia i conti non tornano
Il colosso dello streaming sportivo aumenta i ricavi ma continua a perdere cifre astronomiche. Solo nel 2023 il bilancio si è chiuso con un passivo di quasi 1,5 miliardi di dollari, mentre il suo azionista ha dovuto iniettare altre centinaia di milioni per tenere in piedi la baracca. In Italia la situazione resta preoccupante: i costi della Serie A pesano e gli abbonati non bastano a coprire le spese.

DAZN continua la sua corsa a perdifiato, ma il traguardo del pareggio di bilancio sembra sempre più un miraggio. I conti della piattaforma di streaming sportivo sono ancora in profondo rosso e il 2023 si è chiuso con perdite per 1,488 miliardi di dollari, un dato in peggioramento rispetto ai 1,262 miliardi del 2022. E non si tratta di un episodio isolato: dal 2018 a oggi il gruppo ha accumulato una perdita complessiva di 7,7 miliardi di dollari, con una media di 1,54 miliardi l’anno.
I numeri emergono dal bilancio consolidato 2023 di DAZN Group Limited, pubblicato sul sito ufficiale del governo britannico. Nel documento si legge che i ricavi globali della piattaforma sono saliti a 2,86 miliardi di dollari, in crescita del 30,3% rispetto ai 2,19 miliardi del 2022. Ma l’incremento delle entrate non è riuscito a tamponare il fiume di spese, soprattutto per i diritti televisivi, che rappresentano di gran lunga il costo maggiore per l’azienda. Solo nel 2023 DAZN ha speso 3,12 miliardi di dollari per i diritti tv, mentre nel complesso i costi operativi hanno superato i 4,2 miliardi di dollari.
Il problema principale resta quello di un modello di business che fatica a reggersi in piedi. DAZN sostiene di avere circa 300 milioni di utenti mensili, ma gli abbonati paganti – ovvero quelli che realmente generano ricavi – sarebbero appena 20 milioni secondo le stime di mercato. Un numero troppo basso per garantire la sostenibilità dell’intero sistema.
A tenere in piedi il colosso dello streaming sportivo è Len Blavatnik, il magnate ucraino naturalizzato britannico che controlla DAZN attraverso il suo gruppo Access Industries. Dal 2016 ad oggi, l’imprenditore ha dovuto versare quasi 7 miliardi di dollari nelle casse della società per evitarne il collasso, con un’ulteriore iniezione di 827 milioni di dollari solo negli ultimi mesi, tra cui 100 milioni a dicembre 2023.
Guardando al futuro, il management di DAZN prevede di raggiungere ricavi per 3,4 miliardi di dollari nel 2024, grazie anche all’acquisizione della società australiana Foxtel per 2,2 miliardi di dollari e ai diritti per i Mondiali per Club FIFA 2025, che da soli costeranno un miliardo di dollari. Obiettivi ambiziosi, ma che non cancellano il problema strutturale di fondo: DAZN continua a spendere più di quanto guadagni.
E in Italia? I numeri ufficiali non esistono, ma le stime parlano chiaro: la piattaforma perderebbe circa 200 milioni di euro ogni anno. Il costo principale è ovviamente rappresentato dai diritti della Serie A, per cui DAZN paga 700 milioni di euro l’anno, senza contare gli altri campionati e competizioni, dalla Liga alla Serie B. Applicando lo stesso schema del bilancio globale, si può ipotizzare che i costi operativi complessivi della piattaforma in Italia si aggirino attorno ai 930 milioni di euro annui.
Il problema è che gli abbonati italiani non bastano a coprire questa montagna di spese. DAZN può contare su circa 1,7 milioni di clienti, ma non tutti pagano la tariffa piena di 34,99 euro al mese. Anche ipotizzando che lo facessero, il fatturato si aggirerebbe sui 700 milioni di euro l’anno, a cui si aggiungono 50-60 milioni dalla pubblicità gestita da Mediaset. Più realisticamente, il giro d’affari di DAZN in Italia potrebbe essere inferiore ai 600 milioni, lasciando così un buco di almeno 200 milioni ogni 12 mesi.
Il paradosso è che DAZN, nata con l’ambizione di rivoluzionare il mercato della trasmissione sportiva, si ritrova oggi in una situazione finanziaria traballante, in cui ogni anno ha bisogno di capitali freschi per sopravvivere. Il modello basato sugli abbonamenti non si è dimostrato sufficiente e, nonostante i rincari applicati nel tempo, il problema della redditività resta enorme.
Il nodo cruciale è rappresentato dalla strategia sui diritti tv. DAZN continua a investire cifre enormi per garantirsi le esclusive, ma senza avere un ritorno economico immediato. E la sostenibilità di questo sistema è sempre più in discussione. Se da un lato gli investitori sperano in una crescita esponenziale dei ricavi nei prossimi anni, dall’altro la realtà dei numeri racconta una storia molto diversa.
Il rischio è che DAZN diventi l’ennesimo esempio di startup brucia-miliardi, sostenuta solo dall’intervento costante del suo finanziatore. Ma fino a quando Blavatnik sarà disposto a coprire le perdite? E soprattutto, quanto ancora potrà permettersi di farlo?
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