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Televisione

Il trionfo della cazzimma: Perfidia demolisce il politicamente corretto e mette la sinistra sulla graticola tra frecciate e paradossi

Una serata memorabile nel salotto più irriverente della tv italiana: tra duelli verbali infuocati, scivoloni comici e giudizi taglienti, Antonella Grippo guida i suoi ospiti in una resa dei conti senza esclusione di colpi, svelando vizi, virtù e fragilità della politica nostrana. La cazzimma domina la scena, ma non mancano i ribaltamenti inaspettati e i colpi di scena da manuale.

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    Prima o poi doveva succedere. Dopo tre puntate fitte fitte di Perfidia, il salotto più velenoso e politicamente scorretto della tv italiana, finalmente Antonella Grippo, dominatrice assoluta di frecciate e punzecchiature, ha trovato qualcuno capace di tenerle testa. Ed eccola, Matilde Siracusano, sottosegretario ai rapporti con il Parlamento di Forza italia, bella e brava, che se la canta e se la suona come se fosse la padrona di casa nel talk più irriverente della tv italiana. A suo agio come nel soggiorno di casa sua tira fuori quella cazzimma che dà il titolo alla serata e si eleva (come una sorta di Beppe Grillo pre rottura con Conte), andando a insidiare il posto da domina assoluta alla conduttrice, esperta domatrice di anime e fustigatrice di perbenisti pensieri.

    A inaugurare questa tenzone femminile è un tango ballato a due che, più che un preludio armonioso, suona come il fischio d’inizio di un match serrato. E poi è subito Matilde Siracusano Show. La giovane politica rampante canta (sfoderando una voce notevole), argomenta, disquisisce. Si lancia in iperboli ardite per descrivere le magnificenze (vere o presunte non importa) del governo di Giorgia Meloni, rintuzza a colpi di fioretto verbale i (a dir la verità ben pochi) pareri ostili con l’abilità di un D’Artagnan da romanzo di cappa e spada. E come canterebbe il Cirano di Guccini, “al fin della licenza non perdona e tocca” lasciando dietro di sé – metaforicamente parlando – solo morti e feriti.

    D’altra parte, in una trasmissione che fa del politicamente scorretto il suo marchio di fabbrica, il tema della serata è dichiaratamente di parte. A Perfidia non si gioca sui mezzi termini e non c’è spazio per equilibrismi di facciata: sull’inginocchiatoio della Grippo c’è la sinistra italiana e la sua pretesa di essere sempre la prima della classa. Quel perfettinismo che alla fine fa sì che la destra – in Italia ma non solo – riservi alla controparte un trattamento degno di Bud Spencer e Terence Hill, finendo per vincere a man bassa. Lo dimostrano gli acuti montaggi che la Grippo manda in onda, con Elly Schlein impegnata a filosofeggiare mentre una più concreta Giorgia Meloni, tra smorfiette e battutine da popolana de’ noantri, porta a casa il risultato.

    Ad aprire la puntata e definire il tema centrale della serata è Genny Spatarella, attore campano e, sorpresa delle sorprese, cognato di Antonella Grippo. Con un’abilità oratoria degna di un professore universitario, Spatarella spiega il concetto di cazzimma, il tratto distintivo del lessico napoletano: “È una scintilla nascosta che separa il furbo dal vero stratega. Il cazzimmoso non gode delle disgrazie altrui, al massimo ne ridacchia.” La definizione, accolta da applausi scroscianti, diventa il filo conduttore di tutta la puntata.

    La confessione della Grippo di essere “in pieno conflitto di interessi” per la presenza del cognato in studio aggiunge una nota di colore che, come sempre, arricchisce l’atmosfera informale e pungente del talk show.

    Così, mentre la Siracusano brilla di luce propria, Nico Stumpo, parlamentare del PD, si ritrova nel ruolo ingrato del bersaglio sacrificale della serata. Con una connessione internet che lo tradisce nei momenti cruciali e una luce fioca che lo avvolge in un giallognolo monotono impedendogli di esprimere qualsivoglia cazzimma, Stumpo è l’unico baluardo delle opposizioni. Circondato da uno studio che non gli lascia spazio e incalzato dalla stessa Grippo, il deputato PD non si arrende e combatte con onore in un territorio ostile, finendo per agevolare l’effetto Davide e Golia, scatenando l’empatia. E ne esce in maniera quasi epica, come un novello Uncas, l’ultimo dei Mohicani, circondato da ogni parte dai nemici, ma mai domo in uno studio che sembra il settimo cavalleria a Little Big Horn.

    Poco supporto arriva da Giuseppe Aieta, ex consigliere regionale del PD, con cui sembra aver chiuso non proprio in buoni rapporti viste le critiche che piovono anche dalla sua parte. Tuttavia, trova il modo di farsi notare: “Le opposizioni sono sparite, dicono parole piene di niente e vuote di tutto”. Una battuta che, se non fosse così prolissa, meriterebbe di finire su una maglietta o in una canzone di Sanremo. E come cantante l’ex sindaco di Cetraro dimostra di saperci fare finendo di diritto nella classifica dell’X Factor della politica.

    In una serata di grandi protagonisti, Luigi De Magistris, ex sindaco di Napoli e magistrato, si distingue per il suo approccio diretto e senza fronzoli. Il suo bersaglio preferito? Elon Musk e il suo recente tweet contro i giudici italiani. De Magistris non si fa pregare: “Quello è sudafricano, che ne sa della cazzimma? La cazzimma l’ha avuta Mattarella, che gli ha risposto a tono. E, come si dice a Napoli, parlava a nuora perché suocera intenda.”

    Con la sua retorica lapidaria e il piglio deciso l’ex magistrato non si limita a commentare: emette vere e proprie sentenze che lasciano il segno. La sua presenza è un contrappunto perfetto alla leggerezza brillante della Siracusano e all’energia esplosiva della Grippo.

    Ma Perfidia non sarebbe Perfidia senza le sue irresistibili e spesso come in questo caso involontarie perle comiche. Matilde Siracusano, altrimenti impeccabile, scivola in un lapsus degno di Zelig, accusando la sinistra di opporsi “alla separazione delle corriere”. Mentre Sergio Strazzulli di Fratelli d’Italia si lancia in un’elegiaca ode al governo Meloni, ipotizzando che, senza il superbonus, Giorgia sarebbe riuscita a elargire ben ventimila euro in più in busta paga a ogni lavoratore italiano.

    Come sempre, il tempo vola. La Grippo riesce a malapena a scambiare due parole con l’eurodeputato Pasquale Tridico, che fa una comparsata fugace. Poi, è già tempo di sigla finale. Ma con una puntata così, il pubblico resta con la voglia di un bis.

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      Televisione

      Sandokan 2025: dieci errori imperdonabili della serie che ha conquistato la tv

      Dal Sandokan senza patria alla Marianna suffragetta, dal Borneo trasformato in macchia mediterranea a Yanez ridotto a macchietta, fino alla scena della tigre svuotata del suo mito: un decalogo di errori evitabili che ha fatto infuriare gli appassionati.

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        Si può applaudire il successo televisivo, la macchina produttiva imponente, il clamore del ritorno di un personaggio che appartiene all’immaginario collettivo italiano. Ma per chi conosce Le Tigri di Mompracem e la saga salgariana, la visione di Sandokan 2025 è stata un susseguirsi di cortocircuiti. La serie non si limita a modernizzare; compie una riscrittura così ampia da cancellare identità, motivazioni e simboli.
        Gli spettatori occasionali si divertono; i lettori restano a guardare un mondo che non è più quello di Salgari. Ed è un peccato, perché con una produzione da 30 milioni di euro bastava davvero poco per evitare certe cadute.
        Ecco il decalogo degli errori più gravi.

        1. Un Sandokan senza patria

        Nei romanzi è principe del Borneo, ultimo erede di un regno distrutto dall’espansione coloniale. La sua furia nasce dalla perdita della terra, del popolo, del titolo. Nella serie, Sandokan viene reinventato come uomo cresciuto a Singapore, con un’identità vaga e un passato che non affonda più in una storia politica. La Tigre della Malesia diventa un protagonista qualunque, sradicato, pronto per il consumo globale. L’eroismo perde i suoi motivi, resta solo il muscolo.

        2. Lord James Brooke riscritto: dal Raja bianco al rivale di turno

        Brooke, figura storica, nel libro è il governatore di Sarawak, è il perno britannico del ciclo. La sua ambiguità, la sua potenza e la sua relazione con la giovane sono parti essenziali del conflitto. Qui viene cancellato. Al suo posto nella serie TV appare un giovane cacciatore di pirati, ridotto a rivale romantico di Sandokan, mentre Lord Guillonk (che nel libro è lo zio), diventa padre di Marianna e governatore di Labuan

        3. Marianna diventa una suffragetta nel 1840

        La Perla di Labuan è uno dei personaggi più delicati della saga: coraggiosa, curiosa, pronta a sfidare le convenzioni, ma sempre dentro i confini della sua epoca.
        Nella serie diventa un personaggio da fiction contemporanea: cavalca da sola nella giungla, sfida ufficiali inglesi, usa espressioni moderne (“ipotermia”) e si comporta come una ribelle del XXI secolo. La credibilità storica evapora, e con essa il senso della sua trasformazione nell’incontro con Sandokan.

        4. Abiti e armi fuori periodo

        L’Ottocento di Salgari ha un’estetica precisa: sciabole, moschetti, uniformi britanniche, vesti coloniali. La serie sceglie un look “alla moda”, con costumi ibridi, armi fuori contesto e uniformi non coerenti. L’effetto è quello di un parco avventura più che di un mondo storico. Anche chi non è esperto percepisce che qualcosa non funziona.

        5. L’eliminazione del colonnello Fitzgerald

        Un personaggio chiave nella serie del 76 che è rimasto nel cuore di chi amato lo sceneggiato di Sollima è il colonnello Fitzgerald, giovane, carismatico, antagonista credibile, rappresenta l’Inghilterra che osserva Sandokan con rispettosa diffidenza. In Salgari, quel personaggio addirittura non c’è: c’era invece il baronetto Sir William Rosenthal. Nella serie Fitzgerald sparisce e viene sostituito da Murray, un sergente attempato che sfocia spesso nella macchietta comica. La tensione romantica e militare che Fitzgerald incarnava svanisce, e con essa una parte dell’equilibrio drammatico originale.

        6. Il Borneo… con il rosmarino italiano

        Le scene girate tra Calabria, Toscana e Lazio sono suggestive, ma non possono diventare il Borneo. Nella serie compaiono rosmarini, pini marittimi, macchia mediterranea, colline bruciate dal sole. Nessuna umidità equatoriale, nessuna vegetazione tropicale. L’esotismo salgariano, fatto di giungle fitte e incandescenti, viene sostituito da una botanica evidentemente fuori posto.

        7. Terminologie anacronistiche e dialoghi moderni

        Marianna che parla di “ipotermia” mentre tira fuori Sandokan da un’acqua a 30 gradi rischia di diventare la scena simbolo dell’incongruenza. Termini medici moderni, espressioni contemporanee, modi di pensare incompatibili con l’epoca: il linguaggio tradisce continuamente il contesto ottocentesco. Un errore di scrittura che rompe l’illusione storica a ogni frase.

        8. La scomparsa delle Tigri della Malesia e Yanez diventa un buffone

        Nel romanzo, le Tigri sono una confraternita ribelle, un nucleo carismatico. Nella serie diventano pirati occidentalizzati, quasi comparse. Spariscono quasi del tutto figure fondamentali come Sambigliong e Tremal-Naik. Con loro scompare il senso epico del gruppo, l’identità stessa del movimento ribelle, ridotto a un contorno rumoroso che non aggiunge niente. Yanez de Gomera è l’ironia fatta persona: elegante, lucidissimo, fumatore instancabile, la mente che integra la furia di Sandokan.È forse il personaggio più raffinato di Salgari. La serie lo trasforma in un giullare pieno di battutine e risatine, interpretato da Preziosi con un registro leggero che non ha nulla a che fare con l’archetipo originale. È un tradimento profondo: senza il vero Yanez, Sandokan è un eroe dimezzato.

        9. Persino Giuseppe Verdi è fuoriposto

        Durante la serata organizzata per il compleanno di Marianna nel palazzo del console qualcosa non torna. Ci riferiamo alla musica. Gli appassionati di lirica l’avranno individuato in pochi secondi: l’orchestrina che anima il ballo esegue alcuni brani tratti da La Traviata di Giuseppe Verdi. Una scelta…impossibile! Perché siamo nel1841, mentre l’opera in questione sarebbe stata composta solo nel 1853. Pertanto la distanza di dodici anni trasforma la musica in un messaggio fuori dal tempo.

        10. La scena della tigre: addio al mito

        Nel romanzo e nello sceneggiato del ’76 è una scena sacra: Sandokan affronta la tigre, rischia la vita, dimostra coraggio, salva Marianna. Nel 2025 assistiamo a un animatronic poco credibile, una Marianna imprudente che si caccia nei guai e un Brooke che uccide la tigre con un colpo di fucile. Il rito eroico diventa un episodio confuso. La magia si dissolve.

        A conti fatti, Sandokan 2025 non fallisce per colpa di Can Yaman o dei singoli attori: fallisce perché tradisce l’universo che avrebbe dovuto raccontare. Con un budget da 30 milioni di euro, bastava rispettare ciò che rendeva la storia unica. Invece si è scelta la via del fumettone globalizzato, sacrificando la profondità, la storia, il mito. E una Tigre senza mito, purtroppo, graffia molto meno.

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          Televisione

          Beatrice Luzzi punge ancora Samira Lui: “Bellissima, accomodante… ma con me ha tirato fuori il lato pungente”

          Beatrice Luzzi descrive Samira Lui come una donna splendida e accomodante, ma aggiunge che con lei ha mostrato una parte più tagliente. E sul suo futuro in tv affonda con eleganza: “È perfetta per il tipo di televisione che sta facendo”.

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            Beatrice Luzzi non ha perso la sua inconfondibile schiettezza, e quando il discorso torna su Samira Lui — con cui al Grande Fratello non sono mancati momenti di tensione — la sua analisi è lucida, precisa, tagliente quanto basta. L’attrice riconosce alla modella “una bellezza evidente e un’indole accomodante”, ma poi apre una piccola finestra su ciò che, a suo dire, Samira mostrerebbe solo a pochi.

            «È una donna esteticamente molto bella e accomodante, è difficile che lasci uscire la parte più pungente di sé», dice Luzzi, quasi a voler sottolineare che a molti sfugga un lato più tagliente del carattere della giovane ex Miss Italia. Ma quella parte, racconta, con lei è emersa eccome: «Nei miei confronti l’ha fatta uscire».

            Il riferimento è agli screzi vissuti nella Casa, mai totalmente sopiti, e che oggi Luzzi rilegge con un certo distacco, ma senza alcuna intenzione di edulcorare la memoria. Anzi, la sua chiosa finale sembra una carezza che diventa stilettata: «Credo che per un certo tipo di televisione sia perfetta. Quale? Quella che sta facendo».

            Una frase che dice tutto senza dover spiegare troppo: elegante nella forma, chirurgica nella sostanza. Perché se c’è una cosa che Beatrice Luzzi non ha mai perso, neanche fuori dal gioco, è la capacità di parlare chiaro. E di farlo con un aplomb che, anche nelle critiche, resta impossibile da ignorare.

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              GF una finale lentissima e senza emozioni: non è colpa di Simona Ventura ma di una scelta autoriale che ha spento ritmo e magia

              Nessun vero colpo di scena, poche vibrazioni e tanti momenti riempitivi. L’unico sussulto arriva dal confronto tra Jonas e Omer, poi solo una lunga sequenza di abbracci e comunicazioni “a orologio”. Alla fine vince Anita, ma senza la festa che una finale dovrebbe avere. L’unico vero gossip? Il bacio tra Grazia Kendi e Mattia Scudieri… fuori dalla Casa.

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                È stata probabilmente la finale meno emozionante della lunga storia del Grande Fratello. E, sia chiaro, non per colpa di Simona Ventura. Il problema sta altrove: due puntate invece di una, decisione presa quasi all’ultimo, hanno rallentato il ritmo e annacquato la tensione. Quello che doveva essere il gran finale si è trasformato in una specie di maratona televisiva faticosa persino per i fan più fedeli.

                Il solo vero momento forte: Jonas contro Omer
                L’avvio aveva fatto sperare in qualcosa di più scattante. Lo scontro tra due nemici storici della Casa, Jonas e Omer, prometteva scintille. In realtà è stato l’unico momento davvero interessante. Jonas ammette le differenze, parla di rispetto possibile ma di impossibilità di un rapporto vero. Poi l’intervento di Cristina Plevani, che lanciando una battuta riuscita definisce i due “la ship mancata di questo GF”. Un lampo. Poi il buio.

                Parentele, abbracci e tanta, troppa prevedibilità
                Da lì in poi gli autori hanno scelto la strada più facile e meno efficace: le “sorprese”. Papà emozionati, mamme in passerella, amici commossi, parenti che piangono e incoraggiano. Jonas incontra il padre, Omer abbraccia la madre Shirin (poi primo eliminato della finale), Anita ritrova le amiche e Vincent, Giulia riabbraccia il padre Gabriel, Grazia rivede mamma e sorella. Tutto tenero, tutto dolce, ma anche tutto identico a se stesso. Nessuna vera tensione narrativa. Solo una lunga sequenza di déjà-vu.

                Un televoto flash che non scalda e una vittoria senza festa
                Arriva il televoto flash: Grazia esce, Giulia diventa superfinalista, con lei Anita e Jonas che viene eliminato. Ultimo giro, ultime luci: Anita e Giulia spengono la Casa e la finale si chiude con la vittoria, di misura, di Anita. Un epilogo freddo, quasi triste, senza il senso di celebrazione che dovrebbe accompagnare il momento più importante del programma. Prima si è perso tempo, poi si è chiuso di corsa. Un paradosso.

                L’unico vero gossip… fuori dalla Casa
                Il vero movimento, ironia della sorte, arriva a programma finito. Tra Grazia Kendi e Mattia Scudieri si è acceso un feeling tale da portare lui a lasciare la fidanzata. E appena usciti dalla Casa, davanti alle telecamere e al pubblico, è arrivato il bacio tanto atteso. Paradossalmente, l’unico momento davvero “televisivo” della serata.

                Una finale che avrebbe potuto chiudere con energia una stagione molto seguita e discussa, e che invece ha scelto la via più piatta. E questo, più di ogni eliminazione, è il vero peccato.

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