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Televisione

La serie Doc – Nelle tue mani diventa americana, ma perde il cuore

La versione americana del celebre medical drama italiano, con Molly Parker nei panni della dottoressa Amy Larsen, convince per il ritmo ma delude sul piano emotivo. Troppo fredda, poco corale e più interessata a correre che a commuovere, questa Doc rischia di diventare un prodotto ben confezionato ma senz’anima. Eppure, qualcosa funziona: dal gender swap agli intrecci familiari più maturi, che promettono sviluppi interessanti.

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    Quando un successo italiano conquista il pubblico internazionale, la tentazione di farne un remake è forte. E così è stato per Doc – Nelle tue mani, la serie Rai con Luca Argentero che ha sbancato gli ascolti e conquistato spettatori anche all’estero. Oggi è diventata Doc, versione americana in onda su FOX, con Molly Parker nel ruolo della protagonista. Non più il Dottor Andrea Fanti, ma la Dottoressa Amy Larsen. Un gender swap che, almeno sulla carta, prometteva una rilettura interessante. Ma sulla lunga distanza, la serie sembra aver smarrito qualcosa di fondamentale: il cuore.

    Partiamo da ciò che resta: la protagonista è un medico brillante che, in seguito a un grave trauma, perde la memoria e deve ricostruire se stessa. Non più dodici anni spariti nel nulla come nella versione originale, ma otto. Niente proiettile nel cranio, solo un incidente d’auto. E soprattutto: non c’è un fatto realmente accaduto dietro, come invece nella serie italiana ispirata alla vera storia del medico Pierdante Piccioni. Questo dettaglio, che nella versione nostrana era un carburante di verità e lacrime, si sente. E non poco.

    La Amy Larsen interpretata da Molly Parker è fredda, spigolosa, determinata. Ma a tratti risulta anche respingente. Più interessata a tornare a lavorare che a ricostruire le sue relazioni. Un medico che pare aver lasciato indietro l’empatia, l’ascolto, l’umanità: tutte qualità che invece il Dottor Fanti – pur burbero e spigoloso – non ha mai davvero smesso di cercare. Mancano quell’ambiguità emotiva, quella lotta interiore, che rendeva la versione italiana così avvincente. In parole povere: si segue, ma non ci si affeziona.

    E poi c’è il ritmo. Doc versione FOX corre, spesso troppo. Nei primi due episodi, già si spalanca un’intera valigia di ricordi, misteri e relazioni perdute, mentre i personaggi secondari rimangono sfocati, quasi accessori. La coralità che era uno dei punti di forza della serie originale – dove ognuno aveva il proprio arco narrativo, i propri conflitti, le proprie ferite – qui è sacrificata sull’altare della velocità. I casi medici ci sono, ma sono spesso trattati come pretesti per arrivare a un altro cliffhanger, a un’altra svolta nel passato della protagonista.

    Certo, qualche merito c’è. Il cambio di genere introduce dinamiche inedite. La figura della madre (anche se mai troppo esplorata), il rapporto con una figlia ormai adulta, l’essere una donna che ha avuto successo ma ha pagato il prezzo dell’isolamento: elementi interessanti, che portano la narrazione su terreni nuovi. Anche il ritorno di Scott Wolf, ex volto noto di Party of Five, nel ruolo di un medico collega e possibile ex amante, aggiunge un pizzico di nostalgia e carisma.

    C’è poi tutta una componente tecnologica che, nel passaggio da 2017 a 2025, perde di mordente. Non c’è più quello scarto clamoroso tra il “prima” e il “dopo”, tra le vecchie cartelle cliniche e il cloud, tra le strette di mano e le videochiamate. Negli Stati Uniti il salto è meno marcato, e gli sceneggiatori si trovano con meno strumenti per raccontare il disorientamento della protagonista. Anche per questo, la sensazione è che la serie punti tutto su un presente iperveloce, ma abbia poco da dire sul passato.

    Eppure, Doc intrattiene. Funziona come serie da prime time, è ben girata, ha una regia dinamica e una fotografia pulita. Il cast è solido, la scrittura professionale. Ma è come se mancasse la linfa. Come se, nel tentativo di adattare un racconto tutto italiano – fatto di errori, redenzione e commozione – a una logica americana più diretta, si fosse perso quel filo emotivo che legava i personaggi al pubblico.

    Per ora, la serie è stata rinnovata per una seconda stagione. Segno che gli ascolti ci sono, e che il pubblico americano ha risposto. È in arrivo anche un remake messicano, con Juan Pablo Medina, che potrebbe riportare in scena quella carica emotiva latente in questa versione.

    Ma se vi aspettate la stessa intensità che vi ha fatto piangere e riflettere davanti alla versione italiana, sappiate che qui troverete altro. Un prodotto ben fatto, sì. Ma anche più chirurgico che viscerale. E se nella medicina è un pregio, nella serialità è un limite.

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      Televisione

      Sanremo va in gara, stop agli appelli della Rai: il Consiglio di Stato boccia l’affidamento diretto

      Con la sentenza pubblicata oggi, la tv pubblica non può più contare sull’affidamento automatico delle edizioni 2026-2028. Unica offerta sul tavolo, ma ora si apre una negoziazione obbligata con l’amministrazione comunale. Sanremo sarà anche Sanremo, ma le regole valgono per tutti.

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        Sanremo non è più il regno esclusivo della Rai. Con un colpo di scena che scuote la storia del Festival, il Consiglio di Stato ha detto no all’affidamento diretto della kermesse alla tv pubblica, confermando la sentenza del Tar della Liguria e aprendo ufficialmente la strada a una gara pubblica. È un verdetto che potrebbe cambiare radicalmente il volto della manifestazione più seguita del Paese.

        La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno, ma la battaglia legale andava avanti da mesi. La Rai e lo stesso Comune di Sanremo avevano fatto ricorso contro la decisione del Tar, che aveva dichiarato illegittimo l’accordo senza gara tra Palazzo Bellevue e Viale Mazzini. Oggi la sentenza è definitiva: niente più affidamenti diretti, d’ora in poi si fa la gara.

        Cosa succede adesso? In teoria la situazione sembra paradossale: la Rai, con la sua proposta tecnica ed economica, è l’unica ad aver presentato un’offerta entro la scadenza del 19 maggio. Ma questo non significa che tutto sia deciso. Il Comune ha ora la possibilità di trattare con la tv pubblica in un vero e proprio negoziato, dove nulla è più scontato.

        Gli occhi di tutti sono puntati su Carlo Conti, nuovo direttore artistico e conduttore delle prossime due edizioni, e sulla squadra di dirigenti che lavora dietro le quinte. Ma stavolta, oltre ai riflettori e ai brani in gara, sul palco di Sanremo salirà anche la politica: la rinegoziazione dell’accordo con la Rai rischia di trasformarsi in un braccio di ferro tra esigenze artistiche e interessi economici.

        La sentenza segna uno spartiacque. Il Festival, che finora era sempre stato considerato “cosa nostra” dalla Rai, ora diventa un affare pubblico. E non solo per la tv: ci sono i diritti, i marchi e tutto quel mondo parallelo di eventi, sponsor e retroscena che fanno di Sanremo un vero e proprio business.

        Il Comune di Sanremo, forte di questa decisione, potrà ora chiedere condizioni più vantaggiose: più soldi, più trasparenza, più garanzie per la città. E la Rai, dal canto suo, dovrà fare i conti con la concorrenza potenziale di altri operatori che potrebbero farsi avanti in futuro. Perché se oggi la tv pubblica è sola, domani chissà.

        Intanto la macchina organizzativa non si ferma. Carlo Conti e il suo staff sono già al lavoro per l’edizione 2025, che non è in discussione. Il Festival, almeno per il prossimo anno, resta alla Rai. Ma il futuro è un’incognita: dal 2026 in poi, la “gara per la musica” non sarà più solo una metafora.

        La politica, dal canto suo, osserva con attenzione. La Rai resta un patrimonio pubblico, ma la sentenza ricorda a tutti che anche il Festival più amato dagli italiani deve rispettare le regole della concorrenza. E se l’idea di un Sanremo “multicanale” sembra ancora fantascienza, la certezza è che la gestione della rassegna canora più seguita del Paese non potrà più essere una questione riservata a pochi.

        Mentre la Rai si prepara a trattare e il Comune di Sanremo studia le carte, il pubblico resta a guardare. I fiori dell’Ariston continueranno a sbocciare, ma dietro la scenografia scintillante si apre una partita tutta da giocare. E questa volta, a differenza delle canzoni, non si tratterà solo di note e melodie, ma di milioni di euro e di potere.

        Sanremo, la città dei sogni, si risveglia così: con un verdetto che riscrive le regole e una gara che promette scintille. Perché, come diceva il vecchio slogan, Sanremo è sempre Sanremo. Ma adesso sarà anche – e soprattutto – una gara vera.

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          Televisione

          Chef Ruben: dal nonnismo ai milioni di follower, la rivincita servita dal balcone

          Quando il Covid ti chiude in casa, ma ti apre le porte del successo. Ruben Bondì, romano 28enne, è lo chef che ha trasformato un semplice balcone nella sua personale stella Michelin digitale. Il suo viaggio inizia come tanti, tra fornelli e piatti sporchi nei ristoranti, dove ha conosciuto il lato più duro della cucina: il nonnismo. Ma la sua vera rivincita? Due milioni di follower e una carriera da chef privato che l’ha portato dai social alla TV, senza mai perdere la sua spontaneità.

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            Durante la pandemia, Ruben ha deciso di cucinare sul balcone di casa dei genitori, attirando prima il vicinato e poi il popolo del web. Il suo slogan “Che te voi magnà? Sali!” è diventato virale, trasformando un fornello da campeggio in un palcoscenico. In pochi mesi ha conquistato quasi un milione di follower, numeri che oggi superano abbondantemente i due milioni. E così, tra un piatto di carbonara e una risata, ha fatto il salto dal web alla TV, affiancando personaggi come Ilary Blasi e Tony Effe.

            Il lato oscuro delle cucine stellate: il nonnismo

            Dietro il suo sorriso contagioso, si nasconde un passato fatto di sacrifici e dure prove. Ruben non ha mai nascosto di aver subito episodi di nonnismo, soprattutto a Londra, dove il sous chef si divertiva a confonderlo con ordini contraddittori. “Mi diceva di tagliare le verdure in un modo e poi mi rimproverava perché le voleva diverse”, racconta Ruben. Ma invece di abbatterlo, queste esperienze lo hanno reso più forte.

            Dalla cucina tradizionale al chiosco da sogno

            Oggi Ruben si definisce un “chef privato felice”, ma non esclude il ritorno a un’attività più concreta. “Non un ristorante, piuttosto un chiosco”, dice con il suo consueto entusiasmo. Nel frattempo, continua a reinventarsi, tra libri di ricette, collaborazioni con grandi brand e nuovi format per Food Network.

            Social, successo e hater: la doppia faccia della notorietà

            Con la popolarità, arrivano anche le critiche. Ruben, però, ha imparato a gestire gli hater, anche quelli più aggressivi. “Ho ricevuto persino messaggi antisemiti, ma non voglio dargli spazio”, spiega. Per lui, la chiave del successo è la spontaneità: “Non ho mai finto per piacere al pubblico. Mostrarsi autentici paga sempre”.

            Tra amore, ansia e futuro: il Ruben che non ti aspetti

            Dietro il Ruben sempre sorridente c’è un ragazzo che combatte con l’ansia fin da piccolo. “Mi chiamavano ‘Ruben l’ansioso’ già alle elementari”, scherza. Oggi, però, ha imparato a conviverci e a trasformarla in un’alleata. Quanto all’amore, la sua fidanzata Linda, con cui compare in alcuni video, resta fuori dai riflettori: “La mia vita privata voglio proteggerla”.

            Dove lo vedremo prossimamente?

            Il suo futuro? Tra cucina e intrattenimento. “Mi piacerebbe fare l’attore”, confessa. Intanto, a primavera tornerà su Food Network con Cucina al mare con Ruben e sta già lavorando al suo secondo libro di ricette. E chissà, magari lo vedremo in un reality: “Pechino Express mi stuzzica!”. Di certo Ruben Bondì non smetterà mai di stupire, con un piatto in mano e un sorriso sincero.

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              Televisione

              Adinolfi senza filtri all’Isola dei Famosi: “L’astinenza più pesante? Dal sesso” – E scoppia il putiferio

              Mentre gli altri naufraghi fanno i vaghi o parlano di piccoli lussi, Mario Adinolfi si lascia andare: “Soffro l’astinenza dal sesso”. E la Plevani lo rincara: “Io sono tre anni che non trombo”. Un piccolo terremoto hot scuote il reality di Canale 5

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              Adinolfi senza filtri all’Isola dei Famosi: “L’astinenza più pesante? Dal sesso” – E scoppia il putiferio

                Sull’Isola dei Famosi, tra cocchi e prove di resistenza, arriva un momento di confessioni che fa tremare i tronchi di palma. A scatenarlo è Mario Adinolfi, ex deputato e naufrago che, senza troppi giri di parole, ha messo sul tavolo la questione più spinosa (e bollente): “L’astinenza più pesante? Dal sesso”.

                E così, mentre i compagni d’avventura cercavano di cavarsela con battute sui gatti o sulle sigarette, lui ha puntato dritto al cuore dell’argomento tabù: “Il vero problema qui è l’astinenza dall’intimità con la mia Silvia (Pradolesi, ndr). Non ci sono gatti o sigarette che tengano, è la mancanza più difficile”.

                Se la regia sperava in risposte più caste, ha dovuto subito cambiare regia. Anche Cristina Plevani, ex gieffina e sempre schietta, ha confessato candidamente: “Io sono tre anni che non trombo. Se qualcuno spera in qualcosa, beh… non mi sembra questa l’edizione giusta”.

                Insomma, l’Isola come una grande terapia di gruppo a cielo aperto, con tanto di risate in studio e commenti social che si sprecano. Adinolfi, con la solita parlantina da oratore di talk show, ha così aperto un vaso di Pandora che rischia di riscrivere la narrativa dell’Isola: altro che cocco e fame, qui la vera sfida è l’astinenza dal sesso.

                Simona Ventura e Veronica Gentili, che ormai navigano a vista tra confessioni e gossip, hanno cercato di mantenere un minimo di contegno. Ma la palla era già lanciata e in studio si respirava un’aria di curiosità e un po’ di imbarazzo.

                A dare la spinta finale è stato il “misterioso” abbraccio tra Dino Giarrusso e Alessia, un momento di dolcezza che ha alimentato nuove indiscrezioni: amicizia speciale o qualcosa di più? Dino si è affrettato a smentire: “Siamo amici, sono sposato con la donna più meravigliosa del mondo. Basta, non scherziamo”.

                E così, mentre i naufraghi si accampano con i piedi nella sabbia, le parole di Adinolfi suonano come un campanello d’allarme: la fame si può gestire, la voglia di sesso un po’ meno. Anche questo, in fondo, è reality. E a giudicare dal picco di share, la tv non si stanca mai di ascoltare queste confessioni.

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