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Televisione

Sanremo, la Rai rischia di perdere il Festival: il Tar ordina una gara pubblica dal 2026 e mette fine al monopolio storico

La sentenza segna una svolta storica nella gestione del marchio “Festival di Sanremo”, obbligando il Comune a mettere a gara il simbolo della musica italiana. Per l’edizione 2025 tutto rimane invariato, ma dal 2026 si preannunciano sfide e polemiche.

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    Il Festival di Sanremo, il simbolo più rappresentativo della musica italiana, dovrà affrontare un radicale cambio di paradigma. Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria ha dichiarato illegittimo l’affidamento diretto dell’evento alla Rai, stabilendo che dal 2026 il Comune di Sanremo sarà obbligato a indire una gara pubblica per assegnare il marchio “Festival di Sanremo”. Una decisione che, in un colpo solo, mette fine a decenni di gestione esclusiva da parte della Rai e spalanca le porte a nuovi potenziali organizzatori.

    Un ricorso presentato dalla società Je

    La sentenza è arrivata a seguito di un ricorso presentato dalla società Je, guidata da Sergio Cerruti, presidente dell’Associazione Fonografici Italiani (Afi). Il nodo del contendere riguarda il marchio del Festival, di proprietà del Comune, e il suo utilizzo esclusivo da parte della Rai, che ha gestito l’evento attraverso un format consolidato e largamente riconosciuto. Cerruti, nel suo ricorso, non mirava ad appropriarsi del format Rai – che resta di esclusiva proprietà dell’emittente pubblica – ma a ottenere il diritto di utilizzo del marchio “Festival di Sanremo” per un nuovo progetto indipendente.

    Il marchio e il format non sono inscindibili

    Secondo il Tar, il marchio e il format non sono inscindibili. Il marchio appartiene al Comune di Sanremo, mentre il format televisivo – la scaletta, la struttura delle serate, il modo in cui l’evento viene trasmesso – è un’esclusiva della Rai. Questa distinzione ha portato i giudici a stabilire che l’affidamento diretto del marchio alla Rai non garantisce la trasparenza e la competitività necessarie per un evento di tale portata. Di conseguenza, dal 2026, il Comune dovrà mettere a gara l’organizzazione del Festival.

    L’edizione 2025 non subirà modifiche

    Nonostante la portata dirompente della sentenza, l’edizione 2025 non subirà modifiche. Il Festival, già assegnato alla conduzione di Carlo Conti, andrà avanti come previsto, con la Rai che continuerà a gestire il format e tutti i preparativi già in corso. Questa decisione è stata motivata dalla necessità di evitare disagi e ripercussioni organizzative, data l’imminenza dell’evento.

    La Rai ribadisce la propria titolarità del format televisivo

    La Rai, da parte sua, ha cercato di contenere i danni, emettendo una nota ufficiale in cui ribadisce la propria titolarità del format televisivo del Festival. Secondo l’azienda, la sentenza del Tar non intacca il cuore dell’evento, ma riguarda esclusivamente le delibere comunali che hanno concesso l’utilizzo del marchio e di alcuni servizi accessori. Tuttavia, il colpo è forte. La possibilità di perdere l’esclusiva sul marchio, che rappresenta una delle principali fonti di incasso pubblicitario per l’emittente, apre scenari inediti e potenzialmente rischiosi.

    Il Comune si trova ora in una posizione delicata

    Il sindaco di Sanremo, Alessandro Mager, ha definito la sentenza “inaspettata e complessa”, sottolineando che l’amministrazione comunale procederà a un’analisi approfondita insieme ai consulenti legali per valutare le migliori strategie future. Il Comune si trova ora in una posizione delicata: da un lato deve garantire che il Festival resti un evento iconico per la città e per l’Italia, dall’altro deve rispettare le indicazioni del Tar, che puntano a una maggiore trasparenza e pluralità nella gestione del marchio.

    Una vittoria importante

    Per la società Je, la sentenza rappresenta una vittoria importante. Cerruti ha dichiarato che l’obiettivo del ricorso non era “sottrarre il Festival alla Rai”, ma valorizzare il marchio attraverso un progetto indipendente, in grado di esplorare nuovi formati e idee. L’intento è chiaro: associare il nome “Festival di Sanremo” a un format diverso, capace di innovare senza tradire lo spirito storico dell’evento.

    Nel frattempo, la Commissione di Vigilanza Rai ha espresso forte preoccupazione per le ripercussioni che questa decisione potrebbe avere sull’azienda e sull’evento. I componenti democratici della commissione hanno definito la sentenza “un colpo durissimo”, non solo per l’equilibrio economico della Rai, ma anche per il valore culturale e simbolico del Festival. Secondo loro, il Festival di Sanremo rappresenta un pilastro del servizio pubblico e perdere il controllo esclusivo sull’evento potrebbe avere conseguenze devastanti.

    Ma cosa succederà dal 2026? La gara pubblica obbligatoria apre scenari che fino a pochi anni fa sembravano impensabili. Chi sarà in grado di competere con la Rai per l’organizzazione di un evento così complesso e mediaticamente rilevante? E soprattutto, il pubblico italiano accetterà un Festival diverso da quello che conosce e ama?

    L’unica certezza, al momento, è che il Festival del 2025, con Carlo Conti al timone, andrà avanti come previsto. Ma oltre quell’edizione, il futuro appare incerto. Il Festival di Sanremo, da decenni sinonimo di musica italiana, tradizione e spettacolo, potrebbe presto trovarsi al centro di una rivoluzione senza precedenti. Per il momento, l’Ariston si prepara ad accogliere una nuova edizione scintillante. Ma all’orizzonte si intravedono nuvole cariche di cambiamento.

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      Televisione

      Affari Tuoi corre ai ripari: anteprima lampo e nuova strategia per battere Scotti. De Martino sotto pressione nella sfida tv dell’anno

      Il confronto quotidiano tra Stefano De Martino e Gerry Scotti si fa sempre più acceso. Dopo settimane di equilibrio e prime crepe negli ascolti, la Rai rilancia: mini-segmento d’apertura per trattenere il pubblico e costruire il traino sin dall’accensione del prime time. L’obiettivo è fermare l’ascesa di Canale 5 e riequilibrare la battaglia dello slot più conteso della tv.

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        La sfida dell’access prime time è tornata ad essere quel ring televisivo in cui si gioca tutto. Da una parte Affari Tuoi con Stefano De Martino, dall’altra La Ruota della Fortuna guidata dal francobollo umano della televisione italiana, Gerry Scotti. Pubblico calamitato all’ora di cena, telecomandi incandescenti, centimetri di share che possono spostare equilibri editoriali e umori aziendali.

        Per settimane si è parlato di testa a testa, poi la curva ha iniziato a oscillare e qualcuno a Viale Mazzini ha deciso che serviva un cambio di passo. Così arriva la scelta: una breve anteprima prima della puntata tradizionale, qualche minuto capace – nelle intenzioni – di trattenere il pubblico e accompagnarlo dentro il gioco dei pacchi. Una mossa già rodata altrove, ora importata per blindare l’avvio serale del primo canale.

        De Martino, da par suo, non si scompone. In un’intervista recente aveva usato una metafora gentile: «Io e Gerry siamo come due commercianti sulla stessa strada. Alziamo la serranda e facciamo il nostro». Ora però il negozio Rai cambia vetrina, consapevole che la concorrenza sta brillando e che restare fermi non è un’opzione. Il pubblico, da sempre arbitro supremo, ha premiato l’allegria vintage della ruota e l’autorità bonaria di Scotti, capace di parlare a generazioni intere senza sforzo.

        L’anteprima di Affari Tuoi nasce per scaldare l’atmosfera, agganciare chi sta ancora sbrigando l’ultima forchettata di cena, far partire prima il ritmo. È un modo per dire: siamo qui, restate con noi. Dietro la scelta c’è l’idea che ogni secondo, ormai, valga una porzione di share. E che in tv, quando la sfida è serrata, più che correre bisogna non smettere mai di pedalare.

        Resta da vedere come reagirà il pubblico. Se l’operazione convincerà gli spettatori, riconsegnando stabilità allo show, o se alimenterà la guerra silenziosa tra due conduttori che – almeno in pubblico – si scambiano cordialità, ma sanno bene che ogni sera, davanti allo schermo, si gioca un pezzetto di futuro.

        Perché è nel minuto in cui accendiamo la tv che si decide tutto: e questa stagione, tra pacchi, vallette e ruote che girano, promette di essere una delle più combattute degli ultimi anni. E chissà che la piccola anteprima non diventi la scintilla che sposta l’ago della bilancia. In fondo, sul ring dell’access, vince chi riesce a far sentire gli spettatori a casa un secondo prima degli altri.

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          Hanno ucciso l’Uomo Ragno sbarca in chiaro: la serie sugli 883 arriva su Tv8 e riporta Max e Mauro nelle nostre case

          “Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883” arriva in chiaro su Tv8 dopo aver stravinto su Sky. Diretto da Sydney Sibilia, il racconto del legame tra Max Pezzali e Mauro Repetto, amicizia fragile e sbrilluccicante come un neon anni Novanta, torna per un pubblico più ampio che potrà rivivere la nascita di un mito pop italiano. Gli attori Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli guidano il cast, con guest d’eccezione che ricostruiscono la Milano delle radio libere e dei paninari. E mentre debutta in tv, già si parla della seconda stagione, “Nord Sud Ovest Est”, in arrivo nel 2026.

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            L’hanno cantato tutti: “Hanno ucciso l’uomo ragno…”. E ora l’hanno trasformato in una serie cult che, dopo aver travolto Sky e Now, approda finalmente in chiaro. Dal 7 novembre, alle 21.30 su Tv8, arrivano le prime due puntate di “Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883”: otto episodi che raccontano come due ragazzi di provincia, con una vespa, tre sogni in tasca e nessuna voglia di arrendersi, siano riusciti a riscrivere la musica pop italiana.

            Max Pezzali e Mauro Repetto, compagni di banco e complici di immaginazione, diventano qui protagonisti di un racconto che non guarda solo alla nostalgia, ma celebra l’energia di chi prova a scappare da una vita già scritta. La storia parte da Pavia, tra sale giochi, paninoteche e primi flirt timidi. Max, introverso e pieno di parole da mettere in musica; Mauro, anima scenica e incosciente, pronto a ballare anche quando il mondo gli dice di stare al suo posto.

            In questa cornice prende forma l’Italia dei primi anni Novanta: motorini elaborati, stereo portatili, juke-box rumorosi, radio locali che sognavano di diventare nazionali. A dirigere tutto c’è Sydney Sibilia, già maestro nel trasformare la provincia in vibrazione pop, affiancato da Alice Filippi e Francesco Ebbasta.

            A dare volto ai due protagonisti, Elia Nuzzolo (Max) e Matteo Oscar Giuggioli (Mauro), capaci di restituire quella chimica irripetibile fatta di slanci, litigi e ingenuità che ha acceso un fenomeno. Intorno a loro, un cast che pesca tra comicità e memoria collettiva: Ludovica Barbarito, Davide Calgaro, Edoardo Ferrario. E poi cameo-gioiello che scatenano il sorriso: Maria De Filippi, Fiorello, Jovanotti, Sandy Marton, fino a Claudio Cecchetto, il talent scout che ha acceso la miccia.

            Non è solo musica: è un viaggio emotivo. È il sogno di chi crede che una canzone possa aprire la porta del futuro. È la malinconia luminosa di quell’amico che prende un volo di sola andata per Las Vegas mentre tu resti a casa a fare i conti con la realtà e con il successo, così dolce da bruciare.

            E mentre Tv8 accende le luci su questa storia d’amicizia e ambizione, Sky prepara già il secondo capitolo, “Nord Sud Ovest Est”, che arriverà nel 2026 e promette di raccontare gli anni dell’esplosione definitiva, tra hit da stadio, poster nelle camerette e la consacrazione di due facce che, nel bene e nel sogno, hanno rappresentato una generazione.

            La musica degli 883, del resto, non è mai andata via. Ha solo aspettato il momento giusto per tornare a farci cantare. E forse, questa volta, anche a farci un po’ riflettere su quanto sia bello – e complicato – crescere insieme, e poi crescere davvero.

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              Scossa su Stranger Things: Millie Bobby Brown denuncia David Harbour per «bullismo e molestie», Netflix indaga

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                Il conto alla rovescia per l’ultima stagione di Stranger Things si apre con un’onda d’urto inattesa. Millie Bobby Brown avrebbe presentato una denuncia interna contro David Harbour, accusandolo di «bullismo e molestie» sul set. La notizia, riportata da media internazionali, parla di un fascicolo dettagliato e di un’indagine lunga mesi, durante le riprese del capitolo conclusivo della serie.


                Fonti vicine alla produzione sottolineano che non ci sarebbero elementi di natura sessuale, ma segnalazioni ripetute su atteggiamenti considerati ostili e oppressivi. Netflix non ha rilasciato alcun commento ufficiale, mantenendo la linea del silenzio.

                Un legame narrativo che si incrina dietro le quinte
                La questione tocca due volti simbolo della saga. Harbour interpreta Jim Hopper, figura paterna per Eleven. Per anni, l’attore aveva parlato con toni affettuosi del rapporto con Brown, raccontando in un’intervista del 2021: «Ho sempre provato un senso di protezione nei suoi confronti. L’ho conosciuta quando era ancora una bambina, prima che la fama la travolgesse».
                Oggi quel legame professionale – e narrativo – viene osservato con un filtro diverso. Nessuno dei due, al momento, ha scelto di commentare pubblicamente. Una postura che ha alimentato aspettative e domande sui social, dove fan e community della serie attendono conferme, smentite e chiarimenti.

                Una chiusura attesissima ora sotto pressione
                La stagione finale di Stranger Things è tra le più attese dell’anno e le riprese sono state complesse già per via degli scioperi e della lavorazione prolungata. Questa vicenda aggiunge un ulteriore strato di attenzione su un prodotto che ha segnato un’epoca per Netflix.
                Secondo indiscrezioni riportate dalla stampa estera, la piattaforma avrebbe preferito gestire tutto internamente, tutelando la produzione e cercando di evitare impatti sul set. Non emergono indicazioni di modifiche o ritardi nella messa in onda, che dovrebbe restare confermata.

                L’ultima corsa a Hawkins parte dunque con un clima sospeso: luci accese sulla serie, bocche cucite sui protagonisti. E mentre i fan attendono la chiusura di una storia diventata fenomeno globale, dietro le quinte resta una domanda senza risposta ufficiale. Non sugli Upside Down, ma sulla realtà che si muove appena fuori dall’inquadratura.

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