Televisione
Strane coincidenze su Rai1: prima lei e poi lui sbancano Affari Tuoi. La coppia di Lamezia Terme incassa 155mila euro in meno di un anno
Giovanni Francesco Molinaro ha vinto 40mila euro ad Affari Tuoi nove mesi dopo che la fidanzata Jessica Falvo ne aveva incassati 115mila nello stesso programma. Entrambi residenti a Lamezia Terme, hanno partecipato separatamente, ma la loro doppia vincita solleva dubbi sulla selezione dei concorrenti. Possibile che nessuno abbia notato la coincidenza? Il casting di Endemol Shine finisce nel mirino e il pubblico si divide tra chi parla di caso fortuito e chi sospetta un gioco non proprio limpido.
In un’Italia dove trovare un posto a un concorso pubblico è più difficile che vincere alla lotteria, c’è una coppia di fortunati che è riuscita a fare jackpot. Non una, ma due volte. La scena si è ripetuta ieri sera su Rai1: Giovanni Francesco Molinaro, pacchista della Calabria, residente a Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, ha incassato la bellezza di 40mila euro durante la puntata di Affari tuoi condotta da Stefano De Martino. Nulla di strano, se non fosse che, solo nove mesi fa, la sua fidanzata Jessica Falvo, lametina come lui, con Amadeus alla guida del programma, ne aveva portati a casa ben 115mila. Un caso? Un segno del destino? Oppure un’inaspettata distrazione da parte della produzione?
Ad accorgersene è stato il bravissimo blogger Davide Maggio che ha segnalato il fatto sul suo blog facendo scoppiare un pandemonio. Le domande sorgono spontanee, perché se le richieste di partecipazione a Affari tuoi sono davvero così numerose – si parla di oltre centomila ogni anno – com’è possibile che siano finiti sotto i riflettori due fidanzati a così breve distanza l’uno dall’altro? Se il programma è così rigoroso nella selezione dei concorrenti, com’è che nessuno si è accorto di questa “fortuita” ripetizione? Difficile crederlo. E, nel caso fosse tutto un gigantesco errore, beh, non è certo una gran pubblicità per il team che si occupa del casting.
Ma torniamo alla cronaca della vincita. Jessica, il 27 aprile 2024, aveva giocato con il padre, arrivando a un soffio dai 300mila euro, per poi accettare l’offerta di 115mila. Il classico rimpianto da Affari tuoi: aveva il pacco giusto, ma la prudenza ha avuto la meglio. Poi, a sorpresa, riecco la coppia sotto i riflettori. Questa volta tocca a lui, Giovanni Francesco Molinaro, che sul palco di Rai1 ha preferito farsi chiamare semplicemente Gianfranco (giusto per rendere tutto un po’ più confuso). Anche lui accompagnato dal padre, anche lui uscito dal programma con un bel gruzzolo.
Ora, facciamo due conti: in meno di un anno, una coppia di Lamezia Terme ha vinto 155mila euro a Affari tuoi. Se si trattasse di un concorso nazionale, sarebbe già un caso interessante. Ma qui parliamo di un game show in cui la selezione dei concorrenti dovrebbe garantire varietà e trasparenza. Perché è ovvio che, se fosse possibile partecipare in coppia ma separatamente, chiunque potrebbe tentare il colpo doppio, magari coinvolgendo altri parenti stretti. Basta presentarsi con cognomi diversi, farsi chiamare con un soprannome, e il gioco è fatto.
Una coincidenza che fa storcere il naso. E che diventa ancora più sospetta se si considera che Jessica, poco più di un mese fa, è stata avvistata a Chissà chi è su Nove, il programma condotto sempre da Amadeus. Caso vuole che entrambi i format siano prodotti dalla stessa casa, Endemol Shine. Certo, nessuno vieta ai concorrenti di partecipare a più show, ma questa doppietta all’interno dello stesso programma in meno di un anno fa pensare che, più che un colpo di fortuna, sia un colpo di casting quantomeno discutibile.
Possibile che nessuno sapesse del legame tra Jessica e Giovanni Francesco? Difficile crederlo, perché sui social la loro relazione è tutt’altro che segreta. Lui, personal trainer, condivide spesso post e storie con la fidanzata, anche lei attiva nel mondo del fitness. Non solo: chi conosce Lamezia sa bene che è una città grande ma non certo dispersiva, e i due non sono esattamente sconosciuti.
E allora perché nessuno ha controllato? La cosa fa riflettere. Forse una leggerezza, forse una mossa consapevole per portare in trasmissione persone che sanno già come funziona il gioco. Certo, un episodio che mette in discussione la credibilità della selezione. Se bastasse presentarsi separati per aggirare la regola della singola partecipazione, che cosa impedirebbe ad altre coppie, genitori e figli, fratelli e sorelle di fare lo stesso? Magari con un pizzico di strategia, un bel cambio di look e un nome leggermente modificato.
Intanto, Jessica e Gianfranco—pardon, Giovanni Francesco—si godono i loro 155mila euro vinti in meno di un anno. Altro che Affari tuoi, qui gli affari sono di famiglia.
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Televisione
Sandokan vola negli ascolti ma naufraga nel resto: il remake che tradisce Salgari e offende il mito della Tigre della Malesia
Can Yaman inespressivo, Yanez trasformato in una macchietta, personaggi snaturati e sceneggiatura piena di forzature. Il ritorno della Tigre della Malesia, atteso per cinquant’anni, si trasforma in un’operazione senza anima, dove l’estetica batte la sostanza e la magia salgariana evapora.
Il dato nudo e crudo è impressionante: quasi sei milioni di spettatori e uno share che sbriciola la concorrenza. Un trionfo, sulla carta. Ma se si va oltre la curva degli ascolti, il nuovo Sandokan appare per quello che è: un’operazione patinata che somiglia più a una telenovela turca girata sul Tirreno che al capolavoro salgariano amato da generazioni. Le spiagge di Lamezia, bellissime, fanno il loro dovere. Il resto arranca.





Can Yaman, scelto come protagonista, entra in scena con lo stesso entusiasmo di chi deve sostenere un esame senza aver aperto il libro. Bello, sì, instagrammabile anche, ma impacciato, rigido, incapace di restituire un grammo dell’intensità selvaggia del personaggio nato dalla penna di Emilio Salgari. Ci prova con lo sguardo feroce, ma il risultato è una Tigre della Malesia che sembra imitare sé stessa, come un bambino a una recita scolastica.
Non va meglio con Alessandro Preziosi, un Yanez da Gomera trasformato in comico involontario. Faccine, smorfie, battute fuori tempo: il compagno di mille avventure di Sandokan diventa una caricatura, un guizzo sopra le righe che smonta qualsiasi tensione narrativa. Marianna, ribattezzata Lady Maryam, è riscritta in chiave proto-femminista per ragioni che nulla hanno a che fare con il personaggio originale. Tutto è ritoccato, ribaltato, ricalibrato come se Salgari fosse un autore qualunque da aggiornare per compiacere l’algoritmo.
Il risultato è un racconto che non scorre, non vibra, non emoziona. È un lungo tentativo di modernizzare ciò che non andava toccato, con la presunzione tipica di chi crede che basti aggiungere qualche dramma sentimentale e una dose abbondante di CGI per ricreare la magia. Ma Sandokan non è mai stato un esercizio di stile: era un mondo incantato, un’epica dell’avventura, un romanzo da maneggiare in punta di piedi. Qui, invece, i personaggi vengono svuotati, la trama appesantita da trovate discutibili e persino la tigre appare come un pupazzo spaesato.
Il paradosso è che l’impegno produttivo è evidente: mezzi importanti, scenari spettacolari, ambizioni internazionali. Ma quando manca il cuore, tutto il resto diventa accessorio. Il vero problema non è la scelta di un attore turco per interpretare un principe malese; non è neppure la Calabria al posto del Borneo. È il tradimento dell’anima. È l’aver confuso l’omaggio con la riscrittura, l’avventura con il feuilleton, l’incanto con la posa.
A questo punto non resta che arrendersi all’evidenza: Sandokan meritava amore, non un lifting narrativo. Per chi è cresciuto leggendo Salgari, questa non è nostalgia. È delusione pura. E non c’è share che possa salvarla.
Televisione
Charlie Hunnam, l’uomo che guarda nell’abisso: “Interpretare Ed Gein mi ha terrorizzato”
Tra trasformazioni fisiche estreme, introspezione psicologica e la sfida di umanizzare il male: il ritorno di Hunnam segna una delle prove più intense della sua carriera.
Non è facile spaventare Charlie Hunnam. Eppure, lo stesso attore che per anni ha incarnato il carisma ribelle di Sons of Anarchy ammette che il suo ultimo ruolo lo ha «terrorizzato». Il motivo è semplice: per la terza stagione della serie antologica di Netflix Monster, ideata da Ryan Murphy e Ian Brennan, Hunnam è chiamato a vestire i panni di Ed Gein, il serial killer del Wisconsin la cui storia ha ispirato capolavori come Psycho, Non aprite quella porta e Il silenzio degli innocenti.
L’interpretazione ha richiesto all’attore britannico un’immersione profonda e disturbante nei meandri della mente umana. «Questo ruolo mi ha costretto a guardare il lato più oscuro dell’uomo — ha raccontato in un’intervista —. Non volevo che diventasse una caricatura del male. Dovevo capire come un essere umano possa arrivare a tanto».
Un viaggio nella follia americana
Ambientata negli anni Cinquanta, Monster: La storia di Ed Gein ricostruisce la vicenda del “macellaio di Plainfield”, noto per i suoi crimini che scioccarono l’America rurale. Dopo il successo mondiale delle precedenti stagioni dedicate a Jeffrey Dahmer e John Wayne Gacy, la nuova serie ha debuttato in vetta al catalogo Netflix, generando al contempo entusiasmo e polemiche per il modo crudo e realistico con cui rappresenta la violenza.
Hunnam, 45 anni, ha dovuto affrontare un intenso lavoro di preparazione: ha perso circa 14 chili per riprodurre la corporatura esile del vero Gein, ha studiato ore di registrazioni dell’interrogatorio e ha visitato la sua cittadina natale. «La parte più difficile non è stata la trasformazione fisica, ma la comprensione psicologica», ha spiegato. «Dietro le sue azioni c’erano traumi, isolamento e una malattia mentale mai curata. L’obiettivo era mostrare l’uomo prima del mostro».
Da Newcastle a Hollywood: la parabola di un ribelle
Nato nel 1980 a Newcastle upon Tyne, Hunnam è cresciuto nel nord industriale dell’Inghilterra, tra pub, campi da calcio e una famiglia segnata da difficoltà economiche. Dopo un’infanzia turbolenta e un trasferimento forzato nella tranquilla Cumbria, trova nella recitazione la sua via di fuga. Scoperto quasi per caso da un talent scout della BBC, debutta a 17 anni nella serie Byker Grove e poco dopo conquista l’attenzione del pubblico in Queer as Folk, dove interpreta un adolescente alla scoperta della propria identità.
Il salto internazionale arriva con Sons of Anarchy (2008–2014), in cui dà vita a Jax Teller, il tormentato leader di una gang di motociclisti. Quel ruolo lo consacra come icona maschile e simbolo del ribelle moderno. Da allora, alterna cinema e tv in produzioni di prestigio come Pacific Rim di Guillermo del Toro, Civiltà perduta di James Gray, King Arthur e The Gentlemen di Guy Ritchie.
Il metodo Hunnam: tra dedizione e tormento
Per affrontare il ruolo di Gein, l’attore ha adottato un metodo quasi ascetico. «Ho vissuto da solo per settimane, limitando i contatti con il mondo esterno», ha rivelato. Durante le riprese, ha evitato ogni distrazione, immergendosi completamente nella parte. «Più studiavo la sua vita, più capivo che interpretarlo significava affrontare le paure più profonde, le mie e quelle di chiunque».
Al termine delle riprese, Hunnam ha compiuto un gesto simbolico: ha visitato la tomba di Ed Gein, lasciandosi alle spalle il personaggio. «Ho voluto salutarlo — ha detto —. Gli ho promesso che avrei raccontato la sua storia con rispetto, ma che non l’avrei portato con me».
Critiche e riflessioni: chi è il vero mostro?
Come spesso accade con le opere di Ryan Murphy, anche questa stagione ha sollevato dibattiti sull’etica della rappresentazione del male. Hunnam, però, difende la scelta artistica: «Non stiamo glorificando la violenza. La nostra intenzione è capire. Mostrare il male per ciò che è: un fallimento umano e sociale».
E lancia una provocazione: «Gein era il mostro della storia, ma chi è il mostro oggi? Hitchcock, che ha trasformato la sua vicenda in intrattenimento? O noi spettatori, che guardiamo queste storie per sentirci al sicuro di fronte all’orrore degli altri?».
Un attore, due vite
Lontano dai set, Hunnam conduce un’esistenza sorprendentemente riservata. Da quasi vent’anni è legato alla designer di gioielli Morgana McNelis, con cui vive in California, tra natura e discrezione. «Sono con lei da metà della mia vita», ha raccontato. «Non ho bisogno di un certificato per sapere che è la persona giusta».
Nel 2025, con Monster: La storia di Ed Gein, Hunnam dimostra di essere più di un sex symbol o di un eroe da action movie: è un attore che non teme di sporcarsi le mani con l’oscurità. E forse è proprio questa vulnerabilità, questa capacità di guardare dentro l’abisso senza arretrare, che lo rende — ancora oggi — una delle figure più complesse e affascinanti di Hollywood.
Televisione
Enzo Paolo Turchi: “Mi chiamavano gay perché ballavo. Succede ancora, ma molto meno. Il palco mi ha salvato dalla fame e dal dolore”
Ha danzato con Raffaella Carrà, fatto innamorare il pubblico di tutto il mondo e resistito a una vita che non gli ha risparmiato nulla. Enzo Paolo Turchi, oggi 74 anni, riceve il Premio Arte in Danza a Cava de’ Tirreni e si racconta senza filtri: “Questo riconoscimento vale doppio, perché viene dalla mia terra. È qui che ho iniziato a ballare, da scugnizzo dei Quartieri Spagnoli”.
“Mi chiamavano ricchione perché ballavo”
L’infanzia è stata un campo di battaglia: “Mi chiamavano ‘ricchione’ quando scendevo in strada. Succede ancora oggi, ma molto meno. A volte è colpa di messaggi sbagliati: la danza non è femminile, è forza, disciplina e sacrificio.” A otto anni lavorava in una bisca per venti lire al giorno, “per potermi comprare un panino”. Poi la tragedia: “Le mie due sorelline, Flora e Fausta, morirono schiacciate da un carrarmato. Dopo, mia madre impazzì. Io rimasi solo e piangevo ogni notte. Ancora oggi non riesco a stare senza la mia famiglia accanto.”
Carrà, Falana e la gelosia
La consacrazione arriva con Raffaella Carrà e il mitico Tuca Tuca: “Nacque per scherzo a casa di Raffaella. Durante le prove i dirigenti Rai dissero che era osceno. Alla fine ci concessero una puntata e fu un trionfo. Quando Sordi chiese di ballarlo con lei, lo portammo in tutto il mondo.” Sulla loro intesa, Turchi resta vago: “Sono affari nostri. Ma sì, quando mi fidanzai con Lola Falana, Raffaella non mi parlò più. Poi mi richiamò e ripartimmo insieme per una tournée.”
Il mestiere e la polemica
Ancora oggi non risparmia critiche al piccolo schermo: “A Ballando con le Stelle non potrei fare il giudice, lì sono opinionisti. La danza è una cosa seria, servono dieci anni di studio, non tre mesi di prove.”
Una vita da romanzo
Nel suo lungo percorso, Turchi ha lavorato con Sinatra, Liza Minnelli, Julio Iglesias e Barry White: “Dovevo ballare su una sua base, invece lo trovai lì al pianoforte. Mi tremavano le gambe.” Oggi vive con Carmen Russo, la loro figlia Maria e una pensione da 900 euro: “Quando lo dissi non parlavo per me, ma per tutti i ballerini. È un mestiere che ti toglie tutto, ma ti regala l’eternità di un applauso.”
Ha danzato con Raffaella Carrà, fatto innamorare il pubblico di tutto il mondo e resistito a una vita che non gli ha risparmiato nulla. Enzo Paolo Turchi, oggi 74 anni, riceve il Premio Arte in Danza a Cava de’ Tirreni e si racconta senza filtri: “Questo riconoscimento vale doppio, perché viene dalla mia terra. È qui che ho iniziato a ballare, da scugnizzo dei Quartieri Spagnoli”.
“Mi chiamavano ricchione perché ballavo”
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Una vita da romanzo
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