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Calcio

Simona Guatieri: «Keita Baldé mi ha tradito con Wanda Nara e non solo. Ho sacrificato tutto per lui»

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    Sembrava una favola, ma è finita nel peggiore dei modi. Simona Guatieri, modella e influencer, ha scelto di raccontare tutta la verità sulla fine del suo matrimonio con Keita Baldé, calciatore ed ex compagno di squadra di Mauro Icardi. Dopo anni di amore, due figli e numerosi sacrifici, la relazione è crollata sotto il peso dei tradimenti del marito, culminati con il clamoroso scandalo che ha coinvolto Wanda Nara.

    Simona e Keita si erano conosciuti nel 2017 durante un evento di beneficenza della Cifa Onlus, associazione per le adozioni internazionali di cui entrambi erano testimonial. L’amore tra i due aveva portato alla nascita di due figli, Thiago nel 2019 e Isabel nel 2022. La coppia si era sposata nel maggio dello stesso anno con una romantica cerimonia sul lago di Como. Ma appena due mesi dopo, la favola si trasformava in un incubo.

    Il primo sospetto e la scoperta del tradimento

    «Mi sono sposata il 24 maggio», racconta Simona a Vanity Fair, «e a fine luglio ho ricevuto un messaggio da un uomo che mi diceva che Keita era con sua moglie. Mi è crollato il mondo addosso. L’ho pregato di non farlo sapere a nessuno: non volevo subire un’umiliazione pubblica e non volevo che la mia famiglia lo scoprisse».

    Keita si scusò, promettendo che non sarebbe mai più accaduto. Ma quella promessa durò poco. Nel gennaio 2023, esplose la bomba. Mauro Icardi, ex compagno di squadra di Keita, rese pubblica la notizia di un incontro clandestino tra Wanda Nara e Baldé in un hotel di Dubai: «Ho i messaggi, le foto e tutto quello che Balde le ha inviato su Instagram. Me li ha mandati mia moglie», dichiarò Icardi.

    Di fronte all’evidenza, Simona non poté più ignorare la realtà. «Non uscii di casa per due settimane», racconta. «Con lui ho due figli, per lui ho fatto sette traslochi in sette anni. Ho sacrificato la mia carriera, mi sono trasferita persino in Russia. Avevo investito tutto in quella famiglia».

    Una rinascita dopo il dolore

    Simona Guatieri ha provato a tenere insieme i pezzi per il bene dei suoi figli, ma alla fine ha scelto di proteggere se stessa. «Se l’avessi perdonato ancora, mi avrebbe tradita di nuovo», spiega. «Ho sofferto talmente tanto che questa era l’unica decisione possibile».

    Ora, dopo mesi difficili, Simona guarda avanti. «Oggi sono quaranta volte più ricca rispetto a quando mi sono sposata, ma allora ero felice», conclude. Nonostante le cicatrici, è pronta a riprendere in mano la sua vita, più forte e consapevole di prima.

    La storia di Simona Guatieri è quella di tante donne che si trovano a dover ricostruire la propria identità dopo una grande delusione. Ma è anche un esempio di resilienza: dietro il dolore, c’è sempre la possibilità di rinascere.

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      Calcio

      Edoardo Bove: “Ero indemoniato in ambulanza, cercavo di mordere tutti. Eriksen mi ha chiamato subito dopo il malore”

      Ospite del podcast di Gianluca Gazzoli, Edoardo Bove svela i dettagli del malore in campo, il viaggio choc in ambulanza, la vicinanza di Eriksen e la nuova vita con il defibrillatore sottocutaneo: “Mi sento fortunato, ma oggi non sono più l’Edoardo di prima”.

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        Edoardo Bove ha scelto il podcast “Passa dal BSMT” di Gianluca Gazzoli per raccontare senza filtri uno dei momenti più drammatici della sua carriera e della sua vita. Il giovane centrocampista, che oggi vive lontano dal campo in attesa di capire se potrà tornare a giocare, ha ripercorso il malore che lo ha colpito durante Fiorentina-Inter e le conseguenze che ne sono derivate, tra diagnosi incerte e un futuro ancora tutto da scrivere.

        Bove ha spiegato che, secondo la legge italiana, non potrà tornare a giocare a livello agonistico con il defibrillatore sottocutaneo, installato per proteggere la sua vita: “All’estero potrei firmare una liberatoria, ma qui non è permesso. Andrò avanti con le visite e se un giorno potrò toglierlo valuterò. La mia salute mentale però conta più di tutto. Se non mi sento sicuro senza defibrillatore, non importa. Vivo un’altalena di emozioni, tra speranza e paura”.

        Il ricordo del malore è ancora vivido, ma Bove ammette che rivedere quelle immagini oggi è più difficile: “All’inizio ero quasi distaccato, ora mi fa male. Mi chiedo perché io no e gli altri sì. Poi mi sento subito in colpa perché so di essere fortunato. Ho capito subito quanto si sono spaventati tutti, ed è stato devastante”.

        Il centrocampista ha raccontato in modo dettagliato quanto accaduto durante quella tragica partita: “Ricordo tutto fino a poco prima del malore. Avevo la testa che girava, ma pensavo fosse l’alimentazione. Mi sono chinato fingendo di allacciarmi le scarpe, poi il buio. Quando mi sono svegliato, pensavo di aver avuto un incidente. Mi hanno raccontato che in ambulanza ero fuori controllo, cercavo di mordere chiunque, ma non ricordo nulla di quel momento”.

        Bove ha voluto sottolineare l’importanza della prontezza dei soccorsi: “Siamo dipendenti da chi ci sta accanto. Se accade in strada e nessuno sa fare il primo soccorso, non c’è scampo. Io sono vivo perché ero nel posto giusto al momento giusto. In campo avevo accanto i medici, i defibrillatori, le persone giuste. Sono grato per come è andata”.

        Sulla nuova quotidianità con il defibrillatore, Bove ha raccontato anche l’impatto psicologico: “All’inizio l’ho presa alla leggera, ma ora lo sento sempre addosso. Quando dormo, quando faccio certi movimenti. Ti cambia la percezione di te stesso, anche nei controlli aeroportuali. Ti senti osservato, a volte violato”.

        Tra i momenti più toccanti, la chiamata di Christian Eriksen, che ha vissuto un’esperienza simile durante gli Europei del 2021: “Non lo conoscevo di persona, ma mi ha chiamato subito. È stato bellissimo, mi ha detto di pensare solo a stare tranquillo e a stare con la mia famiglia”.

        Infine, Bove ha parlato anche del dolore dei suoi cari: “Vedere la mia famiglia soffrire senza poter fare nulla mi ha distrutto. Nonostante le tante fake news che giravano, sono stati sempre al mio fianco, mi hanno dato tutto. Ho vissuto questa cosa forse con troppa maturità. Oggi non sono più l’Edoardo di prima, ma non smetto di lottare”.

        Bove è pronto a riprovarci, ma senza forzature: “Non mi precludo nulla. Devo rispetto a me stesso, alla mia famiglia e ai sacrifici fatti. Ma voglio fare tutto con serenità e ascoltando i medici”.

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          Calcio

          Il medico di Maradona irriconoscibile in tribunale: Leopoldo Luque cambia volto e fisico dopo le accuse

          Botox, chirurgia e palestra: Leopoldo Luque si trasforma in un’altra persona. Ma il tribunale di San Isidro deve stabilire se sia uno dei responsabili della fine di Maradona

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            Leopoldo Luque, il neurochirurgo argentino diventato famoso per essere stato il medico personale di Diego Armando Maradona, è apparso irriconoscibile alla prima udienza del processo sulla morte del campione. Volto visibilmente ritoccato, zigomi gonfi, mascella scolpita e un fisico da bodybuilder che nessuno ricordava. Luque, 44 anni, accusato di omicidio con dolo eventuale insieme ad altri sette imputati, ha deciso di cambiare completamente aspetto: niente più l’immagine del medico in camice che si asciugava le lacrime davanti alle telecamere nel 2020, ma quella di un uomo che sembra voler cancellare ogni traccia del passato.

            La scelta di Luque non passa inosservata tra i fan del Pibe de Oro e nel “tribunale popolare” che da sempre condanna il medico per la morte di Diego. Maradona morì il 25 novembre 2020, in quella che gli inquirenti hanno definito la «casa degli orrori», un’abitazione di Tigre che secondo l’accusa non offriva alcuna assistenza adeguata a un paziente in quelle condizioni. Luque frequentava quella casa, vicino sia a Diego che all’avvocato-manager Matías Morla, anch’egli al centro delle indagini.

            Secondo l’accusa, le indicazioni sanitarie di Luque sarebbero state superficiali, se non addirittura determinanti nel peggiorare la salute di Maradona. Il medico, già allora sotto il fuoco incrociato di tifosi e familiari, aveva dichiarato: «Non l’ho ucciso io, gli volevo bene e ho fatto tutto per lui», ma le sue parole non hanno mai convinto del tutto l’opinione pubblica argentina.

            Ora il cambio d’identità. Nelle immagini emerse dalla prima udienza al tribunale di San Isidro, il medico appare con lineamenti trasformati, probabilmente grazie a un mix di interventi estetici e botox, ma soprattutto con un corpo muscoloso frutto di sessioni intense in palestra. L’obiettivo, secondo molti osservatori, sarebbe quello di sfuggire al linciaggio mediatico e alle possibili minacce di chi accusa Luque di essere una delle cause della fine tragica di Diego.

            Il medico, infatti, è il volto più noto tra gli otto imputati. A lui la famiglia Maradona e i fan più accaniti attribuiscono la maggiore responsabilità per la gestione sanitaria del campione durante gli ultimi giorni di vita. Le accuse per tutti gli imputati parlano di omicidio con dolo eventuale, un reato che in Argentina prevede pene fino a 25 anni di carcere.

            Sul banco degli imputati, accanto a Luque, ci sono anche una psichiatra, due infermieri, un coordinatore infermieristico, una psicologa, un medico clinico e un coordinatore medico. La loro gestione della salute di Maradona, secondo l’accusa, fu «imprudente e inadeguata», aggravata da negligenza e presunta disorganizzazione.

            Il processo, che si preannuncia lungo e complesso, proseguirà nelle prossime settimane, ma l’attenzione mediatica è già tutta su Luque e su quella trasformazione che molti hanno letto come un tentativo estremo di sottrarsi all’odio popolare. Anche se, al netto del nuovo volto, l’accusa resta sempre la stessa: aver lasciato morire un’icona planetaria, senza l’assistenza medica necessaria.

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              Calcio

              Totti, l’imperatore della figuraccia: a Mosca tra le ombre di Putin per un evento di scommesse

              Bufera su Francesco Totti: finisce su maxi affissioni a Mosca mentre l’Italia sostiene l’Ucraina. Web e politica insorgono: “Così svende la sua immagine al regime di Putin per quattro spicci”. E il popolo lo incorona “imperatore della figuraccia”.

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                Cosa ci fa Totti sugli enormi cartelloni che campeggiano per le strade di Mosca accanto alla scritta: “Arriva l’imperatore nella terza Roma”? Se lo chiedono in tanti, mentre la tempesta social sul Pupone monta ora dopo ora. L’ex capitano della Roma, uno dei calciatori più amati della storia del nostro calcio, è finito nell’occhio del ciclone per la sua decisione di partecipare a un evento promozionale organizzato da una società di scommesse russa che avrebbe legami con il regime di Mosca e sospetti legami con attività di riciclaggio tramite criptovalute. Un viaggio inopportuno, dicono in molti, soprattutto in questo preciso momento storico, in cui l’Italia è in prima linea nel sostegno all’Ucraina aggredita da Putin. Eppure, Totti pare non farsi troppi scrupoli.

                In Russia, intanto, Mosca lo accoglie come una star. I cartelloni lo celebrano come “imperatore” e la città lo aspetta per un evento previsto per l’8 aprile, tra fan osannanti e critiche feroci che rimbalzano sui social. La sua immagine con la maglia numero 10 e il titolo di “imperatore della terza Roma” — con evidente riferimento all’equazione storica che lega Mosca alla “Roma imperiale” — è già ovunque. Ma a Roma, quella vera, la reazione non è affatto entusiasta.

                Sui social si sprecano le accuse di “tradimento” e di “scivolone morale”. “Totti va a Mosca per fare da sponsor a un evento finanziato da una società che odora di rubli sporchi. Capità, ma che stai affà?” scrive un utente su X. E non è il solo. Piovono commenti tra il deluso e l’indignato: “Ma proprio ora che l’Europa è sotto attacco?”, “Vergogna”, “Che caduta di stile”, e ancora “L’imperatore della figuraccia”. Ecco il nuovo soprannome che molti gli hanno cucito addosso, e che in poche ore ha invaso le bacheche digitali dei tifosi romanisti e non solo.

                Ma la vicenda ha già superato i confini dei social network. È entrata nella sfera politica con l’intervento di +Europa, che attraverso il portavoce Andrea Massaroni ha chiesto pubblicamente a Totti di fare marcia indietro: “Francesco, Roma ti ama anche per il tuo cuore e la tua generosità: non permettere che siano associati a chi calpesta diritti umani e democrazia. Resta dalla parte giusta della storia”. L’invito è chiaro: non prestare il volto al soft power di un regime accusato di crimini di guerra e repressione interna.

                Nel frattempo, il mondo del calcio resta in silenzio, mentre l’ex capitano si avvia a diventare protagonista di un evento promozionale che rischia di danneggiare ulteriormente la sua immagine. Perché a preoccupare non è solo la presenza a Mosca, ma anche la leggerezza con cui Totti sembra accettare di sedere al tavolo di chi, in questo momento, sta alimentando una guerra che ha provocato migliaia di morti.

                Il quadro è già chiaro a tutti: Francesco Totti sta trasformando la sua legacy da “ottavo re di Roma” a “imperatore della figuraccia”, come titola qualcuno con sarcasmo amaro. L’ennesimo errore di un campione che, dopo il polverone con Ilary Blasi e le controversie sulla separazione, sembra disposto a svendere pezzi della propria immagine al miglior offerente.

                Intanto Mosca lo aspetta a braccia aperte. La terza Roma, come la chiamano i russi, ha già affisso i manifesti. Ma la prima Roma — quella vera — osserva e si interroga: vale davvero la pena rischiare di passare alla storia per quattro spiccioli e un brindisi di vodka con chi si prepara a mostrare il Pupone come trofeo?

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