Sport
Dorotea Del Piero in bianconero, è il “Pinturicchio” in versione femminile
La figlia di 15 anni dell’ex stella juventina Alex Del Piero è stata ingaggiata dalla Juventus Women, seguendo le orme del padre. Chissà se coi medesimi risultati, staremo a vedere…

Del Piero alla Juventus? No, non si tratta di una fake news che vorrebbe nuovamente in campo il mitico Alex all’ombra della Mole Antonelliana… anche perchè l’età non glielo permetterebbe. La notizia però è vera: sua figlia Dorotea comincerà ad allenarsi nell’Under 17 della Juve femminile. Buon sangue non mente: come i fratelli Tobias e Sasha anche la 15enne ha ereditato dal talentuoso pdre la passione e le capacità per il pallone, che metterà a servizio della squadra che ha reso il genitore una vera e propria leggenda.
Sulle orme del babbo
Dorotea Del Piero ha scelto il numero 12 per la sua nuova avventura alla Juventus Women. Il suo è un cognome importante, forse anche… ingombrante. Un cognome che evoca indimenticabili vittorie, millimetriche punizioni in rete e annate indimenticabili per tutti i tifosi bianconeri. Che naturalmente, appresa la notizia, si sono mostrati entusiasti di accogliere un altro membro della Del Piero Family nel club della Continassa, ovvero il centro sportivo di proprietà della Juve dove si svolgono gli allenamenti.
I primi calci a Los Angeles
15 anni compiuti il maggio scorso, Dorotea è la figlia di mezzo di Alessandro Del Piero e la moglie Sonia Amoruso (i due si sposarono il 12 giugno 2005 sui colli di Torino nella piccola parrocchia di Mongreno). Fin da piccola ha mostrato il suo interesse per il calcio. Come attaccante esterno, ha mosso i primi passi a Los Angeles, dove la famiglia Del Piero vive da 10 anni, nella società fondata dal papà – l’ADP10 – proseguendo successivamente a giocare con il Team USA della Juventus Academy. Ora il suo approdo a Torino nell’Under 17 della Juve femminile, team guidato dal tecnico Luca Scarcella che nella passata stagione è arrivato a giocarsi la finale scudetto di categoria.
Oggi il business di Alessandro è tutto made in L.A.
Dopo l’addio al calcio nel 2012 (anche se con una successiva parentesi in Australia e India), Alessandro si è stabilito a Bel Air dove gestisce i suoi business, dal ristornate N.10 al club dilettantistico di Los Angeles, il LA 10, senza dimenticare il team automobilistico fondato con l’attore Patrick Dempsey, mantenendo comunque un legame strettissimo con l’Italia.
Affinità elettive e tanto amore
Tra padre e figlia tante somiglianze e, in comue, un amore incondizionato raccontato anche attraverso i social. “Il 4 maggio era il compleanno di mia figlia, ha compiuto 15 anni”, ha scritto l’ex capitano bianconero, “Non c’è un solo giorno in cui io non ringrazi l’Universo per averti dato a me. Dopo aver avuto mio figlio Tobias desideravo una bambina, una mini me di cui prendermi cura… e si è scoperto che sei tu a prenderti cura di me. Con la tua generosità, la tua empatia, la tua gentilezza, cercami sempre per vedere se sto bene. Dorotea ti amo da morire”.
Una famiglia nel pallone
Oltre alla figlia, anche il primogenito di casa Del Piero è tornato nel suo paese. Tobias da questa estate milita nell’Empoli Under 18 e sembra pure che anche il piccolo Sasha, classe 2010, mostri spiccato interesse per legare il suo futuro al calcio. Alla fine, probabilmente… l’unica a non tirare calci ad una palla rimarrà la moglie Sonia…
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Tennis
Storico Sinner: battuto Alcaraz in quattro set, Jannik vince Wimbledon e riscrive la storia del tennis italiano
Il campione altoatesino si prende la rivincita su Alcaraz dopo la sconfitta al Roland Garros: trionfa sull’erba londinese e diventa il primo italiano a conquistare Wimbledon. In tribuna l’abbraccio con il team, il bacio ai genitori e il saluto alla principessa Kate.

Londra – Jannik Sinner ce l’ha fatta. Il ragazzo dai capelli rossi che viene da San Candido è entrato nella leggenda dello sport italiano, alzando al cielo il trofeo più iconico e prestigioso del tennis mondiale: la coppa di Wimbledon. Sul centrale dell’All England Club, gremito fino all’ultimo posto, ha battuto il numero due del mondo, Carlos Alcaraz, in quattro set con il punteggio di 4-6, 6-4, 6-4, 6-4. È un risultato che risuona come un boato non solo per la portata sportiva, ma anche per il carico simbolico che porta con sé: mai un tennista italiano aveva vinto il torneo di Wimbledon. Mai, prima di oggi.
La finale è stata all’altezza dell’occasione. Un duello teso, fisico, spettacolare. Una vera rivincita dopo la semifinale persa a Parigi solo un mese fa. Ma stavolta Sinner è stato perfetto: solido, intelligente, glaciale nei momenti decisivi. Dopo aver perso il primo set 6-4, ha saputo cambiare marcia e piazzare tre parziali consecutivi fotocopia, 6-4, 6-4, 6-4, lasciando pochi margini all’estro del suo avversario.
Il match è stato un condensato di intensità ed eleganza, con lunghi scambi, palle corte chirurgiche e vincenti a tutto braccio. Alcaraz ha provato a spingere, a rompere il ritmo, ma Sinner ha risposto con una tenuta mentale da veterano. A soli 23 anni, Jannik si è dimostrato un campione maturo, in grado di reggere la pressione e di farlo nel tempio sacro del tennis mondiale.
Appena l’ultimo punto è scivolato via, Sinner si è lasciato andare a una gioia composta ma incontenibile. Ha alzato le braccia al cielo, poi ha corso verso la tribuna del suo team. Prima l’abbraccio con gli allenatori Darren Cahill e Simone Vagnozzi, poi la stretta commossa con Umberto Ferrara e il preparatore fisico Giacomo Vittur. Emozionato e sorridente, Jannik ha quindi raggiunto i genitori per un tenero bacio e un abbraccio che racchiudeva anni di sacrifici. Subito dopo, un cenno amichevole e riconoscente al cantante Seal, spesso presente ai suoi match, e infine il momento più solenne: la consegna del trofeo dalle mani della principessa Kate Middleton.
È il quarto Slam in carriera per Sinner, dopo l’Australian Open vinto all’inizio di quest’anno e i due US Open del 2022 e 2023. Ma questo di Wimbledon ha un sapore speciale: è l’incoronazione definitiva del suo talento, un sigillo storico che lo proietta in una dimensione ancora più alta. Con questo trionfo Sinner rafforza il suo ruolo di numero 1 del ranking ATP, diventando il simbolo di una generazione nuova, capace di spezzare l’egemonia di Djokovic, Nadal e Federer e di scrivere capitoli nuovi per l’Italia del tennis.
«È un sogno che si realizza. Vincere qui, a Wimbledon, è qualcosa che porterò con me per tutta la vita», ha detto Sinner con la voce ancora incrinata dall’emozione. «Ringrazio il mio team, la mia famiglia, i tifosi che mi hanno sostenuto ovunque. Questo trofeo è anche vostro.»
Da oggi, Wimbledon non è più solo il giardino dei britannici o la fortezza dei Fab Three. È anche il posto in cui un ragazzo italiano ha fatto la storia, insegnando a tutti come si può vincere con grazia, determinazione e umiltà.
Jannik Sinner è il re dell’erba. E lo sport italiano ha un nuovo campione immortale.
Calcio
Azzurro sbiadito: l’Italia fuori dalla Top 10 Fifa. Ora è dietro anche alla Croazia
Perde due posizioni la Nazionale italiana nel nuovo ranking Fifa. E intanto la Croazia ci supera, il Belgio resta inspiegabilmente tra i big, e l’Argentina continua a guardare tutti dall’alto.

L’azzurro si scolora, ancora una volta. La nuova classifica Fifa, pubblicata in queste ore, è una doccia fredda per i tifosi italiani: l’Italia è ufficialmente fuori dalla Top 10. Dopo un Europeo balbettante e una serie di prestazioni in chiaroscuro, la Nazionale scivola all’undicesimo posto, perdendo due posizioni rispetto alla graduatoria del 3 aprile. Un tonfo che arriva dopo oltre 200 partite internazionali disputate nei mesi di maggio e giugno, e che racconta di un’Italia in evidente affanno.
Il cambio in panchina, con l’addio di Luciano Spalletti e l’arrivo di Gennaro Gattuso, ha portato con sé l’ennesimo scossone. L’esordio del nuovo ct è stato amaro: sconfitta contro la Norvegia nelle qualificazioni ai Mondiali del 2026 e vittoria sofferta contro la Moldova. Troppo poco per tenere il passo delle grandi.
In testa al ranking mondiale resta l’Argentina, seguita da Spagna, Francia, Inghilterra e Brasile. A ruota, Portogallo e Olanda si scambiano il sesto e settimo posto. Il Belgio continua a mantenere saldamente l’ottava posizione, un mistero calcistico ormai da anni: niente finali, niente trofei, ma sempre tra i migliori dieci. Dietro, la Germania risale fino al nono posto, mentre la Croazia rientra in Top 10 proprio scavalcando l’Italia.
Subito dietro gli azzurri, il Marocco resta stabile al dodicesimo posto, ma il Messico fa un bel salto in avanti grazie alla vittoria nella Gold Cup, superando gli Stati Uniti e portandosi al tredicesimo posto. Stabili anche Colombia e Senegal, mentre Uruguay e Giappone perdono terreno.
Tra le nazionali in maggiore ascesa, spicca la Costa Rica, che grazie ai quarti raggiunti nella Gold Cup guadagna 14 posizioni, piazzandosi al 40° posto. Bene anche Norvegia (33°) — proprio la squadra che ha affossato l’Italia — Macedonia del Nord (62°) e Zambia (83°), tutte in crescita di cinque posizioni.
Insomma, il calcio italiano continua a perdere terreno anche nei numeri. E se l’estate 2024 ha lasciato l’amaro in bocca, l’autunno dovrà portare più di una scossa. Gattuso è già al lavoro per ridare grinta, punti… e un po’ di lustro a quell’azzurro che oggi sembra davvero troppo stinto.
Tennis
Adriano Panatta e la confessione su Mita Medici: «Scappai con la Bertè, me ne vergogno ancora oggi»
Dall’infanzia al Parioli ai successi con la maglietta rossa contro Pinochet, Panatta ripercorre la sua storia tra sport, politica, musica e amori: «Quel giorno al ristorante con Mita Medici finì male. Entrai con lei e uscii con la Bertè. Mi comportai come una merda».

Adriano Panatta non è solo il tennista che ha vinto il Roland Garros nel 1976. È un pezzo di storia d’Italia, un frammento di anni Settanta che ancora oggi scintilla di ironia, talento e contraddizioni. In una lunga intervista con Aldo Cazzullo, l’ex numero uno azzurro si lascia andare ai ricordi: l’infanzia nei campi del Parioli, la racchetta col manico tagliato, l’amicizia tormentata con Nicola Pietrangeli. E poi gli amori, gli eccessi, i rimpianti.
«Con Mita Medici mi comportai da stronzo», ammette. «Era una ragazza deliziosa. Ma una sera, al ristorante Santa Lucia, arrivò Loredana Bertè: pelliccia di scimmia, atteggiamenti da star. E io uscii con lei. Me ne vergogno ancora». Un colpo di scena degno di un film, anzi di quegli anni folli in cui tutto sembrava possibile. Loredana e Adriano furono una coppia esplosiva, tra minigonne vertiginose, cinema e amicizie fuori dal comune: «Renato Zero lo incontrai vestito da marziano sotto il balcone di piazza Venezia».
Ma non è solo nostalgia. Panatta riflette anche sul presente, con amarezza: «Non mi riconosco in nessuna forza politica. Mi sento di sinistra, ma quella vera non c’è più». Guarda con stima a Carlo Nordio e prova angoscia per il mondo che lo circonda: «Trump, Gaza, le guerre…».
Sulla nuova generazione tennistica è più cauto. Sinner lo nomina appena. Alcaraz? «Non ha mai letto un libro», dice con un sorriso. Lui invece lo ha fatto tardi, dopo la morte dell’amico Paolo Villaggio, che gli consigliò Kafka e Dostoevskij. «Un uomo di cultura mostruosa».
E la Coppa Davis? Ancora oggi la considera più importante di Wimbledon. Non dimentica la finale in Cile, giocata con la maglia rossa in segno di protesta contro il regime di Pinochet. Un gesto forte, come forte era quell’Italia, piena di contraddizioni ma anche di coraggio.
Panatta oggi è memoria viva e battuta pronta, capace di ridere dei suoi errori e raccontarli senza filtri. E se i rimorsi tornano, come quello per Mita Medici, almeno non si nasconde. Anche per questo, resta uno dei personaggi più autentici dello sport italiano.
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