Percorsi di coaching
Cambio di paradigma

Nella puntata precedente ci siamo congedati con un riferimento al c.d., “cambio di paradigma”.
Se volessimo trovarne un’efficace definizione, un cambio di paradigma è una caratteristica necessaria all’interno di un percorso di coaching.
Siamo tutti Alice nel paese delle meraviglie
Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero. «Volevo soltanto chiederle: che strada devo prendere?» disse. La risposta fu: «Beh, tutto dipende da dove vuoi andare!».
(Lewis Carroll)
Se è vero, come è vero, che mettersi in discussione spinge la persona a “muoversi” nella direzione del suo obiettivo, un cambio di paradigma troverebbe uno stretto legame con una chiara ed effettiva assunzione di responsabilità. “Si accendono i riflettori su aspetti cui magari in precedenza non erano mai stati nemmeno pensati e l’evoluzione della persona la eleva rispetto al punto di partenza del percorso nella direzione del futuro desiderato” (estratto dal mio libro Childlike. Come un bimbo, 2024, Antea Edizioni).
Siamo tutti Rocky
Se è possibile per qualcuno, è possibile anche per me; se l’ho fatto una volta posso farlo ancora”. Ricordate Rocky e il suo discorso sul ring, nel quarto film? “Se io posso cambiare e voi potete cambiare… tutto il mondo può cambiare”. Farsi forza dalla consapevolezza di aver già risolto in passato una situazione analoga o, più in generale, dal fatto che qualcun altro l’ha affrontata e superata, vuol dire sapere gestire la “duplicabilità di un comportamento”.
Il compito la prossima volta
Nella nostra evoluzione, nella nostra ricerca, quale strategia vincente è consigliabile seguire per generare nuove possibilità, facendo leva sui punti di forza e capitalizzando i propri talenti? La priorità del coach sarà indirizzare il proprio interlocutore alla flessibilità e all’adattabilità al cambiamento. Cambiare? Sì, avete letto bene. La prossima volta parleremo di cambiamento, rimanete sintonizzati, ne leggerete delle belle…
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Percorsi di coaching
Emozioni da androide

Chi di voi mi segue nella mia attività di Mental Coach con atleti professionisti, sa dell’importanza di far scorrere le emozioni. L’importanza di ascoltarle e dar loro risonanza ad ogni passo svolto, di qualsiasi disciplina si parli.
L’esasperazione dei tempi moderni
L’alta professionalizzazione del ruolo dell’atleta ha creato negli ultimi anni una vera e propria narrazione relativa al cosiddetto “calciatore-cyborg”. La più ricorrente delle interpretazioni è quella riguardante lo sportivo che agisce in maniera asettica ed opera come un robot, capace di compiere sempre la scelta giusta in campo e di allenarsi con impegno tale da sfociare facilmente nello stakanovismo, attento a evitare passi falsi nella vita privata e, perché no, con una parlantina al cospetto della stampa da leader consolidato ed esperto. Questa figura, si tratti di calciatore, tennista, pugile, hockeista corrisponde ad un modello umano molto evoluto e per questo caratterizzato da un messaggio a dir poco distorto.Ccome fa un ragazzo a vivere la quotidianità e lavorare ogni giorno nella direzione dei propri sogni se nel fare questo non dà ascolto alle proprie emozioni?
La sfida delle emozioni
Non è solo la citazione dell’ultima, consigliatissima fatica libraria della collega e amica Nicoletta Romanazzi. Quello che noi coach indichiamo a gran voce, parte dall’idea che le emozioni siano il sale della vita. E che possano dare forza ed entusiasmo per realizzare grandi imprese e consentire di trasformare le difficoltà in sfide. Di fatto, parlare di “calciatore-cyborg” è qualcosa che deturpa le vibes insite nel fare sport, ad ogni livello. Tendo a consigliare agli atleti che accompagno, che il riferimento al robot deve limitarsi per lo più all’ego. In modo dunque funzionale ad eseguire i compiti che vengono assegnati dal Mister. Azzerare la cosiddetta resistenza soggettiva, facilita lo svolgimento delle cose che ci sono da fare, rendendole più lineari e azzerando lo spazio a parti interpretative. Ogni ChatGPT che si rispetti, segue in effetti una programmazione umana e si limita ad eseguire il compito richiesto. Ben diverso è l’aspetto emozionale, di cui lo stesso cyborg non è provvisto, e che può fare la differenza nella prestazione del calciatore.
Un ruolo essenziale nelle nostre vite
Ma in cosa consiste un’emozione? Un’emozione è la risposta psicofisica complessa che coinvolge insieme corpo e mente, scatenata da stimoli interni o esterni e che si manifesta attraverso sensazioni soggettive (ciò che si prova), reazioni fisiologiche (come il battito cardiaco accelerato o la sudorazione) e comportamenti espressivi (come sorridere, piangere o parlare in modo concitato). Essa ha un ruolo essenziale nella nostra vita: ci aiuta a comprendere il mondo che ci circonda, a prendere decisioni e a costruire relazioni, può variare in intensità e durata, e ha una funzione adattiva nel senso che ci segnala bisogni, desideri o pericoli, aiutandoci a reagire in modo appropriato alle situazioni.
Emozioni principali ed emozioni complesse
Possiamo etichettare come emozioni principali, o anche “emozioni di base”, la gioia (sentimento di felicità e benessere), la tristezza (sensazione di perdita o sconforto), la rabbia (percezione di ingiustizia o frustrazione), la paura (risposta a minaccia o a pericolo), il disgusto (repulsione verso qualcosa di spiacevole o offensivo) o la sorpresa (intesa come risposta ad un evento inatteso). Ed è così che, per esempio, la paura ci spinge a evitare il pericolo, mentre la gioia ci stimola a ripetere esperienze gratificanti.
Il valore aggiunto dell’essere umano
Oltre alle emozioni di base, ne esistono di più complesse come la colpa, la vergogna, l’orgoglio o l’empatia, che si sviluppano in risposta alle interazioni sociali e all’elaborazione cognitiva. Ai miei atleti raccomando di “scavare a fondo” e di conoscerle il più possibile, per evitare che queste possano esplodere all’improvviso o restare represse, in ogni caso, prima o dopo manifestandosi in modo incontrollato. Il valore aggiunto dell’essere umano, la sua “complessità”, deriva proprio dal fatto che le emozioni, se comprese e trasformate, ci permettono di vivere una vita ricca e soddisfacente, piena e appagante. Difficile ipotizzare qualcosa di simile nel caso di un robot…
Childlike – Come un bimbo, Antea Edizioni (edizioniantea.it)
fraborrelli40@gmail.com
Percorsi di coaching
“Sono nato pronto!!!”

“Ci vediamo alle 12:00 in ufficio, aspetta però prima la mia conferma”. Quante volte è capitato di trovarti in attesa di quella decisione esterna a te che condiziona un impegno o indirizza una giornata? E quante volte la risposta dell’interlocutore segue logiche e soprattutto tempistiche diverse (diversissime!) da quelle che avresti voluto? La disdetta o la conferma di quell’appuntamento fa discendere “a cascata” tutta una serie di altri possibili incastri, nel tetris dello schedulare compulsivo quotidiano.
“Se avessi la certezza che quell’appuntamento si concretizzasse, mi sarei già attivato”.
L’inganno della mente in cui cadono tante persone risiede proprio nel rimanere bloccate nell’attesa di un elemento di esterno a loro, sia esso una conferma o una disdetta. In queste situazioni è in agguato la reazione collegata allo scoraggiamento, comune a tutte le tipologie di persone. È umano avere dei momenti di stanchezza. Pensare al fatto che ti stai preparando per nulla o che la fatica che stai facendo sia sprecata perché quell’opportunità chissà se mai si concretizzerà. Pensa a chi pratica uno sport e vive la condizione di “riserva”: fra una partita e l’altra. L’atleta potrebbe ridurre l’impegno nell’allenamento. O proprio non avere le motivazioni per lavorare, proprio perché la certezza del momento agognato non c’è e potrebbe non esserci mai.
Dialogo da campioni
Ripetere a sé sessi di “farsi trovare pronti” è l’atteggiamento del fuoriclasse nella vita. Della persona extra-ordinariache riesce a centrarsi su ciò che c’è da fare. A prescindere da cosa stia accadendo nel presente e a cosa le riserverà il futuro. Non è solo metodicità o gestione del tempo (pensa a quelli dell’”ansia” da ultimo minuto o a quelli della corsa all’ultimo regalo, tema molto attuale in questo periodo), quanto piuttosto la consapevolezza di lavorare sul proprio livello di preparazione per quell’appuntamento.
Che altrimenti potrebbe alimentare il rimpianto di aver avuto l’opportunità ma non le capacità di aver sfruttato l’occasione. Pensa soltanto alla differenza che caratterizza il dialogo interno nel caso in cui vai nel panico e cominci a vedere ciò che manca. Quando ti dici“non ho abbastanza tempo”, “non dispongo delle risorse” “e adesso come faccio”. Rispetto a quando affermi a te stesso che “il momento che aspettavo da tutta la vita finalmente è arrivato”. Oppure “adesso si va in scena”, o ancora “adesso ci divertiamo, finalmente tocca a me!”.
Prima devi essere, poi puoi fare. Solo allora otterrai
Lavorare sul farsi trovare pronti significa cementare la propria identità. Insieme allo scolpire il proprio sistema di credenze in maniera potenziante, affinché si materializzi come la migliore nostra versione. Questo atteggiamento aiuta a liberare il proprio potenziale, facendo venire meno ogni filtro limitante e ad approcciarci al meglio al colloquio, all’appuntamento, all’aeroporto. Il risultato sarà la naturale conseguenza, successiva all’esserti adattato a svolgere al meglio il compito per il quale saremo chiamati. E per il quale nel frattempo dobbiamo allenare la pazienza.
Si tratti del lavoro che non speravamo più di trovare. Del partner che non pensavamo più di incontrare. Dell’evento al quale presentarsi nella migliore forma, del viaggio per il quale non avremmo più ipotizzato di imbarcarci. E ancora… del ruolo cui aspiravamo da tempo e per il quale ci viene chiesto di dimostrare le nostre capacità. O della difficoltà che avremmo evitato e che il destino ci mette sul cammino.
Childlike – Come un bimbo – Antea Edizioni (edizioniantea.it)
Percorsi di coaching
A come assertività

Intorno al concetto di assertività esistono tanti falsi miti e narrazioni che spesso ne distorcono caratteristiche e valore. Innanzitutto, sgombriamo il campo da tutto ciò che può richiamare autorità, arroganza, o più in generale, prevaricazione. Siamo in un altro campo e in particolare la definizione da vocabolario fa proprio riferimento a ciò che è affermativo. Potremmo dunque dire che l’asserzione (detta anche affermazione di sé), è una caratteristica del comportamento umano che consiste nella capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni senza offendere né aggredire l’interlocutore.
Perimetro dell’assertività
È opinione diffusa che se non esprimiamo l’assertività, è concreta la prospettiva di diventare passivo/aggressivo una sorta di cinismo per mascherare il problematico legame con noi stessi. Essere assertivi significa prima di tutto conoscere sé stessi e le proprie emozioni, sentendo cosa si sente e con chiarezza prima di tutto affermarlo a sé stessi. La conoscenza di sé comprende anche la dimestichezza e la familiarità con il potere collegato alla contezza del proprio potenziale e di come riuscire a sprigionarlo. Quando si parla di assertività si è lontani dall’idea di manipolazione propendendo piuttosto per l’esprimere alle altre persone quali sono i propri bisogni a seconda dell’interlocutore che si ha davanti.
Alcune regole sull’assertività
Per avere una comunicazione efficace, dovremmo dire soltanto ciò che sentiamo, evitando di menzionare ciò che non è necessario, senza per questo snaturarsi o, peggio, mentire.
Ecco, dunque, che ritorna in maniera netta, la necessità di conoscere sé stessi e i propri bisogni reali, distinguendoli da quelli dettati da false credenze e paure. Il concetto di paura ci porta poi all’assoluta priorità di familiarizzare con ogni emozione, utilizzandole nel nostro percorso e senza che esse ci paralizzino dietro all’idea del tempo (il classico “sono sempre stato un ansioso, non posso certo cambiare adesso”).
Quello che pensano gli altri
Esistono tante sfumature di colore che possono evitarci di cadere nella tentazione del giudizio su di sé o sugli altri. Ancora, fondamentale è smontare la paura del giudizio degli altri circa ciò che esprimiamo: senza conoscere se stessi non si può essere assertivi e tutto ciò che non viene espresso si reprime e ci deprime poi in un secondo tempo. Quelle parole trattenute prima o poi esploderanno nelle situazioni in cui meno te l’aspetti. Per affermare se stessi e quindi essere assertivi è necessario sapersi ascoltare, gestire le proprie emozioni e i pensieri che depotenzianti. Accettarsi, accettare il problema significa andare a scannerizzare ogni possibile soluzione di esso, uscendone ed elevando sé stessi al livello successivo.
Childlike – Come un bimbo – Antea Edizioni (edizioniantea.it)
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