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Su Netflix arriva il film più triste della storia: preparatevi ad una valle di lacrime! (video)

Chi, sulla popolare piattaforma, l’ha già visto giura e spergiura di non aver mai pianto tanto. Can You See Us?, diretto dal regista africano Kenny Mumba, racconta un’esistenza di dolore nelle varie fasi che la contraddistinguono. Il film è attualmente disponibile in streaming.

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    Si tratta di una pellicola diretta dal regista zambiano Kenny Mumba, che racconta la vera storia di John Chiti, giovane ragazzo nato con albinismo e rifiutato dal padre alla sua nascita. Interpretato da Thabo Kaamba da bambino e da George Sikazwe da giovane adulto, Chiti cresce affrontando una realtà difficile segnata da «bullismo, tragedie e una speranza cauta». La sua lotta non è solo quella contro lo stupido pregiudizio sociale ma anche contro l’abbandono e il dolore familiare, che si ripropone in ogni fase della sua vita.

    L’argomento trattato tocca temi universali che parlano al cuore di tutti, nel quale la storia di John Chiti si trasforma in un simbolo di speranza e resilienza. Il film non solo racconta una storia individuale di dolore ma si fa portavoce di una battaglia più grande: quella contro il pregiudizio e l’intolleranza. Can You See Us? è il primo film zambiano ad essere distribuito su Netflix nel 2023, un traguardo storico per il cinema del suo paese.

    Tratto da una storia vera

    Al centro del film la vera storia di John Chiti, un popolare cantante zambiano che ha vissuto in prima persona la discriminazione legata alla sua condizione fisica. Chiti ha collaborato come «autore aggiuntivo» alla sceneggiatura, dichiarando di aver vissuto un’infanzia segnata dalla solitudine e dall’emarginazione. «Quando sono nato, la mia famiglia era confusa. Non riuscivano a credere che fossi davvero uno di loro, e questo ha portato al divorzio dei miei genitori».

    Una fondazione per combattere il pregiudizio

    Nel 2008, Chiti ha fondato la Albinism Foundation of Zambia, che si occupa dei diritti delle persone che presentano albinismo. In un passaggio significativo dell’intervista, ha rivelato: «Mi sono sempre sentito in colpa per essere una persona con albinismo. Crescendo, avevo una bassa autostima perché pensavo di non essere umano abbastanza. Ma non siamo noi a dover cambiare, è la società che deve cambiare il suo atteggiamento nei nostri confronti».

    Forte stimolo alla riflessione

    Anche se il film è stato rilasciato qualche anno fa, solo di recente gli utenti hanno cominciato a scoprirlo, trasformandolo in un argomento caldo di discussione, soprattutto nel gruppo Facebook Netflix Bangers di LADbible. «Preparate i fazzoletti», scrive un utente. Un altro sottolinea: «Ho pianto tantissimo guardandolo». Un altro ancora descrive come Can You See Us? sia «il film più triste che abbia mai visto, ma anche un’autentica rivelazione. È straziante vedere un bambino innocente affrontare tanto odio. Mi ha spezzato il cuore». Giudizi personali che rivelano il potente impatto emotivo del film, in grado di entrare nel cuore degli spettatori e – cosa più importante – stimolando un confronto con le difficoltà e le sofferenze di chi vive emarginato.

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      Pandorogate, chiesti un anno e otto mesi per Chiara Ferragni: in aula ribadisce la buona fede e attende la sentenza

      Secondo l’accusa l’influencer avrebbe tratto un vantaggio economico e d’immagine dalle iniziative benefiche legate ai prodotti brandizzati, ingannando i consumatori. La difesa insiste sul fraintendimento e presenta nuove memorie: «Mai agito in mala fede».

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        La richiesta della Procura di Milano segna uno snodo cruciale del processo sul cosiddetto Pandorogate. Un anno e otto mesi di reclusione per Chiara Ferragni: è la pena invocata dal pm Christian Barilli e dall’aggiunto Eugenio Fusco davanti al giudice Ilio Mannucci Pacini. L’imprenditrice ha preso posto in aula con largo anticipo e ha seguito attentamente la requisitoria, scegliendo di non rilasciare dichiarazioni al termine dell’udienza.

        “Mai lucrato sulla beneficenza”
        Ferragni ha ribadito la sua posizione anche con dichiarazioni spontanee: «Ho sempre agito in buona fede», ha detto davanti al giudice, sostenendo di non aver mai sfruttato iniziative solidali a fini personali. Una linea confermata dai suoi legali, Giuseppe Iannaccone e Marcello Bana, che puntano sull’assenza di dolo e sull’errore comunicativo.

        Il nodo del pandoro Balocco e delle uova
        Secondo l’accusa, la campagna Balocco avrebbe indotto i consumatori a credere che il sovrapprezzo del prodotto finanziasse direttamente la donazione all’ospedale Regina Margherita di Torino, mentre la donazione di 50mila euro era già concordata a prescindere dalle vendite. Per la Procura, le società riconducibili a Ferragni avrebbero incassato circa un milione per la campagna. Una dinamica analoga sarebbe emersa anche per le uova pasquali 2021 e 2022 prodotte da Cerealitalia.

        La strategia della difesa e l’attesa del verdetto
        La difesa sottolinea la correttezza contrattuale e la successiva donazione personale da un milione di euro effettuata dall’influencer come gesto riparativo. In aula è stata inoltre esaminata la costituzione di parte civile di un’associazione di consumatori, mentre permane alta l’attenzione mediatica attorno al procedimento. La prossima udienza, il 19 dicembre, sarà dedicata all’arringa difensiva. Il verdetto è atteso a gennaio.

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          Giusy Meloni, la nuova star di Dazn: dal quartiere Talenti ai palcoscenici della Serie A, tra bellezza, gavetta costruita passo dopo passo

          Dopo gli inizi in redazione e le prime dirette a Milano, Giusy Meloni si è affermata a Dazn e racconta la sua ascesa tra stadi, studi televisivi e social network, senza però rinnegare le radici e gli affetti che l’hanno accompagnata nel percorso.

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            Giusy Meloni, 26 anni, romana, è oggi uno dei volti più riconoscibili di Dazn. Racconta il calcio con spontaneità, ritmo e una sicurezza che sembra naturale, ma che arriva da una gavetta veloce e intensa. Da Talenti, quartiere dove è cresciuta, ai microfoni della Serie A è passato relativamente poco tempo, ma ogni passo è stato cruciale. Prima Sportitalia, poi la chiamata del Milan, l’esperienza negli Stati Uniti e infine l’approdo a Dazn. Oggi è una delle figure più richieste nel racconto televisivo del campionato italiano e sta vivendo la fase decisiva della sua ascesa.

            Gli inizi e l’occasione che cambia tutto
            A Milano ha lavorato in redazione, poi l’imprevisto: una co-conduttrice assente e la diretta affidata a lei. Da quell’apparizione è nata la proposta del Milan, che cercava nuovi talenti per la sua tv internazionale. Quell’opportunità l’ha messa davanti alle telecamere di San Siro, nei pre e post partita: “Nella vita bisogna trovarsi al posto giusto nel momento giusto”, ha raccontato in un’intervista. Dopo un anno e mezzo nel capoluogo lombardo è tornata a Roma, iniziando a Radio Serie A.

            Da Rai a Dazn, il salto definitivo
            Nel 2023 arriva la chiamata della Rai: curriculum inviato, contatto con la redazione e l’incarico di seguire i social della Domenica Sportiva. Poi Notti Europee, e la conferma di un percorso in crescita costante. Senza smentire un tratto comune: la velocità con cui il suo nome è circolato negli ambienti televisivi. A Dazn ora è stabilmente al timone del racconto di Serie A. Un traguardo costruito senza scorciatoie.

            Roma, la famiglia e la bellezza come variabile
            Giusy non ha dubbi su Roma: “È la città più bella del mondo”. Ama via Giulia, dove passeggia con la madre e la migliore amica. Con la premier omonimia e nulla più. Da Atreju è stata speaker, intervistando ministri e imprenditori. Sul tema della bellezza, non si nasconde: “Sarei bugiarda se dicessi che non è importante”. I commenti sui social a volte esagerano, ma lei prende tutto con distacco. E guarda avanti: “Ho la fortuna di lavorare con colleghe belle e brave, da loro posso solo imparare”.

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              Blefarite e stress: quando la salute degli occhi dipende anche dalla mente

              La scienza conferma il legame tra blefarite e disturbi dell’umore come ansia e depressione. Ridurre lo stress, migliorare il sonno e adottare una corretta igiene palpebrale sono le chiavi per spezzare il circolo vizioso tra infiammazione e tensione psicologica.

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              Blefarite

                Cos’è la blefarite e perché torna spesso

                La blefarite è un’infiammazione cronica dei bordi delle palpebre che può presentarsi in forma anteriore (colpisce l’attaccatura delle ciglia) o posteriore (riguarda le ghiandole interne che producono la componente oleosa delle lacrime).
                Non è una semplice irritazione passeggera: tende a ripresentarsi nel tempo, soprattutto se non si adotta una routine di cura costante.

                Le cause più comuni sono due:

                • un malfunzionamento delle ghiandole di Meibomio, che altera il film lacrimale e porta a secchezza oculare;
                • la proliferazione eccessiva di batteri o lieviti normalmente presenti sulla pelle.

                I sintomi tipici includono arrossamento, prurito, bruciore, gonfiore delle palpebre, sensazione di corpo estraneo e presenza di piccole croste alla base delle ciglia.

                Quando lo stress alimenta l’infiammazione

                Lo stress cronico è uno dei fattori che più incidono sul peggioramento della blefarite.
                «Sottovalutare il ruolo dello stress significa ignorare un potente meccanismo biologico che mantiene l’infiammazione attiva», spiegano gli esperti di psiconeuroimmunologia, la disciplina che studia le connessioni tra cervello, sistema immunitario e risposta infiammatoria.

                Quando lo stress dura a lungo, il corpo produce ormoni e citochine infiammatorie che peggiorano le infiammazioni croniche, come quelle della pelle e degli occhi. Il risultato? Un circolo vizioso: il fastidio oculare alimenta ansia e irritabilità, mentre l’ansia stessa riaccende l’infiammazione.

                Stili di vita che peggiorano la situazione

                Dormire poco, passare molte ore davanti a computer o smartphone, o trascurare l’igiene oculare sono abitudini che favoriscono l’irritazione delle palpebre.
                Durante l’uso prolungato degli schermi, infatti, la frequenza di ammiccamento (battito di ciglia) si riduce quasi della metà, causando secchezza oculare e peggiorando la disfunzione delle ghiandole di Meibomio.

                Anche la privazione del sonno ha un effetto negativo: aumenta il livello generale di infiammazione nel corpo e indebolisce le difese naturali della pelle e delle mucose.

                Ansia, depressione e blefarite: un legame scientifico

                Negli ultimi anni, diverse ricerche internazionali hanno dimostrato che la blefarite non è solo un disturbo locale, ma può avere ripercussioni psicologiche.
                Un grande studio epidemiologico pubblicato sul Journal of Affective Disorders ha mostrato che chi soffre di blefarite ha un rischio di ansia maggiore del 58% e un rischio di depressione più alto del 42% rispetto alla popolazione generale, anche tenendo conto di altre malattie croniche.

                Questo legame è dovuto al fatto che le citochine infiammatorie, prodotte durante la blefarite, possono raggiungere il cervello e interferire con i neurotrasmettitori dell’umore, come serotonina e dopamina. Lo stesso processo che irrita le palpebre può, dunque, contribuire a sbalzi d’umore, insonnia e affaticamento mentale.

                Blefarite e altre patologie croniche

                Chi convive con la blefarite presenta più spesso altre malattie infiammatorie o metaboliche, come diabete, ipertensione o dislipidemie.
                Questo suggerisce che la blefarite possa essere anche un campanello d’allarme di un’infiammazione sistemica.
                Trattarla, quindi, significa prendersi cura non solo degli occhi, ma dell’intero organismo.

                Le strategie di trattamento: cura locale e benessere generale

                Gestire la blefarite richiede costanza e un approccio su due livelli: curare le palpebre e ridurre i fattori che alimentano l’infiammazione.

                1. Igiene palpebrale quotidiana
                  Applicare impacchi caldi per qualche minuto scioglie le secrezioni e libera i dotti delle ghiandole.
                  Dopo, con movimenti delicati, si possono massaggiare le palpebre e pulire il bordo ciliare con salviette o detergenti specifici.
                  Nei casi più fastidiosi, l’oculista può prescrivere colliri antibiotici o antinfiammatori. Gli Omega-3 (presenti in pesce azzurro o integratori) migliorano la qualità del film lacrimale.
                2. Gestione dello stress e dello stile di vita
                  • Dormire almeno 7-8 ore per notte per consentire la rigenerazione cellulare.
                  • Ridurre l’uso prolungato degli schermi, facendo pause visive ogni 20 minuti.
                  • Seguire una dieta anti-infiammatoria, ricca di verdure, frutta secca e pesce.
                  • Praticare mindfulness, yoga o respirazione profonda per abbassare i livelli di cortisolo.

                E attenzione: il caffè e le bevande stimolanti possono peggiorare la secchezza oculare, mentre una buona idratazione è essenziale per la salute delle lacrime.

                La blefarite non è solo un problema estetico o oculare: è una condizione che riflette l’equilibrio tra corpo e mente.
                Capire e trattare lo stress, dormire meglio e seguire un corretto regime di igiene oculare non significa solo ridurre il bruciore agli occhi, ma anche migliorare la qualità della vita nel suo complesso.

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