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Spider-Man in corsia: quando i veri supereroi non volano, ma abbracciano
Non servono ragnatele o grattacieli da scalare per essere un eroe. A volte, basta un sorriso. È quello che ha fatto Spider-Man, presentandosi a sorpresa in un reparto pediatrico di un ospedale, per regalare un momento di gioia ai bambini malati. Tute rosse e blu, salti acrobatici (per quanto consentiti dal pavimento cerato) e mani tese per stringere quelle piccole, coraggiose, che ogni giorno combattono battaglie silenziose e reali.
L’uomo ragno, stavolta, non salva New York da supercriminali: salva il cuore di chi ha più bisogno. Con una carezza, un abbraccio, una foto scattata tra tubicini e pupazzi, trasforma le lacrime in risate, la paura in meraviglia. Sotto l’iconica tuta c’è Mattia Villardita, ha ventinove anni e lavora come impiegato logistico portuale a Vado Ligure, in provincia di Savona. Ma quando si infila il costume e copre il suo volto con quella maschera che, da generazioni, incanta e fa sognare migliaia di bambini in tutto il mondo, lui diventa Spiderman. E, come il vero supereroe della Marvel, anche Mattia dedica tutto il proprio tempo libero a servizio del prossimo. Specialmente dei bambini che riempiono i reparti ospedalieri della sua città, ma anche di tutti gli altri ospedali d’Italia.
Dalla sua città a tutta l’Italia
“Inizialmente, quando cinque anni fa ho iniziato questa mia attività di volontariato puro – racconta – andavo a trovare solo i bambini dell’ospedale di Savona e di Genova. Ma presto le chiamate hanno cominciato ad arrivare anche dal resto della Penisola. Ad oggi posso dire che non ci sia stato ospedale in cui Spiderman non si sia recato”.
La magia di regalare sorrisi
In sottofondo, nelle stanze risuona Supereroi di Mr. Rain: “Siamo angeli con un’ala soltanto, e riusciremo a volare solo restando uniti.” Ed è proprio questo il superpotere più grande: la capacità di esserci, di portare luce dove c’è buio, di fare sentire meno soli quei piccoli guerrieri e le loro famiglie. L’eroe Marvel, stavolta, non ha salvato il mondo. Ma ha cambiato quello di chi, per un attimo, ha potuto credere ancora nella magia. Perché i supereroi esistono davvero, e spesso indossano una maschera per farci vedere oltre.
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Qualcuno dica alla Malgi che Olly è rimasto a Genova…

Le vecchie zie, si sa, per definizione o per luogo comune, tendono a essere un po’ svampite: confondono i nomi dei nipoti, regalano maglioni fuori stagione e credono ancora che la TV si accenda col “primo tasto rosso”. E in questo colorito club non poteva mancare Cristiano Malgioglio, la più laccata delle zie dello spettacolo italiano.
Piccolo dettaglio
Alla domanda di un giornalista su chi sia il suo favorito all’Eurovision 2025, Malgioglio ha risposto con sicurezza: “Il vincitore di Sanremo, ovviamente!” Peccato solo che Olly, l’artista ligure recente trionfatore all’Ariston, abbia gentilmente declinato l’invito a rappresentare l’Italia. Dettaglio che, pare, sia sfuggito al buon Cristiano…
Tifo mal riposto
Ora, si può anche essere eccentrici, teatrali e pitonati come solo lui sa essere, ma forse su certe cose che riguardano il proprio mestiere conviene restare un po’ più sul pezzo. Del resto, una zia può pure dimenticare l’onomastico del nipote, ma non chi rappresenta l’Italia in Europa. Anche perché, con quella memoria lì, rischia di tifare per Albano e Romina…
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Lucio, ti posso offrire un… espresso macchiato?!?

Proviamo a lavorare con la fantasia, immaginandoci la scena: bar del palasport di Basilea, il destino fa incrociare Tommy Cash e Lucio Corsi, due pianeti diversi della galassia musicale che sta animando questo Eurofestival.
Tommy Cash, estone dalle guance d’alabastro e le sopracciglia da performance art, si presenta come se dovesse girare un videoclip apocalittico ogni tre minuti. Pantaloni che sfidano la legge di gravità, sguardo da cyborg in vacanza, ordina un cocktail fluorescente chiamato “Cyberpunk Spritz”. Dall’altra parte del bancone c’è Lucio Corsi, versione maremmano-glam di Bowie, giacca leopardata e sguardo romantico, chiede un Negroni con accento toscano e nostalgia agricola.
Si scrutano come due animali rari: Tommy parla di avatar, metaverso e cavalli bionici; Lucio gli risponde con storie di gufi parlanti e balere lunari. L’incontro è un esperimento di alchimia pop: l’uno cerca glitch digitali, l’altro visioni bucoliche. Sembrano incompatibili, ma trovano un terreno comune nel disprezzo per la normalità. Alla fine, brindano con un espresso macchiato: la Maremma incontra Tallinn. Nel bagno del palasport, pare abbiano scritto insieme un pezzo intitolato “Cinghiali nel Cyberspazio”. E forse il mondo non sarà più lo stesso…
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La hit di Lucio Corsi, in gara da stasera a Basilea, in versione… corale

C’è qualcosa di irresistibilmente paradossale nel prendere una canzone come Volevo essere un duro di Lucio Corsi e trasformarla in un brano per coro polifonico, con tanto di direttore che dà l’attacco e gestisce i crescendo come in una Messa solenne. Ma è proprio qui che il pop mostra la sua forza: nella sua capacità di scivolare via dal formato originale e infilarsi ovunque, anche in un’aula di conservatorio.
Il testo del brano, ironico e sincero, acquista nuova vita nelle voci intrecciate di un ensemble che, invece di chitarre elettriche o basi elettroniche, usa fiati e vocalizzi per raccontare il sogno frustrato dell’adolescente “duro”. Il risultato è straniante, commovente, e allo stesso tempo perfettamente coerente. Perché il vero pop non è solo un genere musicale: è una lingua franca, che parla a tutti, in ogni stile. Anche (e soprattutto) quando si prende gioco di sé stesso.
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