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Ma sai davvero cos’è la meditazione?

La meditazione è uno stato rigenerativo di pura consapevolezza, che ci permette di riscoprire il miracolo della vita e comprendere il proposito e il significato reale della nostra esistenza, nonché i nostri talenti unici.

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    La meditazione è una pratica millenaria che va ben oltre la semplice ricerca di benessere e rilassamento. Secondo Daniel Lumera, la meditazione è uno stato di coscienza puro, simile alla condizione di un neonato, libero da giudizi, definizioni e opinioni. Questo stato, intrinsecamente caratterizzato da felicità, gratitudine, gioia, entusiasmo e meraviglia, rappresenta il nostro stato naturale, facilmente accessibile perché già sperimentato da tutti quando eravamo molto piccoli.

    Una disciplina sempre più diffusa

    Negli ultimi anni, la meditazione ha guadagnato popolarità come pratica benefica per la salute, tanto che il CDC degli Stati Uniti l’ha identificata come uno dei trend sanitari in più rapida crescita. Sempre più medici la prescrivono sia come prevenzione sia come complemento alle cure tradizionali. In Italia, termini come meditazione, mindfulness, consapevolezza e rilassamento sono sempre più ricercati, soprattutto da chi cerca retreat di benessere.

    Tra curiosità e sospetto

    Le persone si avvicinano alla meditazione per vari motivi: curiosità, bisogno di gestire crisi o malesseri, ricerca del proprio scopo di vita o una chiamata più viscerale e spirituale. Tuttavia, la meditazione non dovrebbe essere ridotta a un semplice antidoto per il malessere o un mezzo per il relax. È una disciplina che insegna valori come costanza, pazienza, passione, decisione, devozione e amore, valori spesso carenti nella società moderna.

    Come scegliere un ‘maestro’

    Con l’aumento della popolarità della meditazione, è fondamentale saper scegliere correttamente insegnanti e esperienze meditative. Lumera suggerisce di verificare quattro caratteristiche essenziali: la formazione dell’insegnante, la coerenza tra ciò che insegna e ciò che pratica nella vita quotidiana, un dialogo aperto e una ricerca concreta sul fronte scientifico, e la vocazione sociale, ovvero la capacità di tradurre le proprie esperienze interiori in qualcosa di utile per tutti.

    Che cosa non è meditazione

    Infine, è importante chiarire cosa sia e cosa non sia la meditazione. Non si tratta di visualizzazione, respirazione consapevole, focalizzazione sul silenzio, preghiera o canalizzazione. Non è una pratica religiosa o esoterica, né semplicemente mindfulness. La meditazione è uno stato rigenerativo di pura consapevolezza, che ci permette di riscoprire il miracolo della vita e comprendere il proposito e il significato reale della nostra esistenza, nonché i nostri talenti unici.

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      Benessere

      Quando l’accumulo diventa una malattia: la disposofobia

      Dalla raccolta ossessiva di oggetti fino all’impossibilità di liberarsene, l’“hoarding disorder” non è un semplice vizio ma una vera e propria patologia riconosciuta, con conseguenze gravi sulla vita sociale e familiare di chi ne soffre.

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      disposofobia

        Può capitare a tutti di tenere in fondo all’armadio un vestito a cui siamo affezionati o conservare oggetti che pensiamo possano tornare utili. Ma quando la difficoltà a separarsi dalle cose diventa ingestibile e gli spazi vitali della casa si trasformano in depositi. Non parliamo più di semplice nostalgia o disordine: siamo di fronte al disturbo da accumulo, noto anche come disposofobia.

        Secondo le stime internazionali, la sindrome colpisce tra il 2 e il 5% della popolazione nei paesi occidentali, sebbene in Italia manchino rilevazioni ufficiali. Negli anni il fenomeno è entrato anche nella cultura popolare, grazie a programmi televisivi come Sepolti in casa, che mostrano le vite complicate degli accumulatori compulsivi.

        Il disturbo è stato a lungo considerato una manifestazione del disturbo ossessivo-compulsivo, ma solo con il DSM-5 (2013) ha ottenuto una classificazione autonoma. Le persone che ne soffrono accumulano oggetti senza ordine, spesso privi di reale utilità o valore. Arrivando a occupare stanze intere e a vivere in condizioni insalubri. In alcuni casi, l’accumulo riguarda perfino animali, come gatti o cani, una forma nota come animal hoarding.

        Le conseguenze non sono solo materiali. Chi soffre di disposofobia tende a isolarsi, compromette la vita familiare e riduce drasticamente i contatti sociali. A ciò si aggiunge la frequente presenza di altri disturbi, come ansia, depressione o deficit dell’attenzione. A differenza dei pazienti ossessivo-compulsivi, che percepiscono il disagio delle loro compulsioni, molti accumulatori non ritengono patologico il proprio comportamento, rendendo ancora più difficile l’intervento.

        Le cause sono molteplici: fattori genetici, alterazioni neurobiologiche nei lobi frontali, traumi o eventi stressanti. Un modello di riferimento, proposto dagli studiosi Frost e Hartl, mette in luce deficit cognitivi, legami affettivi disfunzionali con gli oggetti e credenze errate sulla loro importanza.

        Fondamentale è distinguere l’accumulo dalla collezione. Un collezionista ordina e valorizza ciò che possiede; un accumulatore, invece, smarrisce il controllo e lascia che gli oggetti invadano gli spazi essenziali della vita quotidiana.

        Il trattamento più efficace, secondo gli esperti, è la terapia cognitivo-comportamentale, che aiuta il paziente a riconoscere i meccanismi che lo spingono ad accumulare. A migliorare le capacità decisionali e a sperimentare strategie pratiche per ridurre progressivamente il disordine. In alcuni casi può essere utile anche il supporto farmacologico.

        Il disturbo non coinvolge solo il diretto interessato, ma spesso trascina con sé partner, figli e familiari, costretti a vivere in ambienti compromessi o ad affrontare conflitti dolorosi. Anche per loro un sostegno psicologico può rappresentare un aiuto prezioso.

        La disposofobia, insomma, non è una mania innocua: riconoscerla come malattia significa offrire a chi ne soffre e a chi gli sta accanto una concreta possibilità di recuperare qualità di vita e relazioni sane.

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          Benessere

          Crescere con un genitore narcisista: le ferite invisibili sui figli

          Scarsa empatia, bisogno di controllo e amore condizionato: dieci tratti disfunzionali che segnano l’infanzia e possono lasciare tracce fino all’età adulta.

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          narcisista

            Il narcisismo non è solo un tratto di personalità, ma uno spettro che va da una normale attenzione per sé fino a un disturbo clinico, il Disturbo Narcisistico di Personalità. Quando un genitore presenta forti tratti narcisistici, i figli rischiano di crescere in un ambiente emotivamente instabile. Studi recenti (Little, 2024; Torres, 2023) hanno mostrato come questa forma di genitorialità possa condizionare profondamente lo sviluppo psicologico, arrivando perfino a trasmettersi da una generazione all’altra.

            Un bambino che cresce con un genitore narcisista spesso sperimenta insicurezza, vergogna, difficoltà nel costruire fiducia e fatica a sviluppare relazioni sane. Le competenze genitoriali risultano limitate, con conseguenze sul piano emotivo e sociale che possono emergere anche nell’età adulta.

            Gli psicologi individuano almeno dieci modalità attraverso cui la genitorialità narcisistica si manifesta in modo disfunzionale. La prima è l’egocentrismo: l’attenzione del genitore è rivolta a se stesso, con poca disponibilità a riconoscere i bisogni affettivi del figlio. A questa si lega la grandiosità. Che può portare a sfruttare i successi dei figli come riflesso del proprio prestigio, oppure a punire duramente in caso di delusione.

            La limitata capacità di accudimento e la bassa tolleranza alla frustrazione fanno sì che comportamenti infantili normali vengano percepiti come minacce all’immagine del genitore, con reazioni sproporzionate. Spesso emerge anche un bisogno eccessivo di controllo, che ostacola lo sviluppo dell’autonomia e della fiducia in sé.

            Un altro aspetto critico riguarda l’incapacità di amare il figlio per ciò che è: l’affetto diventa condizionato, generando nei bambini la sensazione di non essere mai abbastanza. A questo si aggiunge la disregolazione emotiva del genitore, che rende imprevedibile il clima familiare.

            Il quadro è aggravato da una distorsione della realtà, che impedisce al bambino di costruire un’immagine di sé solida. E da una mancanza di empatia, che compromette lo sviluppo dell’attaccamento sicuro. Infine, il modello relazionale offerto dal genitore narcisista è spesso malsano, perché induce il figlio a soddisfare i bisogni emotivi dell’adulto, anziché il contrario.

            Le conseguenze? Figli che diventano adulti fragili, con difficoltà a fidarsi, bassa autostima e relazioni sentimentali segnate da dinamiche disfunzionali. Tuttavia, come ricordano gli esperti, la consapevolezza è il primo passo per interrompere il ciclo. Riconoscere queste dinamiche può permettere di costruire un futuro diverso, più sano e libero.

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              Benessere

              Sudare è bello: perché il caldo ti fa bene (se lo sai usare)

              Tra saune naturali e docce tiepide, ecco come sfruttare il caldo a tuo favore. Il segreto è assecondarlo, non combatterlo.

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                L’estate è una stagione estrema. Ci lamentiamo del caldo, del sudore, dell’afa che ci incolla alle sedie e ci mozza il respiro. Eppure, se impariamo ad ascoltare il corpo, scopriremo che lui, in fondo, sa benissimo cosa fare. Sudare è un atto naturale, benefico, spesso sottovalutato. Non è solo una risposta automatica al caldo: è uno degli strumenti più raffinati del nostro organismo per proteggerci.

                Attraverso la sudorazione, eliminiamo tossine, abbassiamo la temperatura corporea e stimoliamo persino il metabolismo. Il sudore, infatti, non è nemico ma alleato. E no, non è solo acqua salata: contiene enzimi, minerali, persino molecole antibatteriche.

                Anche la pelle ringrazia: sudare libera i pori, favorisce l’ossigenazione dei tessuti e può rendere l’incarnato più sano e luminoso. A patto, ovviamente, di non ostacolare il processo con prodotti occlusivi, fondotinta a prova di cemento o creme troppo pesanti. Dopo una buona sudata, basta una detersione delicata e un’idratazione profonda con prodotti leggeri e restitutivi.

                Un trucco antichissimo, ma ancora attualissimo, è la doccia tiepida. A differenza di quella fredda (che dà sollievo immediato ma breve), la doccia tiepida rilassa i vasi sanguigni e potenzia il raffreddamento naturale del corpo. Un gesto semplice, ma estremamente efficace.

                Anche lo stretching o una pratica di yoga nelle ore più calde – purché in un ambiente ventilato – può trasformare il calore in un alleato: il corpo, più flessibile e meno contratto, si muove meglio e rilascia tensioni accumulate.

                E la notte? Sudare durante il sonno è normale, anzi utile: aiuta a mantenere la temperatura stabile. Meglio allora usare lenzuola in lino o cotone, fresche e traspiranti, e magari concedersi una camomilla o una tisana rilassante prima di dormire. Con il caldo non si combatte, si collabora. E quando smettiamo di resistere, il corpo fa il resto.

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