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Anche l’infedeltà femminile è a portata di click

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    Sul suo sito ufficiale (anchè i gigolò si sono digotalizzati) si legge; “Ciao, io sono Aaron e sono un gigolò di professione ma prima di tutto per passione”. Una teoria vecchia come il cucco, che una volta veniva utilizzata dalle pornostar per giustificare la loro professione, giudicata dalla morale comune altamente disdicevole. Mi faccio pagare per farmi usare sul set ma, prima di tutto… lo faccio perchè mi piace! Una volta si chiamava ninfomania, adesso è stata elevata a pura “vocazione”.

    Una volta i luoghi di oncontro erano i caffè eleganti delle grandi città… e di provincia. Le signore camminavano con grandi sacchetti vuoti di negozi alla moda e il giovanotto di turno capiva il segnale. Entrava, si sedeva. Ordinava e al momento di pagare il cameriere gli diceva sottovoce: «Ha pagato lei». La rete ha modificato anche questo mondo di intrigo e di detto-non-detto. Ora si fa tutto online, su siti disponibili h 24 per donne che si sentono sole, che sono arrabbiate col partner, che vorrebbero per una volta uscire dal seminato. Qualche link? gigolo.cloud, gigolo.it e Dax (accompagnatoridonne.com).

    Creatività e fantasia

    Le donne che ricorrono ai “servigi” di Aaron sono fra le più diverse. Giovani e meno giovani, single e sposate. Come una certa Laura, donna maritata, che riceverà il gigolò come inaspettato regalo di compleanno. L’uomo si allena, si profuma, si veste e la aspetterà in un piccolo appartamento. Organizzando per lei una piccola caccia al tesoro. Ad ogni tappa un bigliettino da trovare e un cadeau da ritirare. Fino alla scoperta del tesoro finale… che immaginiamo benissimo cosa possa essere: lui nuod sul lettone, con tanto di torta. Aaron, che in realtà si chiama Marco, ha 31 anni è simpatico, cucina da Dio e nella vita precedente faceva cuoco e il pasticcere.

    L’intervista

    Ti devo chiamare Aaron o Marco?

    Marco! Se tornassi indietro lavorerei con il mio nome. Ho scelto Aaron perché vuol dire portatore di luce.

    Ti sei mai sentito come Richard Gere in quel fanoso film?

    Mah, considera che questo lavoro è molto cambiato da quell’epoca…

    In che senso?

    Oggi ritengo che rappresenti un’occupazione a 360 gradi: comunicazione, marketing, creatività. Io ho un sito un canale youtube e una rubrica.

    Di cosa tratta la rubrica?

    Si chiama Rossetto e Cioccolato: le donne mi fanno delle domande e io rispondo con un video. Una mia cliente, per esempio, mi ha chiesto consigli su come riconquistare il fidanzato che l’aveva lasciata.

    Come funziona esattamente il contatto fra te e le clienti?

    Generalmente lei va su Google, digita la parola chiave gigolò, dal mio sito si memorizza il numero di telefono e mi manda un messaggio whatsapp. Ho tre o quattro appuntamenti a settimana. Ho conosciuto tantissime donne. Posso dire di sapere qualche cosa sul mondo femminile.

    Cosa ti scrivono quando ti contattano per la prima volta?

    Non esiste una regola precisa. C’è chi mi scrive che si tratta della prima volta, chi chiede informazioni sul prezzo…

    Il prezzo… il nodo centrale. Cosa costano i tuoi servizi?

    Io prima di parlare di soldi chiedo alle clienti di parlarmi di loro. Voglio creare una situazione di conoscenza preliminare. Parto dal presupposto che se cerca un’esperienza di questo tipo ha necessità di attenzioni che non trova altrove. Il sesso arriva dopo. E neanche tutte le volte… capita che dopo cinque minuti ci ritroviamo nudi o che inizi il corteggiamento. Oppure nulla… In quattro anni soltanto due o tre volte mi è capitato che volessero solo fare sesso. Le donne non si accontentano.

    Ma tornando al “vile danaro”?

    A differenza di altri colleghi io non ho previsto un tariffario ad ore. Certo, se passiamo una serata o se stiamo insieme per un intero week-end, le cose cambiano…

    Dal punto di vista professionale cosa ti ritieni, come ti classifichi?

    Semplicemente un accompagnatore per signora.

    Quanti anni hanno le tue clienti?

    La più giovane è una ragazza di 20 anni, la “diversamente” giovane è una donna di 60. In media hanno sui quarant’anni.

    Ti contattano anche coppie?

    Oh, sì!!! Ed è una cosa che mi piace molto perché è intrigante. Ci sono anche ragazze che sono state appena lasciate. Una giovane donna, abbandonata dal suo compagno, mi ha chiesto di farmi vedere in giro con lei per farlo ingelosire. Ah, mi ha cercato anche un marito che voleva mettere alla prova la fedeltà della moglie.

    Tu sei fidanzato?

    No. l‘ultima volta mi sono innamorato a 19 anni. Poi basta, per mia scelta. Io ho una mia teoria: l’amore è passione carnale. Noi siamo ancora più istintivi degli animali e non lo facciamo solo per procreare ma anche per provare piacere, per divertirci. Quindi che senso ha stare tutta la vita con lo stesso partner? O meglio, farlo sempre con la stessa persona?

    Una volta erano i caffè eleganti delle grandi città, e in provincia. Le signore camminavano con grandi sacchetti vuoti di negozi alla moda, entravano da… e il giovanotto capiva il segnale. Entrava, si sedeva. Ordinava e al momento di pagare il cameriere gli sussurrava: «Ha pagato lei». Internet in una manciata di anni ha cambiato anche il mondo dei gigolò. Ora il consiglio per l’acquisto corre online. Cataloghi e siti personali sono disponibili h 24 per donne che si sentono sole, che sono arrabbiate, che vorrebbero trasgredire. C’è tutto su gigolo.cloud, su gigolo.it e su Dax (accompagnatoridonne.com). Interi book fotografici, compilation di gusti musicali, enogastronomici, sportivi. E tante, tante tartarughe…

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      Cucina

      Pollo alla romana, la coccola d’autunno che profuma di stufa accesa e domeniche lente

      Un piatto nato nelle campagne laziali e ormai simbolo delle tavole romane. Niente fronzoli, solo ingredienti semplici e genuini che cuociono piano, riempiendo la casa di profumi avvolgenti e di quella sensazione di famiglia che solo l’autunno sa riportare.

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      Pollo alla romana

        La tradizione che scalda anche il cielo grigio
        Novembre chiede stoviglie pesanti, pentole capienti e piatti che sembrano abbracci. Il pollo alla romana è questo: memoria, intimità e l’odore di qualcosa che cuoce piano mentre fuori la città rallenta sotto la pioggia. Non è un piatto da trattoria turistica, ma da casa vera, di quelle dove il tempo si prende e non si rincorre. Ogni famiglia romana ha la sua versione, e ognuna giura che sia la migliore.

        Ingredienti semplici, sapore enorme
        La forza di questa ricetta è la sua essenzialità. Un pollo tagliato a pezzi, peperoni carnosi — sì, anche in autunno: basta sceglierli ben maturi o usare quelli conservati “alla romana” — pomodori pelati, vino bianco, aglio, olio, sale e pepe. Una foglia di alloro, erbe fresche e pazienza.
        Ingredienti per 4 persone:
        1 pollo in pezzi

        3 peperoni rossi e gialli

        400 g di pomodori pelati

        1 spicchio d’aglio

        1/2 bicchiere di vino bianco

        olio extravergine d’oliva

        alloro

        sale

        pepe

        basilico o prezzemolo.

        La cottura lenta è la vera ricetta
        Si comincia rosolando il pollo in padella larga, lasciandolo dorare bene: è questo che regala quel sapore pieno e rotondo. Si sfuma con il vino bianco, si lascia evaporare e nel frattempo i peperoni vengono fatti appassire a parte con l’aglio. Poi tutto insieme, fuoco basso, pomodoro e alloro. E via, a sobbollire piano, mentre la cucina si riempie di un aroma che sa di sera che scende presto, pioggia che batte ai vetri e famiglia che si raccoglie.
        Quando il sugo si stringe e la carne diventa tenera, basta un ultimo gesto: un ciuffo di basilico — o prezzemolo, più autunnale — e un pane rustico pronto a farsi complice.

        Il pollo alla romana non si presenta, si serve. E ogni forchettata ricorda che un piatto, quando nasce dalla terra e dall’attesa, non ha stagione: ha solo cuore.

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          Cucina

          Il budino viola che profuma d’autunno: il budino di uva nera, due ingredienti e tanta poesia per un dessert leggero e irresistibile

          Dalla tradizione contadina arriva un dessert scenografico e leggero. Il budino di uva nera Solarelli conquista per il suo colore intenso, la texture vellutata e il gusto pulito. Una ricetta essenziale che trasforma la frutta di stagione in una dolcezza viola brillante, perfetta dopo cena e impossibile da dimenticare.

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          Il budino viola

            Il dolce che nasce dalla terra
            In un panorama di dessert elaborati, creme ricche e glassature lucide, il budino di uva nera è una carezza. È la prova che a volte bastano due ingredienti e un po’ di pazienza per ottenere qualcosa di unico. Il segreto è tutto nella frutta: uva nera senza semi Solarelli, raccolta al giusto grado di maturazione, succosa, profumata e naturalmente dolce. È un dolce della tradizione rurale, nato quando in cucina si lavorava con ciò che la natura offriva, senza sprechi e con lentezza. Il risultato è un budino che non chiede zucchero, panna o gelatine: solo il succo dell’uva e una piccola quantità di farina per addensare. Novembre lo accoglie alla perfezione: è viola profondo, ricorda il vino novello e profuma di vendemmia.

            L’arte della semplicità: la cottura lenta dell’uva
            La prima fase è quasi meditativa. I grappoli si lavano, si sgrana l’uva e si raccolgono gli acini in un tegame capiente. La fiamma è bassa, il tempo è lento: due ore circa perché gli acini rilascino lentamente tutto il loro succo. Durante la cottura si schiacciano con cura, così ogni goccia diventa parte del dolce. Il passaggio successivo è il più importante: filtrare il succo con un colino per eliminare bucce e residui, lasciando soltanto un liquido liscio e intenso, che ritorna in casseruola per la trasformazione finale. Il profumo che invade la cucina è già dessert: dolce, vinoso, leggermente floreale.

            Dal fuoco allo stampo: nasce il budino
            Quando il succo è pronto, si aggiunge gradualmente la farina, mescolando fino a ottenere una consistenza densa ma ancora scorrevole. La miscela torna sul fuoco, dove ribolle appena per due o tre minuti, mescolata senza sosta con una frusta. È una danza breve ma essenziale: il liquido prende corpo, si addensa, brilla. Poi arriva la parte più bella, quella domestica e affettiva: versarlo in uno stampo e lasciarlo raffreddare, prima a temperatura ambiente e poi in frigorifero per circa tre ore. Quando si sforma, il budino appare lucido, morbido, con una tonalità viola che sembra rubata a un cielo d’autunno al tramonto. Fresco, leggero, naturalmente dolce. Perfetto da solo, magnifico con una cucchiaiata di yogurt bianco o un filo di miele di castagno per chi vuole una nota più golosa.

            È un dolce che parla piano. E proprio per questo conquista.

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              Libri

              “Vlad, il figlio del Drago – Le cronache di Dracula”: Mursia porta in libreria l’origine oscura del mito, dove storia, sangue e destino forgiano l’uomo prima del mostro

              Non il vampiro della letteratura ottocentesca, ma il principe guerriero, l’ostaggio del Sultano, il ragazzo cresciuto tra intrighi ottomani e tradimenti valacchi. Con Vlad, il figlio del Drago, Mursia inaugura una saga che riscrive Dracula partendo dalla sua dolorosa umanità, tra battaglie, psicologia e un amore impossibile destinato a segnare il suo fato.

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              Vlad, il figlio del Drago

                L’uomo dietro il mito
                Dimenticate il mantello, i canini e la notte eterna. Vlad, il figlio del Drago – Le cronache di Dracula non insegue il vampiro della fantasia, ma l’uomo che venne prima: Vlad III, principe di Valacchia, condottiero spietato e simbolo di un’epoca in cui potere e sopravvivenza erano sinonimi. Luca Arnaù sceglie la via più ambiziosa: restituire Dracula alla Storia. Il risultato è un romanzo ruvido, immersivo, scolpito nel ferro e nel fuoco delle campagne balcaniche del Quattrocento.

                Ostaggi del Sultano, figli della guerra
                Il racconto si apre nel 1442. Vlad e il fratello Radu vengono consegnati alla corte del sultano Murad II. È l’inizio della prigionia, ma anche della metamorfosi. Nel serraglio ottomano non c’è spazio per l’infanzia: ci sono disciplina, umiliazione, paura, desiderio di riscatto. Arnaù descrive questo crogiolo emotivo con un realismo che brucia, mescolando formazione militare, raffinata crudeltà politica e l’ombra lunga della vendetta. In queste pagine nasce l’Impalatore, temprato dalla ferocia ma guidato da una volontà assoluta: riconquistare il trono e difendere la sua terra, a qualunque costo.

                Sangue, potere e una crepa nel cuore
                Le battaglie sono feroci, mai compiaciute ma densissime: acciaio, fango, disciplina, e la lucidità strategica di un uomo che conosce il nemico perché un tempo ne ha condiviso la tavola. Quando Vlad torna in Valacchia, trova tradimenti, boiardi pronti a venderlo e un regno in bilico tra due imperi. È qui che la narrazione si apre a una dimensione più intima: l’incontro con Leila. Non romanticismo gratuito, ma un’interferenza umana nel destino di un uomo votato alla guerra. Lei non lo addolcisce: lo rivela. Mostra la crepa dove entrano luce e tormento, ricorda che dietro l’acciaio della leggenda c’è ancora carne.

                Arnaù firma un romanzo storico che non cerca redenzione né condanna: racconta. E nel racconto, Vlad torna vivo, inquieto, irriducibile — prima di diventare mito, era un uomo. E proprio per questo fa paura di più.

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