Cronaca
Durov «tradito dalla fidanzata agente del Mossad». Chi è Juli Vavilova, la misteriosa accompagnatrice?
La misteriosa figura di Juli Vavilova, ventiquattrenne russa esperta di criptovalute, emerge tra speculazioni e teorie cospirazioniste come possibile complice nell’arresto del miliardario Pavel Durov. Mentre alcuni sostengono che Vavilova sia un’agente del Mossad, altri ipotizzano che Durov si sia consegnato volontariamente alle autorità francesi per sfuggire a potenziali minacce di Putin. Tuttavia, il mistero intorno alla giovane donna e alla natura della sua relazione con Durov persiste.

Juli Vavilova, 24 anni, russa, affascinante e con una passione per il mondo delle criptovalute, è diventata un nome caldo nel panorama mediatico internazionale dopo l’arresto di Pavel Durov, fondatore di Telegram, all’aeroporto di Le Bourget a Parigi. Di lei si sa poco, ma quel che è certo è che la sua figura è avvolta nel mistero.
Con quasi 24 mila follower su Instagram, Vavilova si presenta come un’influencer del lusso, condividendo scatti di viaggi in località esotiche, pose con fucili, e citazioni criptiche degne di un manuale per influencer. Ma quello che ha catturato l’attenzione dei media e dei teorici della cospirazione non è solo la sua bellezza, ma la presunta relazione con Durov e un legame ipotetico con il Mossad.
Secondo alcuni siti indiani, sarebbero stati proprio i suoi post sui social a rendere più facile rintracciare Durov. I cospirazionisti vanno oltre, suggerendo che la giovane potrebbe essere un’agente del Mossad, ipotesi ovviamente non supportata da alcuna prova concreta. Tuttavia, queste teorie non hanno impedito ai media di indagare ulteriormente.
Il Daily Mail, pur scremando le ipotesi più fantasiose, non esclude un legame stretto tra Vavilova e Durov, segnalando che la famiglia della giovane non riesce a contattarla dalla sua scomparsa a Parigi, avvenuta subito dopo l’arresto del fondatore di Telegram. Questo, insieme al silenzio che ora circonda la sua figura, non fa che alimentare ulteriori speculazioni.
Ma chi è davvero Juli Vavilova? Nata in Russia, fluente in diverse lingue tra cui arabo e spagnolo, e residente a Dubai, Vavilova si è costruita un’immagine da influencer esperta di criptovalute e gaming. Tuttavia, le sue foto con Durov, scattate in diverse città dell’ex Unione Sovietica, suggeriscono che la loro relazione potrebbe essere più di un semplice legame professionale.
Altre teorie suggeriscono che Durov abbia scelto di consegnarsi alle autorità francesi per sfuggire a possibili ritorsioni da parte del governo russo. Il Cremlino, attraverso il portavoce Dmitry Peskov, ha smentito qualsiasi incontro tra Putin e Durov, gettando ulteriori ombre su una vicenda già intrisa di mistero.
In un mix di lusso, tecnologia e sospetti, Juli Vavilova rappresenta la figura enigmatica che oggi divide l’opinione pubblica: è davvero un’agente segreta o solo una giovane donna che si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato?
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Storie vere
Alla faccia dell’errore giudiziario. Storia di Sandra: 43 anni in carcere da innocente
Dopo 43 anni di prigione per un omicidio che non aveva commesso, Sandra Hemme, 64 anni, è stata finalmente dichiarata innocente e liberata. Il caso della donna incarcerata ingiustamente per più tempo negli Stati Uniti.

“Vittima di un’ingiustizia”. Con queste parole il giudice Ryan Horsman ha dichiarato innocente la 64enne Sandra Hemme, scarcerata dalla prigione di Chillicothe, in Missouri, dopo aver scontato 43 anni dell’ergastolo a cui era stata condannata per un omicidio che non aveva commesso, quello della bibliotecaria Patricia Jeschke, uccisa nel 1980 a St. Joseph, nel Missouri. A supporto della sua innocenza, rivela la CNN, le prove presentate dall’avvocato della donna, Sean O’Brien, prove che secondo il giudice hanno dimostrato l’estraneità della donna all’omicidio e quindi la sua innocenza. Nonostante questo, per mesi il procuratore generale repubblicano Andrew Bailey si è opposto alla scarcerazione di Hemme.
Più volte il procuratore generale ha presentato istanze in tribunale cercando di tenere in prigione la donna per scontare condanne per aggressioni avvenute in carcere nei decenni passati. Ma il giudice Horsman il 14 giugno scorso ha stabilito che “la totalità delle prove supporta l’accertamento dell’effettiva innocenza” di Hemme rispetto alla condanna per omicidio. L’8 luglio una Corte d’appello statale ha stabilito che la donna dovesse essere liberata e il 9 luglio Horsman ha stabilito che Hemme dovesse essere rilasciata per tornare a casa con sua sorella.
Sandra Hemme: un incubo lungo 43 anni
Secondo il suo team legale dell’Innocence Project, Hemme è stata la donna incarcerata ingiustamente da più tempo negli Stati Uniti. Un’incredibile ingiustizia, durata quattro decenni, che finalmente ha trovato un epilogo positivo.
La storia di Sandra Hemme è quella di una battaglia lunga e dolorosa. Incarcerata all’età di 21 anni, la sua vita è stata segnata dalla privazione della libertà, dagli errori giudiziari e dall’incessante lotta per dimostrare la propria innocenza. Le nuove prove presentate dal suo avvocato, Sean O’Brien, hanno finalmente convinto la corte della sua estraneità al delitto, portando alla sua liberazione.
Il percorso di liberazione
Nonostante la chiarezza delle nuove prove, la strada verso la libertà non è stata facile per Hemme. Il procuratore generale Andrew Bailey ha cercato in ogni modo di mantenere la donna in prigione, presentando istanze per condanne legate ad aggressioni avvenute durante la detenzione. Tuttavia, il giudice Ryan Horsman ha respinto queste richieste, sottolineando che la totalità delle prove dimostrava l’innocenza di Hemme riguardo all’omicidio per cui era stata condannata.
Una nuova vita
Ora, Sandra Hemme può finalmente tornare a casa, iniziando un nuovo capitolo della sua vita accanto alla sorella. La sua storia rappresenta un potente monito sull’importanza di una giustizia equa e accurata, e una testimonianza della resilienza umana di fronte alle avversità.

Storie vere
Come fare la generosa con il portafoglio… degli altri!
Una famiglia padovana in vacanza a Riva del Garda ha trovato un portafoglio contenente molto denaro, carte di credito e documenti che hanno prontamente restituito alla legittima proprietaria titolare di un ristorante molto noto della zona. Un invito a cena per sdebitarsi…? Si certo ma con una sorpresa finale.

Si fa presto a dire ricompensa. Un portafoglio smarrito viene riconsegnato a un ristoratore di Riva del Garda che come ricompensa invita a cena i suoi angeli custodi. Ma…
Il bel gesto ripagato con una cena
… ma è successo che questa azione benemerita è diventato un caso. E come mai? Fondamentalmente perché nei paesi dove la cronaca locale latita appena accade qualcosa di particolare, i giornali e i lettori trovano pane per i loro denti. Il fatto è semplice. Una ristoratrice di Riva del Garda aveva smarrito il suo portafoglio su una panchina sul lungo lago. Una famiglia padovana in vacanza nella località gardenese, lo avevo trovato e ha provveduto a restituirlo alla legittima proprietaria. Per sdebitarsi del bel gesto, – dopo aver sborsato subito 50 euro per ringraziare il figlio quindicenne della famiglia – la ristoratrice generosa come ricompensa aveva deciso di invitare tutti a cena.
Ma qualcosa è andata storta
Il portafoglio conteneva carte di credito, molto denaro contante e i documenti personali della sua proprietaria. La famiglia si è recata nel ristorante ma alla fine della cena la gratuità annunciata si è trasformata in un conto di 80 euro a cui era stato applicato uno sconto del 10%. Senza protestare, la famiglia, un po’ incredula, ha saldato la cifra e ha lasciato il locale educatamente. L’episodio non è passato inosservato ai paesani, che lo hanno segnalato alla stampa locale. Finalmente un bel caso di cronaca da raccontare, vista la risibilità degli argomenti a disposizione.
Disattenzione, scuse e nuovo invito a cena
Diventata quindi il caso del giorno la ristoratrice si è subito ravveduta e ha giustificato il suo gesto come una semplice disattenzione. Tutta colpa del gran caldo e del troppo lavoro di questo periodo, ha argomentato la proprietaria del ristorante. Disattenzione dovuta alla stanchezza e allo stress di questi giorni di fine estate. Dopo le scuse pubbliche il giorno successivo la famiglia è stata invitata nuovamente a cena, questa volta senza dover pagare un euro.
Cronaca
Non poteva pagarsi il volo: 36enne nigeriano si fa arrestare a Varese per essere rimpatriato

Non potendo permettersi un biglietto aereo, ha trovato una strada alternativa: farsi arrestare. È la storia, raccontata da La Prealpina, di un 36enne nigeriano residente nel Varesotto, che pur di tornare in patria dalla sua famiglia ha deciso di cercare l’espulsione attraverso un gesto plateale.
Il copione si è consumato venerdì alla stazione ferroviaria di Varese. L’uomo, in pieno giorno, si è acceso uno spinello proprio davanti agli agenti della Polfer, con l’evidente obiettivo di attirare la loro attenzione. Mossa riuscita. Fermato e perquisito, addosso gli è stato trovato un etto e mezzo di hashish. A quel punto è scattato l’arresto, e la sua comparizione in tribunale per la convalida.
È stato in quell’aula che il suo piano è diventato evidente. Quando il giudice ha comunicato che la pena sarebbe stata convertita in espulsione, il 36enne ha reagito con entusiasmo: «Benissimo, ci sono riuscito!». Una frase che lascia pochi dubbi sulle sue reali intenzioni.
Dietro alla vicenda non c’è la ricerca di profitto né un traffico organizzato. L’uomo percepisce la Naspi dopo anni di lavoro in una fabbrica del Varesotto e manda gran parte del sussidio alla sua famiglia in Nigeria. Il suo unico desiderio, spiegano i magistrati, era quello di rientrare a casa, senza avere i mezzi economici per farlo con le proprie forze.
Non è nemmeno la prima volta. Lo scorso marzo lo stesso 36enne aveva provato a ottenere il rimpatrio inscenando una crisi a bordo di un treno, costringendo i passeggeri a chiamare la polizia. Anche in quell’occasione era stato fermato, ma il tentativo non aveva prodotto l’effetto sperato.
Questa volta invece la sua strategia ha avuto esito. Ora, come previsto dalle norme, sarà espulso e accompagnato in Nigeria. Un caso che solleva interrogativi sul funzionamento delle procedure di rimpatrio e sulla disperazione di chi, pur regolarmente presente in Italia, sceglie di passare dalle aule giudiziarie per raggiungere il proprio obiettivo: tornare a casa.
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