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Cucina

Capon magro: il piatto tradizionale genovese che incanta con la sua storia e i suoi sapori

Il capon magro è un piatto ricco di storia e sapori che rappresenta un vero e proprio omaggio alla tradizione culinaria genovese. Provalo per un assaggio autentico della cucina ligure!

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    Il capon magro è uno dei piatti più emblematici della tradizione gastronomica ligure, un piatto che racconta la storia e la cultura di Genova attraverso la sua preparazione e i suoi ingredienti. Originario della città di Genova, questo piatto ha radici che risalgono al Medioevo, quando le ricette venivano tramandate di generazione in generazione, e rappresenta un esempio eccellente della cucina regionale italiana.

    Storia e tradizione del capon magro

    Il capon magro ha una lunga storia, essendo un piatto tipico delle festività e delle occasioni speciali nella tradizione ligure. Il termine “capon” si riferisce al cappone, un tipo di pollo castrato, che era un ingrediente pregiato e molto apprezzato nella cucina genovese. La preparazione di questo piatto richiede tempo e dedizione, ed è caratterizzata da una ricetta complessa che riflette l’importanza del capon magro nella cultura culinaria locale.

    Qualità organolettiche e nutritive

    Il capon magro è un piatto che combina sapori e consistenze diverse, offrendo un’esperienza gustativa unica. La preparazione include una varietà di ingredienti freschi e di alta qualità, che contribuiscono a un equilibrio perfetto tra sapidità e dolcezza. Le verdure utilizzate, come carote, fagiolini e cavolfiori, sono ricche di vitamine e minerali, mentre il pesce e i frutti di mare forniscono proteine e acidi grassi essenziali. Il piatto è arricchito con un’abbondante quantità di salsa verde, che dona un tocco di freschezza e sapore in più.

    Ingredienti

    • Cappone: 1 cappone di circa 1,5 kg, cotto e tagliato a pezzi
    • Pesce: 200 g di filetti di baccalà, 200 g di filetti di stoccafisso
    • Frutti di mare: 200 g di cozze, 200 g di vongole
    • Verdure: 2 carote, 200 g di fagiolini, 200 g di cavolfiore
    • Uova: 4 uova sode
    • Salsa verde: preparata con prezzemolo, aglio, capperi, acciughe e olio d’oliva
    • Olio d’oliva: q.b.
    • Sale e pepe: q.b.
    • Aceto: q.b.
    • Pane raffermo: per la base del piatto

    Ricetta originale del capon magro

    1. Preparazione del cappone: Lessare il cappone in acqua salata fino a cottura completa. Una volta cotto, raffreddare e tagliare a pezzi.
    2. Preparazione del pesce e dei frutti di mare: Lessare i filetti di baccalà e stoccafisso in acqua salata. Pulire e cuocere cozze e vongole fino a che si aprano. Rimuovere le lische e le pelle dai pesci e tagliarli a pezzi.
    3. Preparazione delle verdure: Cuocere le carote, i fagiolini e il cavolfiore in acqua salata. Raffreddare e tagliare a pezzi.
    4. Assemblaggio: Disporre uno strato di pane raffermo su un piatto da portata. Sovrapporre uno strato di cappone, seguito da pesce, frutti di mare e verdure. Ripetere gli strati fino a esaurire gli ingredienti.
    5. Salsa verde: Preparare la salsa verde tritando finemente prezzemolo, aglio, capperi e acciughe. Mescolare con olio d’oliva e aggiustare di sale e pepe. Versare la salsa sopra il capon magro e lasciare riposare in frigorifero per alcune ore.
    6. Servizio: Servire il capon magro ben freddo, decorato con uova sode tagliate a spicchi e guarnito con ulteriori foglie di prezzemolo.

    Il capon magro è un piatto ricco di storia e sapori che rappresenta un vero e proprio omaggio alla tradizione culinaria genovese. Provalo per un assaggio autentico della cucina ligure!

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      Cucina

      Granita al limone, un bacio ghiacciato di fantastica freschezza!

      È un dessert rinfrescante al cucchiaio, perfetto per combattere il caldo estivo. A base di acqua, zucchero e succo di limone, è un sorbetto semi-congelato dalla consistenza granulosa e dal sapore aspro, ma anche zuccherino.

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        Le origini della granita risalgono al IX secolo, quando gli arabi dalla Sicilia introdussero nell’isola l’uso dello “sharbat”, una bevanda ghiacciata a base di frutta o acqua di rose. Nel corso dei secoli, la ricetta dello sharbat si è evoluta, dando vita alla granita, ancora oggi di confermato successo grazie alla semplicità degli ingredienti utilizzati, sapientemente dosati, per realizzare un dolce genuino e autentico, che si declina in numerose varianti, tra cui quella al caffè, al latte di mandorle, all’arancia, alle fragole, alla menta…

        Ingredienti

        500 ml di acqua
        250 g di zucchero semolato
        Il succo di 4 limoni freschissimi (o biologici)
        Scorza grattugiata di 2 limoni
        Un pizzico di sale fino

        Procedimento
        Lava accuratamente i limoni e grattugia la scorza di due. Spremi i limoni e filtra il succo per eliminare i semi e i filamenti. In un pentolino, metti l’acqua con lo zucchero, portare a bollore a fuoco medio, mescolando di tanto in tanto fino a quando lo sciroppo diventerà trasparente. Togli dal fuoco e fai raffreddare completamente.

        Unisci, adesso il succo di limone filtrato, la scorza grattugiata e un pizzico di sale allo sciroppo freddo. Mescola bene per amalgamare il composto. Versa tutto in una ciotola bassa possibilmente in alluminio. Metti in freezer per almeno 4 ore, mescolando con una forchetta ogni 30 minuti circa per rompere i cristalli di ghiaccio e ottenere una consistenza granulosa.

        Servi la granita al limone quando ha raggiunto la consistenza desiderata. Decora con una fetta di limone e foglie di menta.

        Qualche suggerimento
        Se non disponi di una ciotola in alluminio, puoi utilizzare un contenitore per alimenti adatto al congelamento. La granita si conserva in freezer per 2-3 giorni.
        Per un gusto ancora più rinfrescante, puoi aggiungere al composto un cucchiaio di limoncello o un pizzico di menta fresca tritata.

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          Tonno in scatola, cosa ci arriva nel piatto?

          Il tonno in scatola è un alimento versatile e nutriente, ideale per una dieta equilibrata. La qualità del prodotto finale dipende da vari fattori, tra cui il tipo di tonno utilizzato, il metodo di conservazione, e il processo di lavorazione. Scegliendo tonno di alta qualità e conoscendo i metodi di conservazione e preparazione, è possibile gustare un prodotto delizioso e salutare.

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            Con l’arrivo dell’estate sono iniziati anche i pranzi freddi e le preparazioni di insalate per tutti i gusti nelle quali il tonno non può mancare. Ma qual è la parte di questo pesce che si presta di più a essere inscatolato mantenendo inalterate le sue proprietà gustative e salutari?

            Quello che usiamo tutti i giorni viene da più lontano…

            Il tonno in scatola viene selezionato in base alla qualità e alla parte del pesce utilizzata. Le parti migliori per la conservazione sono diverse e spaziano dal Tonno Bianco (Albacore) preferito per la sua carne chiara e saporita e per questo considerato tra i migliori in scatola. C’è poi il Tonno Pinne Gialle (Yellowfin) che ha una carne più scura e saporita e viene utilizzato per le scatolette di alta qualità e più costose. Quindi abbiamo il Tonno Skipjack (Tonnetto striato) che è il tipo più comune e accessibile, utilizzato nelle scatolette standard.

            Meglio sott’olio o naturale?

            Naturalmente la scelta tra quello sott’olio e quello al naturale dipende dai gusti e dalle preferenze personali e dalle esigenze dietetiche. Quello sott’olio, spesso conservato in olio di oliva, ha un sapore più ricco e una texture più morbida. È ideale per insalate e piatti dove l’olio può essere utilizzato come condimento. Quello al naturale, conservato in acqua o salamoia, è più leggero e meno calorico. È preferito da chi cerca un’opzione più salutare e con meno grassi.
            Il tonno in scatola è una fonte eccellente di proteine magre. Una porzione da 100 grammi al naturale contiene circa 25-30 grammi di proteine. È anche ricco di omega-3, vitamine del gruppo B, e minerali come il selenio.

            Quanto ce ne serve?

            Una porzione in scatola per pasto dovrebbe essere di circa 100-150 grammi per un adulto. Questa quantità fornisce una buona dose di proteine senza eccedere nelle calorie.

            Dove si pescano i tonni migliori

            Il Mar Mediterraneo è un buon bacino insieme all’Oceano Atlantico per la pesca del Tonno Rosso (Bluefin), considerato il re, tuttavia è raramente utilizzato per la produzione di tonno in scatola a causa del suo alto valore economico e dell’uso predominante nel sushi.
            Il Tonno Albacore viene pescato principalmente nel Pacifico e nell’Atlantico. È apprezzato per la sua carne bianca e delicata. Il Tonno Yellowfin si trova nelle acque tropicali di tutti gli oceani, ed è apprezzato per la sua carne compatta e saporita. Infine il Tonno Skipjack è il tipo più comune e viene pescato nelle acque tropicali di tutto il mondo. È la scelta principale per il tonno in scatola che usiamo tutti i giorni.

            Il lungo processo di lavorazione

            I tonni vengono pescati utilizzando metodi sostenibili come la pesca a canna o con reti speciali per minimizzare l’impatto ambientale. Una volta pescati, i tonni vengono immediatamente refrigerati e trasportati agli stabilimenti di lavorazione. Qui vengono puliti, eviscerati e tagliati. Le parti migliori vengono selezionate per la lavorazione in scatola. I tranci vengono cotti a vapore o bolliti per preservare il sapore e le proprietà nutrizionali. Dopo la cottura, i tranci vengono inseriti nelle scatolette insieme a olio, acqua o salamoia. Le scatolette vengono poi sigillate ermeticamente e sterilizzate per garantire la sicurezza alimentare e la lunga conservazione.

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              Piadina, regina dell’estate: storia, ricetta e segreti della sfoglia più romagnola che c’è

              Una sfoglia semplice fatta di farina, strutto, acqua e sale. Ma dietro c’è un patrimonio culturale che profuma di Riviera, biciclette arrugginite e mani infarinate. Dalla storia antica alle varianti gourmet, ecco tutto quello che c’è da sapere sulla piadina, la compagna ideale delle serate d’agosto.

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                C’è un suono che racconta l’estate romagnola meglio di mille canzoni da spiaggia: è il fruscio della piadina che si gonfia sulla piastra rovente. Un respiro breve, antico, che profuma di farine grezze, di strutto vero, di mani sapienti e facce sorridenti dietro ai chioschi. In Riviera, la piadina non è solo cibo: è un rito. Si mangia dopo il bagno, tra una partita a racchettoni e un tramonto sulla battigia. Si condivide, si piega, si sbrodola. E non conosce crisi: è democratica, inclusiva, low cost e incredibilmente buona.

                E dire che le sue origini sono tutt’altro che estive. La piadina nasce come pane povero contadino, una sfoglia rustica senza lievito, da cuocere al volo su lastre di pietra o di terracotta. A raccontarla per primo è addirittura Giovanni Pascoli, che le dedica alcuni versi pieni d’amore. “La piada romagnola” la chiama lui, sottolineando come bastino pochi ingredienti e un fuoco acceso per nutrire un popolo intero.

                La versione canonica prevede farina, strutto (o olio, se proprio vogliamo essere gentili con il colesterolo), acqua tiepida e sale. L’impasto si lavora a mano, con pazienza, e poi si stende a disco con il mattarello, fino a raggiungere uno spessore che varia da zona a zona. Nella zona di Forlì e Cesena, ad esempio, è più sottile; a Rimini si avvicina quasi a una tortilla; mentre a Ravenna e dintorni la piada è più alta, morbida e rustica. Ciascuno ha la sua, e guai a dire che “tanto è la stessa cosa”.

                Ma è sul ripieno che si gioca la vera partita. Il classicone, manco a dirlo, è crudo, squacquerone e rucola, un mix perfetto di grasso, cremoso e amaro, dove ogni morso sa di sabbia sotto i piedi e risate notturne. Ma c’è anche chi la farcisce con salsiccia e cipolle caramellate, con verdure grigliate e stracchino, con porchetta e pecorino o con frittata e melanzane. I più temerari azzardano anche versioni dolci: Nutella, fichi caramellati, marmellata di ciliegie. Un sacrilegio? Forse. Ma anche il sacrilegio, d’estate, ha un suo fascino.

                La piadina è anche un pezzo d’identità. Tanto che nel 2014 è arrivata l’IGP – Indicazione Geografica Protetta, che ne tutela forma, spessore, ingredienti e persino temperatura. Ma il cuore della piadina resta nei chioschi: quelle baracche bianche e blu, spesso in bilico tra la statale e il mare, dove le signore arrotolano impasti con una naturalezza da coreografe. E dove la fila non manca mai, nemmeno alle due di notte.

                Un tempo si mangiava in silenzio, con la fame vera. Oggi si scatta la foto, si posta su Instagram, si chiacchiera mentre si morde. Ma lo spirito è lo stesso: conviviale, informale, pieno di sale e libertà. Perché la piadina non ha orari né etichette: si mangia calda in piedi, magari con la birra in mano e i piedi nudi sulla sabbia.

                E se qualcuno osa dire che è solo una “focaccia romagnola”, beh, che si prepari a essere smentito. Con dolcezza, certo. Ma anche con la forza di secoli di sfoglia.

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