Personaggi e interviste
Angelina Jolie: “Maria Callas? Per lei ho imparato a cantare. Ma nella vita preferisco il punk”
L’arrivo di Angelina Jolie al Festival del cinema di Venezia ha già fatto parlare di sé: l’attrice americana ha raccontato il suo impegno per il ruolo di Maria Callas, un personaggio lontano dalla sua vera passione per il punk. Un’esperienza trasformativa che l’ha vista affrontare la sfida di imparare a cantare, esplorando nuovi lati della sua sensibilità artistica.
Il film “Maria”, diretto da Pablo Larrain, porta sul grande schermo l’ultimo periodo della vita di Maria Callas, con Angelina Jolie nel ruolo della grande diva dell’opera. Angelina Jolie ha rivelato di aver dovuto imparare a cantare per entrare nel personaggio, nonostante la sua passione personale sia sempre stata rivolta verso la musica punk.
“Ora deluderò i fan, ma non sono esperta di opera e non ero fan di Maria Callas,” ha confessato l’attrice, “sono più punk, sono fan dei Clash, anche se amo tutta la musica. Ammetto però che invecchiando mi sono addolcita.”
Un ruolo sfida: da punk a Divina
La trasformazione di Angelina Jolie in Maria Callas non è stata facile. L’attrice ha dovuto affrontare mesi di preparazione vocale per rendere giustizia alla figura della celebre soprano. “Ero spaventata,” ha ammesso, “la prima volta che ho cantato ero talmente nervosa che mi sono chiusa a chiave dentro una stanza. Non volevo che nessuno mi sentisse, tremavo.” Eppure, il regista Pablo Larrain, grande appassionato della Callas, ha saputo guidarla nel difficile processo di immedesimazione.
Larrain, presente anch’egli alla conferenza, ha sottolineato come la Callas abbia vissuto la sua vita come un’opera d’arte, mettendo sempre gli altri al centro delle sue attenzioni. “Volevo fare un film su un’artista dalla vita così affascinante, e a convincermi definitivamente è stata la sceneggiatura di Steven Knight,” ha spiegato il regista. “Ma non avremmo mai potuto fare un film simile senza Angelina Jolie.”
Il cast italiano: Favino e Rohrwacher accanto a Jolie
Al fianco di Angelina Jolie, due volti noti del cinema italiano, Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher, che interpretano rispettivamente Ferruccio Mezzadri, maggiordomo della Callas, e la sua governante Bruna. Favino ha parlato della sua esperienza nel film, dichiarando: “Se incontri qualcuno come la Callas, questo incontro ti permette di fare tua un pizzico di quella luce. Maria era una regina egiziana, lavorare con Angelina Jolie mi ha permesso di condividere lo stesso privilegio.”
Il film si concentra su un periodo particolarmente oscuro della vita della Callas, quando, dopo la morte di Onassis, si sentiva isolata dal mondo, oppressa dalle aspettative e dai problemi di salute, e soprattutto sconvolta dalla perdita della sua leggendaria voce. È proprio da qui che è partito il lavoro attoriale di Angelina Jolie: “Solo ascoltando e riascoltando i suoi dischi ho compreso la disciplina che l’aveva portata a raggiungere quel livello,” ha spiegato Jolie.
Una performance da Oscar?
L’interpretazione di Angelina Jolie è già stata definita “misurata e dolente”, una prova che potrebbe valere all’attrice un altro Oscar. Larrain ha sottolineato quanto sia stato importante per lui avere un’attrice così talentuosa per interpretare una figura complessa come quella della Callas, una donna che ha trasformato il suo dolore in arte, diventando un’icona immortale.
“Nella lirica, come nel cinema, senza disciplina non arrivi da nessuna parte,” ha concluso Larrain. E Angelina Jolie sembra aver fatto suo questo mantra, portando sullo schermo una Callas intensa e struggente, ma sempre in grado di toccare le corde più profonde dello spettatore.
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Personaggi e interviste
Umberto Smaila: «Colpo Grosso era da educande, oggi mi manderebbero all’inferno. Non ho limiti nel bere, nel mangiare, nel fumare»
Tra Jerry Calà e le “ragazze Cin Cin”, Smaila racconta cinquant’anni di spettacolo, eccessi e libertà: «Mi dissero che ero l’unico in grado di rendere quel programma non volgare. Ho avuto tutto, ho perso tanto, ma rifarei tutto uguale».
Prima ha trasformato la musica in cabaret, poi il cabaret in televisione, e infine la televisione in uno show che fece epoca: Colpo Grosso. Umberto Smaila è stato tutto questo, un intrattenitore capace di attraversare stagioni diverse con lo stesso sorriso sfrontato e malinconico.

Tutto comincia a Verona, dove con Franco Oppini, Nini Salerno e Jerry Calà forma i Gatti di Vicolo Miracoli. «Non c’era un laureato tra noi, davamo un esame l’anno solo per evitare il militare», ricorda ridendo. «Dormivamo poco, la notte lavoravamo al Derby di Milano. Diego Abatantuono faceva il tecnico delle luci, e noi gli facevamo da professori: studiava con noi, era senza patente ma guidava lo stesso».
Gli anni Settanta sono un turbine: viaggi infiniti, teatri, serate improvvisate. Poi la separazione. «Io e Jerry non ci siamo parlati per cinque anni. Se n’è andato a fare cinema e noi siamo rimasti in braghe di tela. Mi sentii tradito, ma poi capii: quando passa un treno, o ci salti sopra o lo guardi andare via».
Il successo televisivo arriva con Help! e poi, nel 1987, con Colpo Grosso. Una trasmissione che cambierà la carriera – e la reputazione – di Smaila. «Mi scelsero perché dissero che solo io avrei potuto renderlo non volgare. Pensavo sarebbe durato tre mesi, e invece furono trecento puntate all’anno per cinque anni. Rispetto a quello che si vede oggi, era un programma da educande. Lo guardavano persino le ragazzine, che ci mandavano i disegnini delle ragazze Cin Cin».
Quelle ragazze, però, non erano dive. «Venivano quasi tutte dall’estero: inglesi, olandesi, dell’Est. Le italiane non volevano spogliarsi. Erano molto riservate, fuori dal set le vedevi con i sacchetti della spesa. Nessun lusso, nessun glamour. Io? Solo un piccolo flirt, niente storie clamorose».
Quando Colpo Grosso finì, arrivò la doccia fredda. «Da trecento puntate a zero. Viaggiavo in Mercedes, mi sentivo immortale. Poi capii che non lo ero. Forse, senza quel programma, avrei avuto un’altra carriera, ma non rinnego nulla».
Nel frattempo, Smaila continua con la musica, la sua vera casa. Fino al colpo di scena hollywoodiano: «Mi chiamò l’agenzia di Quentin Tarantino. Stavano girando Jackie Brown e volevano un mio brano. Pensavo fosse uno scherzo, invece era vero. Aveva visto La belva col mitra, dove c’era la mia musica. Quei sei minuti sonori mi hanno regalato l’eternità».
Oggi, a 74 anni, Smaila non rinnega i suoi eccessi. «Non ho limiti nel bere, nel mangiare, nel fumare. Secondo i benpensanti, sono un irregolare. Quelli come me vanno all’inferno, e io ci andrò volentieri, se trovo la compagnia giusta».
E mentre la tv di oggi «ha tolto lo spettacolo e il coraggio», lui resta fedele al suo stile. «Allora facevamo otto giorni di prove per tre minuti di varietà. Oggi bastano due ore e un microfono. Ma io continuo a cantare nei miei locali, tra gente che balla e ride. È questo che mi tiene vivo».
La leggenda di Umberto Smaila, tra pianobar, cabaret e cult televisivi, è il ritratto di un’Italia che si prendeva meno sul serio. E che forse, proprio per questo, sapeva divertirsi di più.
Personaggi e interviste
Achille Costacurta, il racconto shock al podcast: “Ho preso sette boccettine di metadone per suicidarmi”.
Nel podcast One More Time Achille Costacurta ricorda l’adolescenza tra droghe, ricoveri forzati e violenza, fino al tentativo di suicidio a 15 anni: “Mi hanno salvato, non so come sia vivo”. La svolta in Svizzera, la diagnosi di ADHD e il legame ritrovato con i genitori.
La storia di Achille Costacurta non è un racconto patinato. È una discesa nel buio e una lenta risalita, narrata con lucidità nel podcast One More Time di Luca Casadei. “Ho iniziato a fumare a 13 anni, al compleanno dei 18 ho provato la mescalina”, racconta. Una spirale di abusi, scontri con la realtà e con la legge: “Una volta ho avuto una colluttazione con la polizia. Ero sotto effetto e ho fatto il matto su un taxi. Il poliziotto arriva, mi tira un pugno in faccia, io ero allucinato quindi l’ho spaccato di legnate. Lì dopo poco mi fanno il primo TSO, me ne hanno fatti 7 in un anno”.
TSO, disperazione e il buio più profondo
Non risparmia nulla, nemmeno i momenti più duri. “A Milano ho trovato due dottori cattivissimi che mi hanno legato al letto per tre giorni… urlavo che mi serviva il pappagallo, io ero legato e mi dovevo fare la pipì addosso”. Un dolore quegli anni che tocca anche la famiglia: “L’unica volta che ho visto piangere mio padre è stata quando gli chiedevo di andare a fare l’eutanasia, perché non provavo più nulla”.
Il punto più basso arriva a 15 anni e mezzo. Arresti, comunità, isolamento. E la fuga verso l’estremo: “Prendo le chiavi dell’infermeria, sette boccettine di metadone. Le bevo tutte. Volevo suicidarmi. Arrivano i pompieri e sfondano la porta… nessun medico ha saputo dirmi come io sia ancora vivo”.
La Svizzera e la diagnosi che cambia tutto
La svolta arriva dopo. “Quando sono arrivato in clinica mi hanno detto: ‘Se fossi stato fuori altri 10 giorni saresti morto’”. In Svizzera scopre l’ADHD. “Tu ti volevi auto-curare con la droga”, gli dicono i medici. Una frase che gli rimane impressa. Anche i genitori partecipano a un corso specifico: “Da lì non è mai più successo niente, perché loro sanno come dirmi un no”.
Una nuova consapevolezza
Oggi Achille ha 21 anni e guarda avanti: “Sono fiero di me. Non mi vergogno di quello che mi è successo, perché sono una persona normale. Ho imparato a non dimenticare quei traumi, ma a farne tesoro”.
Non uno slogan motivazionale, ma una verità conquistata, passo dopo passo. E, come dice lui, “grazie a chi non ha smesso di esserci”.
Personaggi e interviste
Elisabetta Gregoraci smentisce ogni coinvolgimento nel caso del padre: «Totalmente estranea ai fatti».
Il legale Lorenzo Pellegrini chiarisce che Elisabetta Gregoraci è «assolutamente estranea» alle vicende giudiziarie che coinvolgono il padre, respinge ogni accusa e denuncia «insulti e minacce» sui social. La showgirl diffida chi diffonde informazioni false e annuncia azioni legali: «Costretta a vivere nella paura».
Elisabetta Gregoraci prende le distanze, con decisione, dalle vicende giudiziarie che riguardano il padre Mario Gregoraci. A parlare è il suo avvocato, Lorenzo Pellegrini, che con una nota sottolinea come la conduttrice sia «totalmente estranea ai fatti oggetto di denuncia e di accertamento giudiziario». Nel mirino delle precisazioni ci sono le informazioni circolate online in merito all’ex compagna dell’uomo, Rosita Gentile, che ha denunciato Mario Gregoraci per maltrattamenti. Secondo alcune ricostruzioni circolate sui social, la showgirl avrebbe avuto comportamenti offensivi o discriminatori nei confronti della donna. Una ricostruzione che il legale definisce priva di fondamento.
Smentita e diffida
Nella nota, l’avvocato Pellegrini ribadisce che Elisabetta Gregoraci «non avrebbe mai offeso né emarginato» Rosita Gentile e che eventuali riferimenti al suo coinvolgimento sono «destituiti di ogni realtà fattuale». La posizione è chiara: la conduttrice non è parte del procedimento e non ha alcun ruolo nei fatti contestati all’uomo. Al contrario, tramite i suoi difensori, Gregoraci ha diffidato chiunque continui a diffondere contenuti ritenuti falsi o diffamatori. Nelle stesse ore, la showgirl ha informato anche Rosita Gentile della volontà di «agire nelle sedi giudiziarie per la propria tutela».
Minacce social e “clima d’odio”
Nella comunicazione diffusa dal legale emerge un altro elemento: la pressione mediatica. La showgirl starebbe affrontando — sempre secondo la nota — un’ondata di insulti e minacce via social, alimentata da ricostruzioni improprie. «Si sta formando nei suoi confronti un clima d’odio che la costringe a vivere nella paura», evidenzia l’avvocato. Un passaggio che richiama, ancora una volta, il tema della responsabilità nell’informazione online e del confine tra cronaca e speculazione.
La vicenda giudiziaria che coinvolge il padre segue il suo corso; per Elisabetta Gregoraci, l’obiettivo dichiarato è evitare sovrapposizioni e tutelare il proprio nome. In attesa degli sviluppi, la linea è ferma: nessun coinvolgimento, difesa legale e richiesta di rispetto.
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