Personaggi
Maria Grazia Cucinotta: 30 anni (di cinema) e non sentirli, sfiorata dal #meetoo
Un bilancio di 30 anni di professione per maria Grazia Cucinotta, fra grandi incontri ed opportunità (in primis quella di lavorare al fianco di Massimo Troisi, che la scelse come partner)… ma anche con qualche zona d’ombra: un tentativo di stupro e, la dislessia. E l’incontro con Harvey Weinstein.
Quando si parla di lei vengono in mente due immagini, distinte ma complementari: quello della classica bellezza meridionale, capelli scuri, forme prosperose, tratti marcati… e il suo ruolo da esordiente come Beatrice ne Il Postino, come destinataria delle famose metafore del personaggio interpretato da Massimo Troisi. Da quel momento per Maria Grazia Cucinotta sono trascorsi 30 anni di tempo, pieni di film, di incontri, di opportunità e di vita vera.
Al cospetto di Massimo Troisi, senza nessuna esperienza
Rievocando con lei il provino con l’indimenticabile attore napoletano, lei – consapevole che stava per interpretare il ruolo più importante della sua vita – l’emozione, seppur sottile e stemperata dal grande mestiere, affiora ancora: «Mi scelse dai provini. Fu Nathaly Caldonazzo a riferirgli di me. Le sono grata e le voglio bene, anche se non ci parliamo più. Mi tremavano le gambe a stare lì seduta di fronte a lui a leggere un copione. Io poi, che sono dislessica… mi mancava la preparazione, non avevo alcuna esperienza».
L’umanità del grande partner
Troisi non stava cercando un mostro di recitazione ma naturalezza e capacità di emozionare gli altri: «Lui non voleva che fossi tecnica: “Non devi recitare perché si vede”. Non considerava un difetto neppure la dislessia, mi diceva solo di non correre. Ricordo anche il tic tac che pensavo fosse un orologio e invece era il suo cuore. Per fortuna feci finta di niente e non feci gaffe».
Le reazioni di alcuni colleghi illustri
Un ruolo che si trasformò in una fortuna immensa. Però anche irreplicabile. Cita spesso l’abbraccio stretto che le riservò il regista Oliver Stone, confessandole che Il postino era il film più bello che avesse mai visto. Gina Lollobrigida invece le disse: “Vai avanti e non curarti delle cose che non sono importanti, come chi non ti riconosce. Viva le nuove facce e viva le nuove generazioni”.
I problemi con la dislessia
La dislessia le creò problemi concreti, lei non fa fatica ad ammetterlo, soprattutto ai tempi della scuola: «Da giovane avevo gli attacchi di panico alle interrogazioni. Non sono cresciuta in un quartiere facile, a un certo punto pensarono che fossi drogata, perché di droga ne girava tanta. Mia madre era disperata. Più collassavo e più passavo per la scema del villaggio».
Un ricordo speciale per il suo James Bond
Per lei, che ha lavorato a fianco di grandissimi attori, Philippe Noiret su tutti, non deve essere facile rispondere ad una domanda su quali siano i suoi partner preferiti, soprattutto in termini di affinità. Ma anche in questo sa sorprenderti per naturalezza e spontaneità: «Pierce Brosnan è una persona fantastica. Quando ha saputo che mia sorella stava male (per un tumore, ndr) mi ha scritto immediatamente. Un gesto che mi ha emozionato». D’altronde non è da tutte poter affermare di essere stata una Bond girl, nella fattispecie in Il mondo non basta del 1999, con l’agente di Sua Maestà interpretato proprio da Brosnan.
In America e ritorno, con una punta di rimpianto
Fra i colleghi italiani cita volentieri Ester Pantano e Francesca Inaudi. Con una predilezione speciale nei confronti anche di Gabriel Garko, persona che definisce «deliziosa e che ha sofferto tanto». Non considerando l’Italia un paese che brilla per meritocratica, lasciò tutto e andò negli States. Anche se poi il richiamo del paese natale fu irresistibile: «Mio marito non mi avrebbe mai raggiunta e volevo che mia figlia nascesse qui. Gli Usa danno moltissimo alla tua carriera e al tuo ego, ma umanamente ti tolgono molto. Un rimpianto di essermene andata però ce l’ho».
Sex symbol?!? Lei si sentiva ingombrante
Simbolo di erotismo made in Italy, rifiutò un film come L’avvocato del diavolo per le scene di nudo che conteneva: «Bisogna essere realisti: non credo l’avrei fatto bene. Non ho mai avuto un buon rapporto con il mio fisico, soprattutto con il mio seno. Mi hanno anche definita sex symbol ma io mi sono sempre sentita ingombrante. Se a vent’anni avessi avuto la consapevolezza del mio corpo che ho adesso, sarebbe stato tutto molto più facile. Oggi ringrazio Dio di essere come sono».
Un brutto momento a Parigi che l’ha segnata
Nel suo passato un momento drammatico, nel quale scampò ad uno stupro, che per anni l’ha tormentata: «Ho camminato per tanto tempo col gas paralizzante stretto in mano, perché in quei momenti non hai tempo di aprire la borsa. Successe di giorno, a Parigi, era un uomo in giacca e cravatta. Credo proprio ci sia stato l’intervento di un angelo perché cadde mentre mi stava strattonando, così riuscii a scappare. La polizia non fece niente. Ho trasmesso la paura anche a mia figlia, mi dice sempre che le metto l’ansia».
Sfiorata dal Mee Too
Parlando di questo argomenti, non si può non ricordare che l’attrice ha lavorato anche con Harvey Weinstein, durante tutta la promozione per Il postino. Anche se con lei non ebbe mai comportamenti sconvenienti, avendo la fila di ragazze che volevano stare con lui.
Tre decadi di cinema, tre decadi d’amore… col sogno di risposarsi
Trent’anni di cinema ma anche gli stessi anni di relazione con Giulio Violati, l’altro grande successo della sua vita, insieme alla loro figlia Giulia: «Ai 25 volevamo risposarci, era tutto pronto per una cerimonia in casa, mi ero fatta fare un tubino di pizzo da sogno. Poi c’è stato il lockdown. Questa volta non ce la toglierà nessuno».
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Personaggi
Vivian Jenna Wilson si libera del cognome Musk: «Non voglio più avere a che fare con lui». La figlia di Elon rompe con il padre
Cambio di nome, nessuna eredità, vita condivisa in un appartamento di Los Angeles e orgoglio militante. Vivian Jenna Wilson, figlia di Elon Musk, rivendica la propria indipendenza e attacca il magnate: «Ha voluto figli brillanti, non felici». E sul passato: «Non volevo più portare quel cognome, faccio quello che voglio».
Vivian Jenna Wilson ha un obiettivo chiaro: vivere una vita che non abbia nulla a che fare con suo padre. Un nome pesante, quello di Elon Musk, che a ventun anni ha deciso di abbandonare, legandosi invece a quello della madre, Justine Wilson. A Paris Match racconta il perché senza giri di parole: «Non volevo più avere a che fare con tutte quelle stronzate legate al nome. E poi faccio quello che voglio».
La rottura con il patron di Tesla e SpaceX non è solo affettiva: è culturale, politica, identitaria. Vivian fa coming out come persona trans nel 2020 e cambia legalmente sesso due anni dopo. Da allora, la distanza con Musk si trasforma in frattura pubblica. Lei sfila, studia, lavora, condivide un appartamento a Los Angeles. «Non vivo in una villa. Non ho una Tesla», dice con ironia feroce. A chi su TikTok l’ha dipinta erede da 40 miliardi risponde così: «Se fosse vero, non ci sarebbero più senzatetto né fame nel mondo».
La giovane rivendica con orgoglio la strada costruita da sola: modella emergente, attivista LGBTQIA+, voce presente nelle marce e online. Non cerca pietà, non cerca eredità: cerca spazio. E lontananza. «La sola menzione del suo nome mi fa spegnere il cervello», confessa. Una frase che sintetizza anni di incomprensioni, culminate nella rottura definitiva.
Il contrasto non è solo familiare, ma filosofico. «Quando avevo dieci anni mi disse che Marte sarebbe stato il futuro dell’umanità. Pensai: chi si occuperà della Terra allora? Non parlavamo la stessa lingua». È la fotografia di due mondi che non si incontrano: da un lato il miliardario convinto che il progresso passi dalla colonizzazione dello spazio; dall’altro una figlia che difende i diritti delle minoranze e marcia sul suolo terrestre, tra le persone.
Sui social Musk l’ha cancellata – letteralmente: «Mio figlio Xavier è morto. Ucciso dal virus woke», scrisse. Oggi lei restituisce il colpo con una frase glaciale: «La morale non si misura in dollari». Non cerca un confronto, non chiede riconciliazione. Alza il mento, senza paura: «Sono stata usata come esempio per dimostrare che i bambini trans non dovrebbero esistere. Non potevo lasciar correre. Non è un capriccio politico. È una questione di sopravvivenza».
In mezzo, nessun accordo, nessun passo indietro. Solo una ragazza che ha deciso chi vuole essere. E un padre che, almeno per lei, non è più una stella nella stessa galassia.
Personaggi
Eva Grimaldi: “Ho rischiato la vita per un intervento al seno. Un anno intero con una sola protesi”
Ospite nel programma di Caterina Balivo, Eva Grimaldi ripercorre gli anni dei sette interventi estetici e l’infezione che le ha quasi tolto la vita. “Mi sono ritrovata con un seno solo nel momento di massimo successo. Ma oggi amo le mie cicatrici.”
Nel salotto di La volta buona, il talk show pomeridiano di Rai 1 condotto da Caterina Balivo, Eva Grimaldi ha scelto di parlare senza filtri di una parte dolorosa della sua vita: gli interventi estetici subiti negli anni per inseguire un ideale di bellezza. “Ho fatto sette operazioni al seno — ha raccontato —, tutto è cominciato quando avevo 26 anni. All’inizio portavo la taglia zero e volevo un po’ di femminilità in più. Poi ho continuato: prima la seconda, poi la terza, poi la quarta. Finché è arrivato il disastro.”
Dietro la ricerca di un décolleté perfetto, si nasconde una storia di sofferenza e di paura. “Una protesi si è infettata. Ero andata dal miglior chirurgo, ma non è stato in grado di intervenire nel modo giusto. Anziché rimuoverla, ne ha messa un’altra sopra, e il seno si è gonfiato in modo anomalo. Ho iniziato a stare malissimo.”
“Avevo la febbre a 42: ero più morta che viva”
Il racconto di Eva è crudo, ma necessario: “Avevo la febbre a 42, ero più morta che viva. Nessuno capiva quanto fosse grave. Ho rischiato la setticemia, e solo l’intervento di un altro chirurgo mi ha salvata.” Il nuovo medico ha dovuto rimuovere completamente la protesi infetta, lasciandola con un solo seno per un intero anno.
“È stato il periodo più difficile della mia vita — confessa l’attrice —. Ero nel pieno della carriera, giravo un film con Remo Girone e c’era una scena di nudo. Non avevo detto nulla a nessuno, inventavo scuse, parlavo di una fistola al seno per evitare domande. Mi coprivo come potevo.”
Remo Girone, racconta, fu una presenza discreta e preziosa: “È stato un vero signore. Quando gli ho confidato la verità, mi ha sostenuta e aiutata a superare la vergogna.”
“Un seno solo nel momento di massimo successo”
Per Eva Grimaldi, quel periodo rappresenta un punto di svolta. “Per un anno ho vissuto con un seno solo, in un mondo in cui l’immagine era tutto. Ma è proprio lì che ho capito quanto fosse fragile la mia autostima e quanto stessi cercando approvazione nel posto sbagliato.”
L’attrice, oggi 63 anni, ammette di aver imparato ad accettarsi: “Oggi non rifarei mai nulla di tutto questo. Ho imparato a volermi bene, a non confondere la bellezza con la perfezione. Le mie cicatrici sono il segno di quello che ho superato.”
La riflessione: tra estetica e consapevolezza
Il racconto di Grimaldi riaccende un dibattito sempre più attuale: quello sul rapporto tra chirurgia estetica, autostima e pressioni sociali. Negli ultimi anni, secondo la Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica (SICPRE), gli interventi estetici in Italia sono in costante aumento, soprattutto tra le donne tra i 25 e i 45 anni. Ma i medici ricordano l’importanza di rivolgersi a professionisti certificati e di comprendere i rischi reali di ogni operazione.
Eva Grimaldi oggi parla con la serenità di chi ha attraversato il dolore e ne è uscita trasformata: “Ho vissuto sulla mia pelle cosa significa affidarsi a chi non ti ascolta. Oggi voglio che la mia storia serva da esempio: la chirurgia non è un gioco, e la vera bellezza è sentirsi bene dentro, non davanti allo specchio.”
Personaggi
Ignazio Moser fa pubblicità con la figlia appena nata: «Le mie pause caffè ora hanno ancora più gusto». Ma sui social scoppia il dibattito
Nel video diffuso da Moser per un brand di caffè, il neogenitore tiene in braccio la figlia e sorride: «Le mie pause caffè ora hanno ancora più gusto». Ma tra i commenti c’è chi parla di “tempismo eccessivo” e chi difende la spontaneità del gesto.
Appena diventato padre, Ignazio Moser ha già trovato il modo di unire vita privata e lavoro. L’ex ciclista e volto televisivo ha pubblicato sui social un video in cui tiene in braccio la sua bambina, Clara Isabel, nata a metà ottobre dall’unione con Cecilia Rodriguez. Il filmato — una collaborazione con un noto marchio di caffè — è accompagnato da una didascalia semplice e affettuosa: «Le mie pause caffè ora hanno ancora più gusto». L’immagine è tenera, il messaggio familiare. Ma come spesso accade, non tutti hanno gradito.
Il debutto di Clara Isabel (e le reazioni del web)
Nella clip, Moser sorride teneramente mentre sorseggia il caffè e stringe la figlia al petto. Una scena che sa di felicità domestica e che, da sola, basterebbe a raccontare la gioia della paternità. Ma la presenza del logo commerciale ha trasformato l’idillio in una miccia social. In molti hanno sottolineato il tempismo dell’operazione: «Aspettare un po’, no?», commentano alcuni utenti, accusando la coppia di aver esposto troppo presto la neonata per fini promozionali. Altri, invece, vedono solo la dolcezza di un papà che condivide il suo momento di vita: «Un messaggio positivo, niente di male».
Tra marketing e famiglia social
Moser, da sempre molto attivo online insieme a Cecilia Rodriguez, non ha risposto alle critiche e ha preferito lasciare che il video parlasse da sé. Il suo profilo, seguito da oltre un milione di utenti, è una vetrina costante di vita quotidiana, sport, brand e affetti. E in questo caso, il confine tra spontaneità e strategia pubblicitaria si è fatto ancora più sottile. Del resto, oggi la vita delle celebrity scorre tra un contratto e un post sponsorizzato, e anche i momenti familiari finiscono per diventare parte del racconto pubblico.
Che sia semplice marketing o un modo genuino per celebrare la paternità, una cosa è certa: la piccola Clara Isabel ha già fatto il suo debutto nel mondo dell’immagine. E con un cognome come Moser, la carriera davanti alle telecamere sembra essere cominciata… con un espresso.
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