Politica
Giorgetti chiede sacrifici, Meloni promette sconti: la manovra economica è una partita a Risiko dove mancano i pezzi più importanti
ra Giorgetti che invoca sacrifici e Meloni che nega aumenti di tasse, la coperta della manovra economica è sempre troppo corta. 25 miliardi da trovare e pochi sorrisi da distribuire: chi ci rimetterà?
Aria pesante in casa Meloni: è tempo di manovra economica. Il Piano Strutturale di Bilancio è stato approvato: la cornice fiscale che impegnerà l’Italia per i prossimi sette anni, stando alle dichiarazioni del ministro Giorgetti, è «ambiziosa e realistica». Ma a conti fatti, tra l’ambizione e la realtà ci sono 25 miliardi da trovare, tante promesse da mantenere e poche risorse effettive. Proviamo a fare un rapido fact checking sulle premesse.
Quanti soldi servono?
Quanti soldi ci servono? Il governo Meloni riuscirà a rispettare le promesse fatte? Da una parte il titolare del MEF dichiara che la manovra “richiederà sacrifici da tutti”, dall’altra arriva la smentita della premier che ribadisce che il governo mira, al contrario, a ridurre le tasse, sostenendo famiglie e imprese, e mai e poi mai chiederà nuovi sacrifici ai cittadini. Ma chi ha ragione? La realtà, al di là degli schieramenti, è che in cassa non ci sono soldi. La manovra economica del 2025 è un po’ come una coperta corta: tirando da un lato si finisce per scoprirne un altro, ed è molto difficile che, alla fine, tutti vivano felici e contenti.
Tagli o risparmi?
Il governo deve necessariamente puntare a una diminuzione della spesa per ridurre il debito e, allo stesso tempo, il PIL quest’anno crescerà meno rispetto alle previsioni, contraendo ancora le pochissime risorse disponibili. È facile quindi fare i conti della serva: la prossima manovra varrà tra i 24 e i 25 miliardi. Oltre metà di queste risorse sarà impegnata per il taglio del cuneo fiscale per 14 milioni di lavoratori che il governo vuole rendere strutturale, e per l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef.
Alla ricerca del ceto medio
Coperture permettendo, il governo punta ad alleggerire il carico fiscale per il cosiddetto ceto medio, che non ha goduto né del taglio del costo del lavoro né della semplificazione Irpef. Un totale di 8 milioni di contribuenti. Allo studio c’è dunque l’ipotesi di ridurre l’aliquota intermedia dal 35 al 33% e di aumentare da 50 a 60mila euro il limite del reddito per il secondo scaglione: uno schema che porterebbe benefici nelle tasche di circa 8 milioni di contribuenti. Il tutto è però condizionato dal reperimento delle risorse. Il costo dell’operazione ‘ceto medio’ è di circa 4 miliardi.
Mancano ancora 12 miliardi
Fin qui, il costo totale è di circa 15 miliardi, ma da questo punto in poi le coperture per la manovra si fanno oscure e poco chiare. All’appello mancano almeno altri 10-12 miliardi e lo spazio di movimento per la manovra è limitato. Diventa difficile pensare che si possa intervenire sulle pensioni, per esempio. Tra le promesse elettorali più calorosamente applaudite ci sono Quota 41 e l’abolizione della legge Fornero, cavalli di battaglia di Matteo Salvini.
Promesse elettorali addio
Tuttavia, con le attuali risorse, queste misure sembrano un’utopia. Lo stesso vale per l’aumento delle pensioni minime a mille euro promesso da Forza Italia: una misura tanto apprezzabile quanto irrealizzabile con le casse dello Stato vuote. Anche l’allargamento della platea del bonus mamme a precarie e partite IVA sembra un miraggio: solo il bonus nido costerebbe circa 3 miliardi, e qui le risorse scarseggiano.
E la sanità?
E cosa dire della sanità? Il governo aveva promesso un’iniezione di fondi, ma al momento le risorse non ci sono. Meloni, nei suoi interventi pubblici, ha più volte assicurato che non ci sarebbero stati tagli ai servizi essenziali. Tuttavia, se il governo non troverà nuovi fondi, si rischia di vedere riduzioni ai servizi o aumenti di costi in settori cruciali… Insomma, bambole, non c’è una lira! E qui arriviamo al nodo cruciale. Mancano i fondi e non occorre essere dei geni dell’economia per capire che per farlo ci sono solo due modi: diminuire le spese o aumentare le tasse. A meno che il governo non estragga un coniglio dal cilindro, vinca al Gratta e Vinci o non abbia uno zio ricco in America pronto a riempirlo di dollari, cosa che è esclusa a priori.
Insomma tasse su o tasse giù?
Veniamo alla promessa di non alzare le tasse: vero o falso? Chi vivrà vedrà, ma per ora il Piano Strutturale di Bilancio mette nero su bianco l’allineamento delle aliquote delle accise per diesel e benzina che comporterà da una parte la leggera diminuzione di quelle sulla verde, ma dall’altra vedrà un innalzamento ben più deciso di quelle per il gasolio, cosa che porterà nelle casse dello Stato circa 1 miliardo. Ma l’aumento del diesel si rifletterà direttamente sul prezzo dei trasporti e quindi su quello delle merci, che verrà scaricato direttamente sulle spalle dei consumatori alla cassa di supermercati e negozi al dettaglio con aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità. Una tassa nascosta, insomma.
Caccia alle case fantasma
A caccia di nuove entrate, Giorgetti annuncia poi possibili nuove tasse sulla casa con l’adeguamento dei valori catastali per le cosiddette “case fantasma”, cioè non registrate, e per chi ha usufruito dei bonus fiscali. E anche queste sono nuove tasse, anche se poi smentisce tutto, dichiarando che gli aumenti saranno solo “per chi se li merita”.
Soldi che non ci sono
I soldi, insomma, non ci sono e sembra davvero difficile recuperarli solo con i risparmi sulla spesa e con il riordino delle cosiddette agevolazioni fiscali. Dai tagli ai ministeri ci si aspetta al massimo 3 miliardi se si procederà con tagli lineari. Poi si proverà a sfoltire le 625 agevolazioni fiscali, ma l’impresa, già tentata in passato, è impopolare e difficilissima da realizzare, e si arriverebbe a recuperare al massimo 1,5 miliardi. Senza tener conto che cancellare le agevolazioni fiscali vuol dire alzare le tasse a qualcuno e qui torniamo al punto di partenza, come nel giro dell’oca.
E chi pagherà alla fine?
Insomma, chi è che deve pagare quel qualcosa in più? Salvini, a favor di telecamere alla scorsa Pontida, ha tuonato che “paghino i banchieri e non gli operai”. Sacrosanto. Ma facile a dirsi, difficile a farsi: il governo starebbe cercando risorse puntando a banche e imprese. Ma una tassa sugli extraprofitti delle grandi aziende era già fallita lo scorso anno, quando era stata introdotta per le banche. Tanto più che Tajani non è d’accordo: “Chi decide cosa è extra e cosa non è extra? Forse è un po’ una cosa da economia sovietica”. Insomma, se i soldi – come sembra – non ci sono, chi sarà chiamato a fare sacrifici? E qui qualche sospetto è lecito averlo.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Politica
Meloni chiede l’applauso per Salvini assolto: in Senato la premier rivendica la linea dura sui confini
La Cassazione chiude il caso Open Arms confermando l’assoluzione di Matteo Salvini. Meloni ne fa un passaggio centrale del suo intervento in Aula, mentre restano le critiche politiche dell’opposizione.
L’assoluzione definitiva di Matteo Salvini diventa un passaggio politico dentro l’Aula del Senato. Giorgia Meloni apre così la sua replica al termine del dibattito sulle comunicazioni in vista del Consiglio europeo, chiedendo ai parlamentari un applauso per il vicepremier e ministro delle Infrastrutture, prosciolto in via definitiva dalle accuse legate alla vicenda Open Arms. «Chiedo un applauso per l’assoluzione del vicepremier Matteo Salvini dall’accusa infondata di sequestro di persona», afferma la presidente del Consiglio, rivendicando il principio secondo cui «un ministro dell’Interno che difende i confini italiani fa il suo lavoro, niente di più».
La pronuncia della Corte di Cassazione chiude una vicenda giudiziaria iniziata cinque anni fa. I giudici della quinta sezione hanno rigettato il ricorso per saltum presentato dalla Procura di Palermo contro l’assoluzione di primo grado, rendendo definitiva la decisione del Tribunale di Palermo che, il 20 dicembre 2024, aveva assolto Salvini «perché il fatto non sussiste». Le accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio riguardavano il mancato sbarco, nell’agosto del 2019, dei 147 migranti a bordo della nave della ong spagnola Open Arms, rimasta in mare per diciannove giorni al largo delle coste italiane.
La Procura generale della Cassazione aveva chiesto di rigettare il ricorso dei pm siciliani. I sostituti procuratori generali Antonietta Picardi e Luigi Giordano, al termine della requisitoria, avevano concluso per la conferma dell’assoluzione. Una linea fatta propria anche dalla Suprema Corte, che ha così messo fine al procedimento.
Immediata la reazione di Salvini, che sui social ha commentato con una frase già usata durante il processo: «Cinque anni di processo: difendere i confini non è reato». Un messaggio accompagnato da una sua foto con la scritta “assolto”. In Aula, Meloni ha trasformato la decisione giudiziaria in un passaggio identitario per la maggioranza, parlando di «solidarietà e gioia» e di «definitiva affermazione di un principio».
Soddisfatta anche la difesa. L’avvocata Giulia Bongiorno, legale di Salvini, ha definito il ricorso della Procura «generico» e «fuori dal mondo», sottolineando come chiedesse «un processo completamente diverso». Dopo la decisione della Cassazione, Bongiorno ha parlato di un procedimento «che non doveva nemmeno iniziare» e di una conferma della «correttezza dell’operato» dell’allora ministro dell’Interno.
Di segno opposto le valutazioni delle parti civili, che avevano chiesto l’annullamento dell’assoluzione di primo grado sostenendo l’esistenza del dolo e richiamando il mancato rispetto, a loro giudizio, delle norme internazionali e costituzionali e della dignità delle persone a bordo della nave. Argomentazioni che non hanno trovato accoglimento né in primo grado né davanti alla Suprema Corte.
Sul piano politico, la chiusura del caso Open Arms riapre però lo scontro tra governo e opposizioni. Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra e co-portavoce di Europa Verde, ha dichiarato che «le sentenze vanno sempre rispettate», aggiungendo che ora «la destra non potrà più sostenere l’esistenza di una magistratura politicizzata». Bonelli ha però ribadito il giudizio negativo sull’azione politica di Salvini, accusandolo di aver «usato i migranti come strumento di propaganda e di consenso elettorale».
Nel frattempo, tra i partiti di centrodestra e tra i ministri del governo, si moltiplicano le attestazioni di solidarietà al leader della Lega per la chiusura definitiva della vicenda giudiziaria. Per Meloni, la sentenza diventa anche un elemento di legittimazione politica della linea sull’immigrazione portata avanti negli anni dal centrodestra. Una lettura che segna il confine netto tra il giudizio penale, ormai chiuso, e una valutazione politica che continua a dividere profondamente maggioranza e opposizioni.
Politica
Matteo Salvini avvisato: Pio e Amedeo tornano su Canale 5 mentre il vicepremier celebra “Oi vita mia” come fosse una rivelazione comica nazionale
Dopo l’entusiasmo social di Matteo Salvini per “Oi vita mia” – «era da tempo che non ridevo, sorridevo, mi emozionavo e piangevo per un film» – Pio e Amedeo si preparano a tornare su Canale 5 con un nuovo programma. Per Mediaset è l’ennesima scommessa su un duo che divide, intrattiene e infiamma discussioni a ogni apparizione.
Avvisate Matteo Salvini, perché per lui sarà come Natale anticipato. Il vicepremier ha infatti celebrato sui social “Oi vita mia”, l’ultimo film di Pio e Amedeo, con un entusiasmo che farebbe arrossire perfino i fan più irriducibili del duo pugliese. «Era da tempo che non ridevo, sorridevo, mi emozionavo e piangevo per un film», ha scritto il ministro dei Trasporti, trasformando la pellicola in un piccolo evento nazionale. E ora che Mediaset ha ufficializzato il ritorno dei due in primavera con un nuovo show su Canale 5, il tempismo sembra perfetto.
Il post di Salvini che accende i social
Il commento del ministro non è passato inosservato. Anzi, è stato accolto come la certificazione definitiva che Pio e Amedeo non sono soltanto un fenomeno popolare, ma un caso politico-culturale capace di entrare nelle timeline istituzionali. Che il vicepremier abbia un debole per il loro umorismo non sofisticatissimo non è una sorpresa, ma questa volta il suo entusiasmo ha acceso una curiosità in più: cosa penserà del nuovo programma in arrivo?
Il ritorno su Canale 5
Dopo il successo al botteghino, i due comici tornano dunque nel prime time Mediaset con un progetto pensato per riprendere lo stile che li ha resi celebri: spontaneità, battute al limite del caos e quel loro modo di trasformare qualsiasi siparietto in una serata di paese reinventata per la tv. La rete punta forte su di loro, consapevole che ogni nuova apparizione scatena discussioni, meme e reazioni contrastanti.
Un duo che divide ma funziona
Pio e Amedeo, del resto, vivono da sempre in un equilibrio curioso: da un lato il pubblico fedele che li segue ovunque, dall’altro chi sussurra che la loro comicità non esattamente profonda abbia comunque trovato un posto stabile nella televisione generalista. E mentre la primavera si avvicina, cresce l’attesa per capire che tipo di show porteranno su Canale 5 e fino a che punto riusciranno a spingere il loro universo comico.
Intanto Salvini li applaude
Per ora, una certezza c’è: Matteo Salvini è già pronto in prima fila, telecomando alla mano. E a questo punto è facile immaginare che il nuovo show diventi per lui un imperdibile appuntamento del palinsesto. Perché quando il ministro ride, ride sul serio… soprattutto con Pio e Amedeo.
Politica
Nordio scatena la tempesta alla Conferenza sul femminicidio: dal “codice genetico maschile” alle accuse di Medioevo
Intervenendo alla Conferenza contro il femminicidio alla Camera, Carlo Nordio parla di un retaggio “darwiniano” e di una “tara” nella mentalità maschile che deriverebbe da millenni di superiorità fisica. Sul web e in Parlamento esplodono le reazioni: Appendino (M5S) parla di “Lombroso”, Bonelli (Avs) di “Medioevo”, Boschi (IV) accusa il governo di arretramento culturale. E il dibattito si accende alla vigilia delle mobilitazioni del 25 novembre.
Alla Conferenza internazionale contro il femminicidio, organizzata alla Camera dei Deputati alla vigilia della Giornata del 25 novembre, Carlo Nordio immaginava forse un discorso solenne. Di certo non immaginava l’incendio politico scoppiato dopo le sue parole. Parlando della “prevaricazione secolare dell’uomo sulla donna”, il ministro della Giustizia ha offerto una lettura che ha immediatamente fatto alzare sopracciglia, toni e telefoni.
Il passaggio incriminato: “È la legge del più forte”
Nordio, in un ragionamento che voleva essere storico, ha parlato di una radice darwiniana della violenza maschile: nei primordi, ha detto, la forza muscolare avrebbe determinato la nascita del maschilismo. «La natura ha dotato i maschietti di una forza muscolare maggiore delle femminucce… questo unico criterio di superiorità ha fondato il maschilismo». Una spiegazione che si inserisce nel solco della lunga oppressione patriarcale, ma che — complice un linguaggio vecchio stile — ha creato immediatamente un corto circuito.
“Sedimentazione nel codice genetico”: esplode la polemica
Il Guardasigilli ha poi parlato di una “sedimentazione millenaria” nella mentalità del maschio, difficile da rimuovere, quasi una tara culturale che resiste anche quando l’uomo accetta formalmente la parità. Per superarla, sostiene, non basta la repressione: servono prevenzione ed educazione. «Un po’ come fanno psicologi e psicanalisti», ha detto, invocando una rivoluzione educativa che parta dalla famiglia.
Appendino: “E la prossima cosa, Lombroso?”
La prima a rispondere è Chiara Appendino (M5S), che su X definisce le parole di Nordio “un’altra perla” dopo “impunità ai soliti noti” e una gestione della giustizia che lei considera fallimentare. Poi l’affondo: «La prossima sarà propagandare Lombroso? Se questo è un ministro…». Il tono è durissimo, e il post diventa virale in pochi minuti.
Bonelli: “È Medioevo”
Non meno netto Angelo Bonelli (Avs), che cita i nuovi dati Istat: 6,4 milioni di donne italiane hanno subito violenze fisiche o sessuali. «Di fronte a questa realtà — dice — evocare un ‘codice genetico maschile’ è un arretramento culturale pericoloso». La critica è chiara: così si deresponsabilizzano gli aggressori e si cancella il carattere strutturale della violenza di genere.
Boschi: “Le donne non hanno bisogno di teorie ottocentesche”
Maria Elena Boschi (Italia Viva) aggiunge un altro tassello: «Imbarazzanti». Accusa il governo di offrire un contributo del tutto fuori fuoco alla Conferenza e sottolinea che le donne hanno bisogno di leggi applicate, fondi certi e centri antiviolenza, non di letture pseudo-biologiche: «La parità non è un’idea, è un dovere costituzionale».
Un caso che arriva nel giorno più sensibile dell’anno
Il tempismo ha aggravato tutto: la discussione esplode proprio mentre in Italia si preparano le manifestazioni del 25 novembre. E mentre piazze, scuole e associazioni chiedono protezione e politiche efficaci, il dibattito politico si ritrova impantanato tra Darwin, codici genetici e accuse di Medioevo.
-
Gossip2 anni faElisabetta Canalis, che Sex bomb! è suo il primo topless del 2024 (GALLERY SENZA CENSURA!)
-
Sex and La City2 anni faDick Rating: che voto mi dai se te lo posto?
-
Cronaca Nera1 anno faBossetti è innocente? Ecco tutti i lati deboli dell’accusa
-
Speciale Grande Fratello1 anno faHelena Prestes, chi è la concorrente vip del Grande Fratello? Età, carriera, vita privata e curiosità
-
Gossip1 anno faLa De Filippi beccata con lui: la strana coppia a cavallo si rilassa in vacanza
-
Speciale Olimpiadi 20241 anno faFact checking su Imane Khelif, la pugile al centro delle polemiche. Davvero è trans?
-
Video11 mesi faVideo scandalo a Temptation Island Spagna: lei fa sesso con un tentatore, lui impazzisce in diretta
-
Speciale Grande Fratello1 anno faShaila del Grande Fratello: balzi da “Gatta” nei programmi Mediaset
