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Alla riscoperta di Rosa Genoni, intellettuale signora della moda italiana

Venerdì 8 novembre alle ore 16 verrà organizzata una sfilata virtuale nell’atelier Curiel – Milano di via Montenapoleone 13, dove tra documenti preziosi, abiti e tessuti verranno ripercorse pagine importanti della moda italiana.

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    Venerdì 8 novembre Elisabetta Invernici racconta la figura di Rosa Genoni, per vent’anni première di Casa Haardt, attraverso immagini e documenti inediti, compresi alcuni inviti ai défilé davvero originali. Alessia Bollani, responsabile archivio Curiel – Milano, ci guiderà alla scoperta delle collezioni moda Curiel che hanno primeggiato nei luoghi più eleganti del mondo facendo brillare il made in Italy. Una squadra di lavoro tutta al femminile in omaggio all’indimenticabile Raffaella Curiel.


    Siamo nel 1888. Rosa Genoni torna a Milano dopo un tour formativo in Europa, ma è la
    lunga tappa parigina ad aver fortemente segnato la sua formazione stilistica. Nella capitale
    francese ha avuto la possibilità di conoscere i più grandi sarti e vedere i più importanti atelier
    dove si servono le più belle e famose donne dell’epoca: Worth, il sarto delle Regine e delle
    Imperatrici (Vittoria, Margherita, Sissi), Poiret, le sorelle Caillot, Paquin, e Pasquì in Rue
    de Paradis 6 dove lavorò con profitto.

    La sua passione per la moda, l’attivismo politico e il femminismo si alimentano
    reciprocamente e diventano motore per la creazione di una moda italiana, diversa e
    indipendente dalla moda parigina. Nello stesso anno, la sartoria Bellotti le offre un lavoro fisso come specialista nella creazione di sontuosi costumi per i balli al Teatro alla Scala durante la celebrazione del carnevale, un periodo in cui le case di moda e le sartorie della città lavorano freneticamente.

    Ma la sontuosità dei costumi che crea per l’alta società milanese non le nascondono le condizioni difficili in cui vertono i bambini e le donne coinvolti nel tessile. Infatti, dal 1893 partecipa alle molte battaglie e rivendicazioni che coinvolgono la nascente Lega femminile o Lega promotrice degli interessi femminili fondata a Milano nel 1881 da Anna Maria Mozzoni, con la quale Genoni partecipa al Congresso socialista di Zurigo nel 1893. La Lega raggruppa sarte
    e modiste e occupa un ruolo chiave nel collegare le lavoratrici dell’industria dell’abbigliamento e tessile con il movimento per l’emancipazione delle donne e la lotta per l’uguaglianza e il diritto all’istruzione.

    Al riguardo Anna Kulishoff scrive un importante documento intitolato Alle sarte di Corso Magenta (1898). L’appello fatto dalla Lega femminile evidenzia la consapevolezza delle condizioni del loro lavoro e quella dell’orgoglio della loro produzione artigianale: «Facciamo vedere che anche noi siamo vive, che abbiamo una coscienza, che la nostra dignità si ribella alla oppressione e alla noncuranza con cui siamo trattate. Da questa lotta trarremo energia e coraggio per assurgere a maggiori aspirazioni, le quali ci spingeranno alla ultima conquista: alla parità di diritto con l’altro sesso». Nonostante le buone intenzioni, risulta molto difficile organizzare le numerose sarte che allora lavoravano nei laboratori delle città, a causa dei profondi pregiudizi sociali nei loro confronti come donne operaie nel campo della moda. C’è infatti una discriminazione di genere verso il mestiere del sarto e della sarta.

    Benché entrambi siano organizzati in una lega e i loro diritti vengano rivendicati in una pubblicazione chiamata Il Sarto, permangono ambiguità di giudizio sulla professione se eseguita da un uomo o da una donna per lo più chiamata sartina e spesso accusata di non essere abbastanza impegnata politicamente e di essere priva di moralità. Nel frattempo apre a Milano la prestigiosa Casa di moda napoletana H. Haardt et Fils, ubicata in corso Vittorio Emanuele 28, con filiali a Sanremo, St. Moritz e Lucerna. È la sorella Ginetta a presentare Rosa ai titolari per una collaborazione legata alla camiceria. Inizia così una lunga esperienza che la vede presto première per la sartoria di Milano, che contava 200 dipendenti, in un palazzo di 5 piani, alla cui logistica partecipò la stessa Genoni.

    La sarta si reca una volta l’anno a Parigi per tenersi aggiornata sulle tendenze della moda e per l’acquisizione dei figurini. In questo periodo riviste come Margherita, La donna e altre presentavano un nuovo stile per le donne, anticipando quello che sarebbe diventato un classico per eccellenza, il tailleur: gonna, camicetta e giacca.

    Gradualmente gli abiti si stavano semplificando, eliminando tutti i vari strati di sottovesti e
    busti rigidi. Del resto queste tendenze erano presenti anche in altri Paesi e la moda rifletteva
    il nuovo ruolo delle donne in una società che andava trasformandosi e modernizzandosi. In
    tale contesto Genoni promuove attraverso sfilate, di cui si conservano gli inviti non solo i
    modelli di Casa Haardt, che riproducono su richiesta il gusto francese, ma anche una serie di
    modelli originali da lei creati per convincere le donne a seguire una nuova moda, quella che
    tra breve avrebbe proposto come moda italiana e bandiera del made in Italy.

    Rosa Genoni MilanoLab è un public program che si propone di accompagnare
    gratuitamente il pubblico nei luoghi identitari di Rosa Genoni che lei ha amato e frequentato,
    perché a Milano lei ha vissuto, lavorato, insegnato e partecipato ai circoli intellettuali.
    Mappando questi indirizzi, anagraficamente documentati, scopriremo che questa storia
    meravigliosa si svolge in luoghi tuttora vivi. Verranno organizzati incontri col pubblico, concerti,
    momenti teatralizzati. Un calendario di talk, eventi e tour guidati lungo tutto il 2024, a
    settant’anni dalla sua scomparsa. Parteciperanno tutti i protagonisti, giornalisti, comunicatori e il pubblico che vorrà seguirci in questa mostra diffusa contemporanea. Tutti gli appuntamenti sono gratuiti previa prenotazione su evicom@tiscali.it. Palinsesto online in costante aggiornamento sul sito www.profumodimilano.it

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      Grande Impero rinnova la Festa della Famiglia: il pane come simbolo di solidarietà, inclusione e futuro condiviso

      La Festa della Famiglia di Grande Impero diventa quest’anno anche un forte messaggio sociale. Accanto alla celebrazione della comunità aziendale, prende vita una campagna di raccolta di coperte e vestiario destinata ai più bisognosi, con il pane come simbolo di accoglienza e inclusione.

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        È tornata la Festa della Famiglia di Grande Impero, l’appuntamento annuale che celebra l’unità, la diversità e il calore umano di un’azienda che ha fatto della panificazione artigianale una storia collettiva. Un evento sentito, partecipato, che quest’anno assume un significato ancora più profondo, trasformandosi anche in un’occasione concreta di solidarietà.

        Accanto alla festa, Grande Impero ha infatti dato il via a una raccolta di coperte e vestiario destinata ai senzatetto, in vista dell’Epifania. Un’iniziativa che coinvolge tutti i laboratori dell’azienda e che culminerà il 6 gennaio, quando le coperte e i panini preparati con cura dai dipendenti verranno distribuiti ai più bisognosi grazie alla collaborazione con la Banca dei Talenti, gruppo di volontari inserito nel “Progetto Missionario” della Basilica del Sacro Cuore a Castro Pretorio, gestita dai salesiani.

        Un gesto concreto che scalda più del pane
        L’obiettivo è semplice e diretto: offrire un po’ di calore a chi vive ai margini della società. Non solo simboli, ma azioni reali, che partono dal lavoro quotidiano e si trasformano in sostegno concreto. Il pane, elemento centrale dell’identità di Grande Impero, diventa così veicolo di accoglienza, inclusione e vicinanza.

        “La Festa della Famiglia di Grande Impero è l’occasione per ricordare che il nostro successo non è solo il risultato del nostro lavoro quotidiano, ma della forza di una comunità che sa essere solidale”, ha spiegato Antonella Rizzato, Amministratore Delegato dell’azienda. “Il pane che prepariamo ogni giorno, con il sudore di mani che provengono da realtà diverse, è un simbolo di accoglienza e inclusione. Oggi, più che mai, vogliamo restituire qualcosa a chi è più vulnerabile”.

        Ventisei etnie, una sola comunità
        La giornata ha coinvolto tutte le 26 etnie che compongono la grande famiglia di Grande Impero, trasformandosi in un momento autentico di condivisione e scambio culturale. Giochi per i più piccoli, la presenza di Babbo Natale e attività pensate per tutti hanno reso l’evento un’occasione di festa vera, capace di parlare ai bambini ma anche agli adulti.

        Non solo intrattenimento, ma anche riflessione sul valore dei legami che uniscono l’azienda alle comunità locali e sull’importanza di una solidarietà che va oltre le parole.

        Responsabilità sociale come identità aziendale
        “Grande Impero non è solo un’azienda che si distingue per la qualità del suo pane – conclude Antonella Rizzato – ma una comunità che vive, cresce e si arricchisce grazie alla diversità e all’inclusività. La responsabilità sociale e culturale è parte della nostra missione e ci dà la forza per affrontare le sfide future”.

        Con la Festa della Famiglia, Grande Impero rinnova così il proprio impegno verso il territorio, dimostrando che la condivisione di valori e la solidarietà non sono un accessorio, ma il lievito essenziale per costruire un futuro migliore, insieme.

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          Nei salotti romani tra il 1870 e il 1914: l’eredità culturale di Ersilia Caetani Lovatelli e Giuseppe Primoli

          Dal 2 al 4 dicembre 2025 studiosi italiani e internazionali analizzeranno l’universo intellettuale e sociale creato da Ersilia Caetani Lovatelli e Giuseppe Primoli, protagonisti assoluti della Roma postunitaria e della sua raffinata civiltà salottiera.

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            Tra il 1870 e il 1914 Roma cambiava volto, adattandosi al peso simbolico della nuova capitale del Regno d’Italia e al ritmo frenetico delle trasformazioni politiche e culturali dell’Europa fin de siècle. In questo scenario complesso, due salotti divennero centri di gravità permanente: quello di Ersilia Caetani Lovatelli, archeologa, intellettuale e prima donna ammessa all’Accademia dei Lincei, e quello di Giuseppe Primoli, fotografo, collezionista e mediatore instancabile tra cultura italiana e cultura francese. Il convegno in programma dal 2 al 4 dicembre 2025 vuole ricostruire questo universo, restituendo un’immagine viva e concreta di un’epoca che continua a esercitare un fascino duraturo.

            Una Roma che cambia volto
            Il contesto postunitario era un laboratorio instabile: si discuteva di identità nazionale, di modernizzazione, di rapporti con l’Europa. Nei palazzi Caetani e Primoli, politici, letterati, archeologi, musicisti e scienziati si incontravano con una naturalezza che oggi sembrerebbe impensabile. Lì si formavano opinioni, si consolidavano reti di potere, si sperimentavano idee nuove sulla società e sulla cultura. Attraverso le fotografie di Primoli e gli scritti di Caetani Lovatelli quei mondi emergono ancora con nitidezza.

            Tra arte, scienza e mondanità
            Il convegno coinvolgerà storici, archeologi, musicologi e studiosi di letteratura, chiamati a restituire la complessità di quegli anni attraverso documenti d’archivio, carteggi, immagini e testimonianze d’epoca. I relatori si concentreranno non soltanto sulle dinamiche politiche e intellettuali che animavano i due salotti, ma anche sugli aspetti che definivano il loro stile: le conversazioni erudite accanto alla musica da camera, i balli, la moda, l’etichetta e quel linguaggio sottile fatto di gesti, ruoli sociali e codici condivisi.

            La civiltà salottiera ritrovata
            L’iniziativa, ospitata dalla Fondazione Camillo Caetani, dalla Fondazione Primoli e dall’École Française de Rome, mira a superare la visione dei salotti come semplici scenografie mondane. Erano spazi dinamici in cui cultura e società si specchiavano l’una nell’altra, teatri in cui si definivano identità, appartenenze, stili di vita e perfino orientamenti politici. Oggi, nel raccontarli, si tenta di ricostruire una “civiltà salottiera” ormai scomparsa, ma fondamentale per capire come Roma si sia raccontata e rappresentata nel passaggio fra Ottocento e Novecento.

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              Simone Di Matteo presenta “Gli Occhi e la Rosa”: la nuova sfida che fa ricorso al linguaggio dei sentimenti

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                Simone Di Matteo torna a scrivere. E lo fa con il linguaggio che più gli appartiene: quello della poesia. Dopo otto anni di assenza dalle librerie, l’autore, giornalista, direttore della testata “L’Opinione – Tempi Moderni”, opinionista e volto noto del panorama televisivo nostrano, ha annunciato sui suoi social l’uscita di “Gli Occhi e la Rosa”, edito da DrawUp nella collana XPecial.

                Conosciuto per la sua penna brillante e spesso irriverente, Di Matteo sorprende con un’opera che sceglie il silenzio e la delicatezza invece della provocazione. “Gli Occhi e la Rosa” è una fiaba moderna, costruita come un dialogo interiore tra un cuore giovane e quattro creature simboliche: un colibrì, un gatto, un bruco e un corvo. Attraverso questi incontri, l’autore accompagna il lettore in un viaggio emozionale che parla di amore, crescita e consapevolezza.

                Ho scritto questo libro per ricordare che la bellezza dei sentimenti è una forma di resistenza,” ha spiegato Di Matteo. “In un mondo che corre, fermarsi a sentire è diventato un atto rivoluzionario.” Il testo è arricchito dalla prefazione del poeta Bartolomeo (Theo) Di Giovanni, fondatore del movimento Una piuma per Alda Merini, dalla postfazione di Renato Ongania e da un intervento artistico di Paola Tratzi, in arte MySoul Art Colors, che dona al libro una dimensione visiva intensa e vibrante.

                Gli Occhi e la Rosa” non è solo un ritorno letterario: è un invito a rallentare, a ritrovare la semplicità dell’ascolto e a riscoprire la poesia come forma di rinascita personale. Un piccolo manifesto di sensibilità in tempi dominati dal rumore, che segna il ritorno di Simone Di Matteo nella sua dimensione più autentica.

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