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Cucina

Gulash: il simbolo della cucina ungherese tra storia, sapore e tradizione

Dalle praterie ungheresi alle tavole di tutto il mondo, il gulash unisce ingredienti semplici, sapori intensi e valori nutrizionali equilibrati in una ricetta perfetta per le stagioni più fredde.

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    Il gulash, o gulyás in ungherese, ha radici profonde nella cultura delle praterie magiare. Nato come piatto dei mandriani, che cuocevano carne e verdure in grandi calderoni sulle pianure ungheresi, il gulash si è evoluto nel tempo diventando un simbolo della cucina nazionale.

    Il termine gulyás deriva da “mandriano” e inizialmente indicava proprio i pastori che cucinavano questa zuppa sostanziosa durante i lunghi viaggi con il bestiame. Nei secoli XVIII e XIX, il piatto ha guadagnato popolarità nelle città, adattandosi alle cucine borghesi e trasformandosi nella versione che conosciamo oggi: una ricca combinazione di carne, spezie e verdure.

    Ingredienti principali
    Il gulash è caratterizzato da ingredienti semplici e rustici, facilmente reperibili, ma il segreto del suo sapore sta nella qualità e nella lentezza della cottura.

    • Carne: manzo o vitello, tagliato a cubetti. In alcune varianti regionali si utilizzano anche maiale o agnello.
    • Verdure: cipolle, patate, peperoni e, a volte, carote.
    • Paprika: spezia simbolo dell’Ungheria, fondamentale per il colore e il sapore del piatto.
    • Pomodori: freschi o concentrato, per una nota di acidità.
    • Spezie: cumino, aglio, pepe nero, sale e, in alcune versioni, alloro.
    • Brodo: di carne, per mantenere la preparazione succulenta.

    La ricetta tradizionale

    Ingredienti per 4 persone:

    • 600 g di carne di manzo (o vitello)
    • 2 cipolle grandi
    • 2 cucchiai di paprika dolce
    • 1 peperone rosso
    • 3 patate grandi
    • 2 carote (opzionali)
    • 2 pomodori maturi (o 2 cucchiai di concentrato di pomodoro)
    • 1 spicchio d’aglio
    • 1 cucchiaino di cumino
    • 500 ml di brodo di carne
    • 2 cucchiai di olio (o strutto, per la versione tradizionale)
    • Sale e pepe q.b.

    Preparazione:

    1. Soffritto e base: In una pentola capiente, scalda l’olio e aggiungi le cipolle tritate finemente. Fai rosolare a fuoco medio fino a doratura.
    2. Carne e spezie: Aggiungi i cubetti di carne e falli rosolare uniformemente. Unisci la paprika, il cumino e l’aglio tritato, mescolando bene per distribuire le spezie.
    3. Pomodoro e brodo: Versa i pomodori tagliati a dadini (o il concentrato) e il brodo di carne. Porta a ebollizione, quindi abbassa la fiamma e copri la pentola.
    4. Cottura lenta: Lascia cuocere a fuoco lento per circa 1 ora e 30 minuti, aggiungendo altro brodo se necessario.
    5. Verdure: Aggiungi le patate e il peperone tagliati a pezzi (e le carote, se le usi). Cuoci per altri 30 minuti, fino a quando le verdure sono tenere e la carne si scioglie in bocca.
    6. Servizio: Servi caldo, accompagnato da pane rustico o, nella versione più moderna, da gnocchetti di farina (nokedli).

    Valori nutrizionali (per porzione):

    • Calorie: circa 400 kcal
    • Proteine: 30 g
    • Grassi: 15 g
    • Carboidrati: 35 g
    • Fibre: 4 g

    Il gulash è un piatto nutrizionalmente bilanciato, ricco di proteine e carboidrati complessi. La paprika fornisce antiossidanti, mentre le verdure aggiungono fibre e vitamine.

    Un piatto che scalda l’anima
    Il gulash non è solo un simbolo della cucina ungherese, ma un vero e proprio comfort food. Perfetto per le giornate fredde, richiama i sapori autentici della tradizione. Prova a prepararlo in casa e lasciati conquistare dalla sua semplicità rustica e dal gusto avvolgente.

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      Cucina

      Grigliata di Ferragosto, i segreti del “re della carne” Dario Cecchini: come scegliere i tagli e non sbagliare

      Dario Cecchini, volto iconico della macelleria italiana e protagonista della serie Netflix Chef’s Table, racconta a Cook la sua filosofia: qualità prima di tutto, niente sprechi, attenzione alle cotture lente e ai tagli meno conosciuti. Ecco come arrivare al Ferragosto con il fuoco giusto e la carne perfetta.

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        A Ferragosto il profumo della brace è un richiamo primordiale. Giardini, cortili, spiagge: ovunque il crepitio del fuoco annuncia la festa. Ma per trasformare una grigliata in un rito di piacere collettivo serve più di qualche bistecca buttata alla rinfusa. Serve conoscenza, rispetto per la materia prima e un’idea precisa di cosa mettere sulla griglia. Lo sa bene Dario Cecchini, il “re della carne” di Panzano in Chianti, macellaio da mezzo secolo, oggi anche ristoratore in Franciacorta e volto internazionale grazie a Chef’s Table.

        Intervistato da Cook, Cecchini parte da un concetto semplice: la quantità. «Calcolate 300-400 grammi di carne a persona — dice —. Per appetiti davvero robusti anche mezzo chilo, ma è una misura da toscani». La vera astuzia, però, è bilanciare: accanto a costate e salsicce, insalate, bruschette e antipasti preparati in anticipo alleggeriscono il pasto e permettono di assaporare tutto senza eccessi.

        Poi c’è il cuore della grigliata: il fuoco. Per Cecchini il primo acquisto non è la carne, ma legna e carbone di qualità, rigorosamente vegetali e privi di additivi chimici. «Dal fuoco dipende la riuscita. Se non trovate buona legna, usate carbone, ma che sia pulito», raccomanda.

        Sul fronte delle carni, Cecchini mette subito in chiaro la sua filosofia: «Essere carnivori è una responsabilità. Scelgo solo animali adulti, cresciuti bene. Il vitello giovane, oltre a non avere avuto una vita dignitosa, ha una carne troppo tenera e poco saporita». E allora via libera a manzo di qualità, con tagli che vanno dalla costata alla fiorentina — Chianina se possibile — passando per filetto, controfiletto, scamone, codone e pezza. Con un consiglio tecnico: cuocere il filetto intero, così da preservarne la morbidezza delle fibre.

        Ma il macellaio toscano invita anche a uscire dalla comfort zone. «Non esistono solo i tagli nobili. Il diaframma, il ragno, la parte alta della pancia: cotti con pazienza, regalano sapori sorprendenti». Tagli poveri, certo, ma capaci di conquistare se rispettati. «La carne è sacra. Nulla deve essere sprecato».

        E se il manzo resta protagonista, il maiale ha capitoli da prima fila. Oltre alle classiche costine e braciole, Cecchini mette sul podio la scamerita: coppa fresca di maiale, tagliata a fette spesse e profumata di fiori di finocchio selvatico, come vuole la tradizione toscana. Per chi ama le carni bianche, impossibile non citare il pollo: alette e fusi da cuocere lentamente su fuoco indiretto, con una finitura di limone, pepe e erbe aromatiche.

        Alla fine, il Ferragosto secondo Dario Cecchini è un equilibrio di sapori, tempi e scelte consapevoli. «Non serve strafare. Serve rispettare il fuoco, l’animale e il momento di condivisione. Il resto… è solo questione di cuore e brace».

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          Cucina

          Parmigiana leggera un corno: anche d’estate la melanzana si tuffa nel pomodoro e gode come sempre

          Dalla versione classica e bollente a quella fredda con stracciatella e basilico, la parmigiana d’estate resta la regina dei piatti italiani. Fritta, grigliata, scomposta o alla napoletana: ogni casa ha la sua liturgia, e guai a toccarla.

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            C’è un momento preciso in cui la parmigiana smette di essere solo un piatto e diventa una posizione esistenziale: è quando fuori ci sono 32 gradi, il ventilatore tossisce, il forno arroventa l’aria e tu, con un gesto da martire del gusto, scegli di prepararla lo stesso. Perché la parmigiana d’estate non è più una semplice pietanza: è un atto di fede. O meglio, di gola.

            Melanzane, pomodoro, mozzarella, basilico. E sopra tutto, un profumo che sa di Sud, di domeniche lunghe, di madri e nonne che “oggi solo due forchettate” e intanto ti affogano l’anima nel ragù. Ma con l’arrivo del caldo, anche lei, la regina, si reinventa. E si divide in almeno cinque correnti di pensiero.

            1. La classica (o integralista): fritta, afosa, irresistibile

            La melanzana si frigge. Punto. Al forno sì, ma solo dopo. Niente cotture light, niente rivisitazioni: qui si frigge in olio bollente, si stratifica con sugo e mozzarella e si inforna fino a quando il bordo non caramella. È pesante, è rovente, è uno schiaffo al fegato e un abbraccio al cuore. Si mangia tiepida, o il giorno dopo, da sola o col pane. E se non si unge il piatto, non è parmigiana.

            2. La grigliata (per chi ci crede ancora)

            Versione estiva, più gentile ma non meno dignitosa. Le melanzane si affettano sottili e si grigliano, una a una, come in una Via Crucis gastronomica. Poi si compongono a strati con mozzarella (meglio fiordilatte, ben scolato) e sugo fresco di pomodoro appena saltato con aglio e basilico. Si può evitare il forno: basta lasciarla riposare in frigo e mangiarla fredda. Funziona. Ma guai a chiamarla parmigiana davanti a una nonna del Sud.

            3. La scomposta (figlia di MasterChef)

            Melanzane a cubetti saltate in padella, quenelle di ricotta o stracciatella, pomodorini confit, gocce di pesto, crumble di pane. Esteticamente perfetta, ma a rischio bestemmia. È buona, sia chiaro. Ma è un’altra cosa. Come il gelato al basilico: interessante, ma non chiamiamolo basilico.

            4. La napoletana (con l’uovo dentro, e chi si azzarda a dire niente)

            A Napoli la parmigiana ha le uova sbattute tra gli strati. Non sempre, ma spesso. E c’è chi aggiunge anche il salame. In pratica, una bomba calorica che però ha senso anche d’estate. Soprattutto se la mangi fredda, come si fa il giorno dopo, tagliata a quadrotti, con la crosticina che scricchiola sotto i denti e il pomodoro che ha avuto il tempo di sposarsi con tutto. Matrimonio perfetto.

            5. La light (o “salutista da terrazza”)

            Melanzane cotte al vapore (già qui qualcuno storce il naso), pomodorini crudi, fiocchi di latte o yogurt greco, basilico e un filo d’olio. Freschissima, veloce, ottima per chi vuole restare in forma. Ma diciamocelo: è un’altra cosa. Una bellissima insalata di melanzane, ma non una parmigiana. Lei, la vera, la riconosci perché ti chiede un sorso di vino rosso, una fetta di pane e mezz’ora di riposo sul divano dopo averla mangiata.


            Il trucco della nonna: mai usare mozzarella troppo fresca. Va lasciata a sgocciolare in frigo per almeno tre ore. O vi ritroverete un lago al centro della teglia. E se proprio volete una parmigiana perfetta, fatela riposare. Come la vendetta, è un piatto che dà il meglio di sé freddo o tiepido. O, meglio ancora, il giorno dopo.

            E allora sì, anche con 35 gradi all’ombra, mentre l’insalata vi fissa dal piatto di fianco, voi affondate la forchetta nella parmigiana e capite che certe passioni, d’estate, non si spengono. Anzi, si sciolgono. Con la mozzarella.

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              Grigliatori seriali: storie vere di uomini e barbecue al limite della legalità

              C’è il carbonizzatore compulsivo, il talebano delle marinature, l’hipster del carbone bio e il filosofo della griglia. L’estate li scatena tutti: armati di carne, birra e superiorità morale. Viaggio semiserio tra i fanatici del barbecue da giardino.

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                A Ferragosto non è una semplice grigliata. È una guerra di ego, fumo e salsicce. In ogni quartiere, condominio o casa vacanze, appena arriva l’estate, si risveglia l’istinto tribale del grigliatore seriale. E no, non parliamo solo di cucina: parliamo di maschi alfa in bermuda e sandali che si trasformano in sciamani del barbecue.

                Il più pericoloso è il carbonizzatore compulsivo: quello che ti promette “cottura perfetta” e poi serve pollo che potresti usare per incidere la pietra. Quando gli fai notare che il wurstel ha preso fuoco, risponde “Così è più saporito”.

                Poi c’è il maniaco delle marinature, che inizia a preparare tutto due settimane prima, usa sette tipi di spezie sconosciute e ti vieta di toccare la carne perché “non si gira prima dei quattro minuti e trentadue secondi per lato”. Se osi chiedere il ketchup, ti guarda come se avessi bestemmiato in latino.

                Il più snob? Il bio-grigliatore esteta, che compra solo carbone attivato da quercia del Madagascar, usa griglie in acciaio chirurgico e serve tofu affumicato su ardesia. Sostiene che la carne sia una violenza ma ti punta comunque la pinza contro se non apprezzi il suo burger di ceci e miso.

                Infine c’è lui, il filosofo della griglia: griglia poco, parla tanto. Ti racconta la storia del barbecue dalle caverne a oggi, ti spiega la simbologia del fumo e poi ti serve un’arista cruda, perché “è il simbolo dell’incompletezza dell’uomo moderno”.

                E intanto le mogli, le fidanzate, i figli e i poveri invitati mangiano patatine e pregano che almeno l’anguria sia commestibile. Perché il vero rito del barbecue non è mangiare bene: è vedere un uomo (o una donna, ma più raramente) sentirsi onnipotente davanti a una griglia rovente e a una birra calda.

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