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Cinema

Ma come se la tira Scamarcio: già a 18 anni parlava solo di se stesso

L’attore ha sempre avuto una forte personalità… e a 18 anni lo dimostrava già in modo evidente. Ospite a Da noi… a ruota libera su Rai1, l’attore ha raccontato un aneddoto esilarante: «Scrissi un monologo parlando solo di me. Ero già egocentrico». Un momento di autoironia che ha strappato un sorriso al pubblico, ma che mostra anche la determinazione e la sicurezza di un giovane che sognava il cinema.

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    Scamarcio su Rai1 ha svelato un episodio curioso legato al film John Wick. Quando seppe dell’opportunità di entrare nel cast, girò un self-tape in un contesto decisamente insolito: «Ero impegnato a produrre olio d’oliva e ho registrato il video tra un passaggio e l’altro, scherzando sulla possibilità di inviare una bottiglia se mi avessero preso». Un’audizione sui generis che ha funzionato: alla fine è entrato nel cast!

    Al pacino e la sfida del ciak senza pausa

    Ma non solo momenti divertenti. Scamarcio ha ricordato anche esperienze intense, come la collaborazione con Al Pacino: «Abbiamo girato una scena di 21 minuti senza pause, come in teatro. Una sfida enorme, ma anche un’esperienza formativa incredibile». Un racconto che sottolinea la sua crescita artistica e il confronto con leggende del cinema mondiale.

    Johnny Depp: talento e umiltà

    Non poteva mancare un pensiero per Johnny Depp, con cui ha avuto recentemnete il piacere di lavorare. «È semplice, appassionato e sempre attento agli altri», ha detto, elogiando l’approccio umano e professionale della star di Hollywood. Un contrasto evidente con il suo stesso racconto da giovane artista egocentrico, segno di un percorso di maturazione.

    Da giovane egocentrico a star internazionale

    Oggi Riccardo Scamarcio è uno degli attori italiani più apprezzati, capace di spaziare tra cinema italiano e produzioni hollywoodiane. Il ragazzo che scriveva monologhi su se stesso ha trovato la sua strada, imparando anche il valore dell’ascolto e del confronto con gli altri grandi del cinema. E, a quanto pare, con un pizzico di olio d’oliva come portafortuna!

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      Cinema

      Emma Stone a Venezia 2025: «Credo negli alieni. Anzi, forse io stessa lo sono».

      In concorso a Venezia arriva Bugonia, commedia sci-fi folle con Jesse Plemons e Aidan Delbis. Emma Stone racconta il taglio di capelli, gli allenamenti per le scene di lotta e la difficoltà di essere divi: «Abbiamo un avatar pubblico e poi la persona vera».

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        «Credo negli alieni. Anzi, forse io stessa sono aliena». Emma Stone, tubino nero smanicato, ha scelto la Mostra del Cinema di Venezia per la sua battuta più virale. L’occasione è la presentazione di Bugonia di Yorgos Lanthimos, in concorso al festival. Una commedia sci-fi brillante e surreale, remake del cult sudcoreano Save the Green Planet! (2003) di Jang Joon-hwan.

        Il film mette in scena Teddy e Don, due nerd ossessionati dalle teorie del complotto, interpretati da Jesse Plemons e Aidan Delbis. Convinti che la potente Ceo di una multinazionale farmaceutica (Stone) sia un’aliena pronta a distruggere la Terra, decidono di rapirla e rasarla a zero. Tra colpi di scena e ironia dark, la pellicola riflette su ossessioni contemporanee, fake news e catastrofi ambientali.

        Per Stone si tratta della quarta collaborazione con Lanthimos, dopo The Favourite, Poor Things e Kinds of Kindness. «Lavorare con lui mi dà l’opportunità di esprimermi sempre in maniera diversa. Il fatto che si accompagni sempre alle stesse persone ha creato tra noi una famiglia», ha spiegato.

        Non è mancato il riferimento al tema della celebrità, che attraversa anche il concorso veneziano con Jay Kelly di Noah Baumbach e George Clooney: «È difficile parlare di questo. Abbiamo un avatar pubblico per certe cose, e poi c’è la persona vera quando sono con i miei amici». Una confessione che riecheggia il sottotesto del film, sospeso tra maschere e identità.

        L’attrice è tornata anche sul discusso taglio di capelli durante le riprese: «È stato difficile accettarlo, ma poi mi sono adattata». E sulle scene d’azione: «Per i combattimenti con Jesse Plemons mi sono allenata molto, anche se abbiamo usato diversi stuntmen».

        Dal canto suo, Lanthimos ha spiegato che Bugonia non è un film distopico: «Riflette il mondo reale, quello che succede adesso. Racconta cose che non vediamo o non vogliamo vedere, come il cambiamento climatico che sta rovinando tutto». Il regista ha anche rifiutato la distinzione tra cinema indie e grandi studios: «Non ho mai amato categorizzare. Bisogna uscire dai pregiudizi».

        Plemons, da sempre parco nelle parole, ha descritto il suo Teddy come «un’anima in pena che cerca con tutte le forze di aiutare gli altri, la sente come la sua unica mission». Un personaggio fragile e disturbante, capace di spiazzare lo spettatore. «Certo, per alcuni il film può essere disturbante – ha detto l’attore – ma esiste in tutti noi un istinto a evitare ciò che ci minaccia, anche se sappiamo che esiste».

        Curiosità finale: il titolo Bugonia viene dal greco antico e significa “nascita del bue”. Si riferisce a un mito secondo cui dalle carcasse dei buoi morti nascevano le api, un equivoco simile alla teoria della generazione spontanea. Perfetto per un film che vive di ossessioni, equivoci e paure contemporanee.

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          Cinema

          Da bar vivere all’Oscar: il viaggio sorprendente di Matthew McConaughey

          Da studente a Hollywood star grazie a un episodio al bar, fino a una riscoperta interiore tra deserto, diario e consapevolezza: McConaughey racconta nel suo memoir Greenlights cosa significa vivere davvero.

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          Matthew McConaughey

            Tutto è iniziato in un bar di Austin. Matthew McConaughey, appena ventitreenne e studente, incontra per caso il casting director Don Phillips. Una conversazione – e forse qualche drink di troppo – lo porta a ottenere un provino per Dazed and Confused, il film di Richard Linklater. Nonostante Linklater fosse titubante, ritenendo McConaughey «troppo bello» per il ruolo, l’attore impressionò il regista trasformandosi in Wooderson con naturalezza, aggiungendo battute e carisma al personaggio. Quel ruolo, nato in modo casuale, segna l’inizio della sua carriera e la consacrazione come astro nascente di Hollywood.

            Negli anni successivi, McConaughey alterna commedie romantiche a ruoli drammatici, trovandosi spesso ostacolato dal suo stesso successo di bellezza. Ma negli anni ’10 del nuovo millennio arriva la svolta: performance intense nei film Killer Joe (William Friedkin), Mud (Jeff Nichols) e la partecipazione a The Wolf of Wall Street rappresentano una rinascita artistica, prima dell’exploit definitivo in Dallas Buyers Club, che gli frutta l’Oscar come miglior attore protagonista.

            A quel punto il suo percorso si arricchisce di tappe inedite: la serie True Detective e il colossal Interstellar con Christopher Nolan ampliano ulteriormente la sua portata e dimostrano la sua versatilità.

            Il racconto di questo straordinario percorso trova forma nel suo memoir Greenlights (2020), scritto durante un’esperienza radicale: 52 giorni in solitaria nel deserto, senza elettricità, con l’unica compagnia dei suoi diari, iniziati all’età di 14 anni. Il libro raccoglie aneddoti, poesie, riflessioni e “preghiere”, e riflette sulla capacità di riconoscere i “semafori verdi” della vita, anche tra quelli rossi o gialli.

            Tra le pagine emergono aforismi come: “Tutti abbiamo cicatrici… meglio ballare con il tempo che combatte­lo” e “Meglio perdere soldi divertendosi che guadagnarli annoiandosi”. Non mancano esperienze inaspettate, come un incontro in videochiamata con lo yogi indiano Sadhguru, che sottolineano la natura esplorativa del libro.

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              Cinema

              Emma Heming Willis rivela: la decisione più dura per Bruce con demenza

              In un’intervista rilasciata a Diane Sawyer, Emma Heming Willis racconta il doloroso adattamento alla diagnosi di demenza frontotemporale del marito, tra separazioni necessarie, piccoli momenti di connessione e un cammino condiviso di cura e amore.

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              Emma Heming Willis

                «La mia decisione più difficile»: così Emma Heming Willis definisce lo spostamento del marito, l’attore Bruce Willis, in una seconda abitazione adeguata alle sue esigenze. La scelta è stata resa necessaria dalla diagnosi di demenza frontotemporale (FTD), che nel 2023 ha sostituito quella precedente di afasia, innescando un progressivo declino del linguaggio e della personalità.
                Secondo il racconto di Emma durante lo speciale ABC Emma & Bruce Willis: The Unexpected Journey, il trasferimento è stato inevitabile: «Bruce avrebbe voluto questo per le nostre figlie. Vorrebbe che vivessero in una casa adatta a loro, non ai suoi bisogni».

                Ora Bruce vive in una casa a un piano, affidato a un team di assistenza attivo 24 ore su 24. Un ambiente pensato per garantire sicurezza, comfort e un clima sereno, grazie anche alla vicinanza della famiglia. Emma e le due giovani figlie, Mabel (13) ed Evelyn (11), trascorrono con lui momenti condivisi: «Ci ritroviamo a fare colazione insieme o guardare un film… si tratta solo di esserci e ricreare quella connessione».

                Emma racconta anche della difficoltà di apprendere la diagnosi: «Ero in preda al panico, non riuscivo nemmeno a pronunciare il nome della malattia… era come cadere nel vuoto». Tuttavia, mentre il fisico di Bruce resta solido, la sua capacità di comunicare si affievolisce: «Il suo cervello lo sta tradendo — dice Emma — il linguaggio sta andando via, ma abbiamo imparato nuovi modi di comunicare». Nonostante tutto, piccoli lampi della sua personalità emergono: «Il suo sorriso… quel guizzo negli occhi… e poi sparisce».

                Emma ha reso pubblico il suo percorso di caregiving anche attraverso un libro intitolato The Unexpected Journey: Finding Strength, Hope and Yourself on the Caregiving Path, in uscita il 9 settembre, rivolto a chi vive esperienze simili.

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