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Mago Forest: “Vogliamo essere scorretti, anche la Gialappa mi cazzia. Ma l’ironia ti salva la vita”

Il conduttore racconta la nuova stagione di Gialappa Show, il mestiere del comico e quel momento in cui nemmeno una battuta può bastare: “Quando serve, piango”

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    Dal palco di “Gialappa Show” alle parole di Papa Francesco, Michele Foresta, meglio noto come Mago Forest, sa bene che far ridere non è solo un mestiere, ma una vocazione. E oggi, mentre si prepara al debutto della quinta stagione dello show cult della Gialappa’s Band, non si tira indietro nel raccontare al quotidiano “Repubblica” quanto l’ironia sia ancora la sua bussola. Un’ironia che, confessa, non può prescindere da un pizzico di scorrettezza: “Di tutto questo politicamente corretto ne ha le palle piene anche chi è intervistato. Qualcosa di greve bisogna dirla. Tanto, alla fine, lo scemo sono io e la Gialappa mi cazzia”.

    Dopo quasi 25 anni di sodalizio artistico con Giorgio Gherarducci e Marco Santin, il Mago è ancora lì, saldo al timone di una trasmissione che ha fatto scuola: “Abbiamo fatto tutti i ‘Mai dire’ possibili, non pensavo che avremmo lavorato ancora insieme. I due mi organizzavano cene-trappola, puntavano sulla nostalgia. Alla fine mi hanno convinto e li ho ringraziati: far ridere oggi è una grande sfida, prima c’era il Covid, poi le guerre… e poi arriva Trump con la sua allegria”.

    Nel nuovo “Gialappa Show”, Mago Forest è l’unico uomo fisso sul palco, affiancato ogni settimana da una conduttrice diversa (e anche da Valentino Rossi, nelle passate edizioni). Un gioco di ruoli e di battute dove lui si concede il lusso di superare qualche linea rossa: “Il nostro intento è essere dissacranti, leggeri e a volte scorretti. Ma con intelligenza”.

    Nonostante il ruolo da capo-comico, che porta in scena un’ironia pungente e spesso sopra le righe, Forest non perde mai di vista l’importanza del contesto e il rispetto per alcuni temi: “Per un comico il contesto è tutto. Ma ci sono argomenti che non toccherei: difetti fisici, dolori personali, malattie”.

    E mentre la carriera televisiva continua a regalargli soddisfazioni, Foresta non dimentica gli esordi tra le radio libere della Sicilia degli anni Settanta: “A scuola facevo ridere i miei compagni. I professori mi dissero: ‘Invece di fare lo scemo in classe, vai a farlo alla radio’. Così nacque il mago che non dava speranze”.

    Eppure, anche chi di mestiere fa ridere sa che l’ironia ha dei limiti. “Quando arriva il momento di vedersela con te stesso non mi ha aiutato – ammette – se c’era da piangere, ho pianto. Però la leggerezza ti fa vedere meglio le cose. E ti fa capire quando sei nel posto giusto: ovunque siate, se state ridendo, siete nel posto giusto”.

    Una filosofia che ha trovato conferma anche grazie a Papa Francesco, che lo scorso giugno ha ricevuto Forest insieme ad altri cento comici. “Ci ha detto che l’uomo non è solo sapiens, ma anche ludens: bisogna coltivare il dono del sorriso. Ci ha anche confidato di pregare ogni giorno San Tommaso Moro chiedendo di avere il senso dell’umorismo”.

    Un inno alla leggerezza e alla capacità di non prendersi troppo sul serio, anche quando il mondo sembra remare contro. Perché sì, come ripete il Mago Forest: “Vogliamo essere scorretti, ma sempre con il sorriso”.

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      Televisione

      Sanremo, ultimatum Rai: o il Comune abbassa le pretese o il Festival trasloca a Torino (con rischio flop pubblicitario)

      Il cda di Viale Mazzini è spaccato, il Comune di Sanremo non molla sulle richieste economiche e il rischio di perdere il marchio storico preoccupa anche gli inserzionisti: un “piano B” fuori dalla Riviera potrebbe ridurre appeal e incassi.

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        Sanremo, capitale della canzone italiana, rischia di perdere il suo Festival. Nelle ultime ore, la tensione tra il Comune e la Rai è salita alle stelle. Sul tavolo, una trattativa complicata e logorante per l’edizione 2026, con l’ultimatum di Viale Mazzini che scadrà la prossima settimana. Se non si troverà un accordo, il Festival della Canzone Italiana è pronto a fare le valigie. E la destinazione più probabile, ormai non è più un mistero, si chiama Torino: città già collaudata con l’Eurovision Song Contest, con infrastrutture moderne e studi televisivi pronti a ospitare la macchina più complessa della tv italiana.

        Dietro le quinte, la partita è politica, economica e di immagine. Ieri sera l’amministratore delegato della Rai, Giampaolo Rossi, ha aggiornato il cda spiegando lo stato della trattativa con il Comune ligure. La fotografia è impietosa: richiesta economica giudicata “elevata” da Viale Mazzini, cda spaccato, consiglieri che contestano persino la decisione di partecipare al bando pubblico indetto da Sanremo. «Se si partecipa – mormorano alcuni – si accettano le condizioni». E quelle condizioni, oggi, sono considerate indigeste.

        L’errore, secondo i falchi interni, è stato proprio quello di cedere alla paura che qualche altro competitor – magari un gruppo privato – si presentasse al bando. Ma il risultato è stato l’opposto di quello sperato: la procedura ha irrigidito il Comune e complicato i margini di trattativa. Da Palazzo Bellevue trapela fastidio: «Avete partecipato, ora rispettate le regole», è il sottotesto che filtra dalle stanze del sindaco Alessandro Mager.

        Per Mager, perdere il Festival non sarebbe solo uno smacco politico: significherebbe scatenare la furia di albergatori, commercianti e affittuari, già in allarme per un possibile trasloco. Un colpo diretto a quell’indotto che, in una settimana di Festival, fa girare milioni tra hotel, ristoranti e case vacanza. Eppure, anche per la Rai, l’ipotesi di un addio alla città dei fiori rischia di trasformarsi in un autogol di proporzioni storiche.

        Il brand “Sanremo” non è solo una location: è il cuore dell’evento. Traslocare a Torino – per quanto logisticamente efficiente – significherebbe rompere un legame che dura da oltre settant’anni. E, soprattutto, lanciare un messaggio rischioso agli inserzionisti. L’ombra che aleggia nei corridoi di Viale Mazzini è chiara: un “piano B” potrebbe essere percepito come un ridimensionamento del Festival, con un impatto diretto sulle vendite pubblicitarie. E i numeri in ballo non sono uno scherzo: 67 milioni di euro di ricavi lo scorso anno, record assoluto.

        Gli sponsor comprano Sanremo per quello che rappresenta, non solo per i milioni di spettatori. Cambiare città potrebbe spostare equilibri, ridurre la magia e, di conseguenza, lo spazio percepito per i messaggi commerciali. Ed è proprio su questa incognita che il cda Rai si divide: meglio cedere alle richieste del Comune, pur salate, o rischiare di scalfire il mito pur di risparmiare quei 3,5 milioni di differenza tra bando, percentuale su pubblicità ed eventi collaterali?

        Il paradosso è tutto qui: la Rai cerca di tagliare i costi rispetto alle edizioni precedenti, mentre il Comune di Sanremo, forte della sua unicità, rilancia sulle cifre e non arretra. Nel frattempo, si ragiona già sul cronoprogramma: ultimatum in scadenza, ipotesi Torino pronta, ma la sensazione è che la resa dei conti si giocherà tutta nella prossima settimana.

        Nella città dei fiori, intanto, cresce la tensione politica. Se la trattativa saltasse, per il sindaco Mager la poltrona vacillerebbe. E mentre gli hotel temono cancellazioni e i commercianti vedono sfumare l’oro di febbraio, a Roma il cda Rai prepara il piano d’emergenza. Il messaggio che filtra è chiaro: o Sanremo si piega, o Sanremo si perde.

        La verità, però, è che per entrambe le parti la posta in gioco è altissima. Il Festival è molto più di uno show: è un generatore di immagine, economia e identità nazionale. Perderlo o spostarlo significherebbe cambiare la storia della tv italiana. E a oggi, la certezza è una sola: sul futuro del palco più famoso d’Italia, la musica è tutt’altro che scritta.

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          Televisione

          Mariotto 2 – La vendetta, Selvaggia come Benjamin Button e Chiquito: Ballando riparte a suon di glitter

          Annunciati i giudici, i tribuni e i ballerini della nuova edizione di “Ballando con le stelle”. I concorrenti restano avvolti nel mistero, ma il clima da villaggio-vacanze della Rai è già partito. Spoiler: si balla come sempre. E si litiga anche.

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            Che cos’hanno in comune un albergo di provincia, un reality show e una biciclettata d’estate? Apparentemente niente. Ma se ti chiami Milly Carlucci, riesci a metterci dentro anche una gara di ballo in prima serata. Ecco servito il cocktail 2025 di “Ballando con le stelle”, che spegne venti candeline e, come dice Selvaggia Lucarelli, «anziché invecchiare, ringiovanisce». La metafora di Benjamin Button è servita. E non è l’unica frase a metà tra filosofia da spiaggia e spot vintage con cui lo storico cast del programma ha celebrato l’annuncio ufficiale della giuria e del corpo di ballo per la prossima stagione.

            Ma andiamo con ordine. La vera domanda che aleggiava da mesi era una soltanto: torna o non torna Mariotto? La risposta è arrivata in un video tra il surreale e l’autoironico: «Ci sarà Mariotto 2 – la vendetta», proclama lo stilista con quella faccia tra il santo laico e il giudice della ghigliottina. Insomma, è confermato. Dopo le scosse telluriche della scorsa edizione, lo stilista rimane al suo posto, pronto a distribuire voti a caso e sentenze irrevocabili, nel solito mix tra folclore e provocazione.

            Con lui, tutti gli altri immarcescibili: Carolyn Smith, che si lancia in un’apologia del ballo come medicina dell’anima; Fabio Canino, che paragona “Ballando” a una vacanza in cui torni sempre nello stesso hotel (probabilmente con la stessa valigia del 2005); Ivan Zazzaroni, che annuncia con orgoglio di essere diventato “maturo” – diciotto anni in giuria, come un diciottenne del liceo che finalmente può votare, ma lo farà “diversamente”. Che cosa voglia dire esattamente, non è dato saperlo, ma tanto a settembre ci sarà tempo per spiegarlo.

            E poi lei, Selvaggia Lucarelli, sempre più a suo agio nel ruolo di voce fuori dal coro, eppure ormai perfettamente integrata nel coro stesso. Una specie di punk-rock vestita da gala che ogni anno promette di essere più feroce e ogni anno finisce per commuoversi davanti alla storia strappacuore del concorrente di turno.

            I Tribuni del popolo? Tutti confermati. Rossella Erra lancia cuori nell’aria come se fosse Carnevale di Viareggio, mentre Sara Di Vaira e Simone Di Pasquale continuano a fare da contraltare alla giuria ufficiale, garantendo quel tocco da assemblea scolastica che da qualche stagione fa da sfondo alle esibizioni.

            E ora passiamo ai ballerini-coach, perché il cuore pulsante del programma resta lì, tra un pasodoble e una rumba sudata. Riconfermati tutti i nomi storici, da Alessandra Tripoli a Giovanni Pernice, da Giada Lini a Pasquale La Rocca, con i soliti volti amati (o odiati) dai fan più accaniti. Ma attenzione: c’è una new entry, e non è un nome qualsiasi. Si chiama Chiquito, ma all’anagrafe è Yovanny De Jesus Moreta. Lo abbiamo visto trionfare a maggio nella finale di “Sognando… Ballando con le stelle” (sì, esiste davvero), e ora sbarca ufficialmente tra i professionisti del programma. Sarà lui a portare una ventata di novità, o finirà fagocitato nel turbine delle polemiche tra giurati? Lo scopriremo solo ballando.

            Per quanto riguarda i concorrenti, invece, tutto tace. O meglio: tutto mormora. Voci, spifferi, liste false e nomi improbabili che girano da settimane. Per ora, però, Milly Carlucci resta muta come un pesce. Forse li svelerà con una diretta da un ghiacciaio. O da un deserto. O a cavallo. Tutto è possibile. Di sicuro, ci sarà l’immancabile equilibro tra l’ex sportivo in cerca di riscatto, la conduttrice in declino, il comico che scopre la grazia e l’influencer che piange in ogni sala prove.

            Insomma, “Ballando con le stelle” è pronto a ripartire, identico a se stesso eppure ogni volta nuovo. Come il bagno preferito d’estate, per dirla con Canino. Solo che invece della crema solare, qui si spalma glitter. E al posto dei gavettoni, volano frecciate. Ma alla fine, tra una pedalata di Paolo Belli e una polemica sulle coreografie, il format tiene. Eccome se tiene.

            Vent’anni dopo, il programma non solo non invecchia, ma si è fatto lifting emotivo e stiratura narrativa. E ogni volta ci ricaschiamo. Tutti. Anche quelli che dicono: «Ma ancora con ‘sta roba?». Sì, ancora. E finché ci sarà qualcuno disposto a emozionarsi davanti a un cha-cha improvvisato con la faccia di bronzo, “Ballando” sarà lì. Con Mariotto 2 – la vendetta, e Milly che resiste a ogni logica spazio-temporale.

            Perché in un mondo che cambia, una cosa resta immobile: il sabato sera di Rai 1. Con la musica a palla. E lustrini per tutti.

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              Televisione

              Gabriele Corsi chiarisce l’addio a Domenica In: “Nessun litigio, è cambiato il progetto”

              Il conduttore rompe il silenzio dopo la rinuncia alla co-conduzione con Mara Venier: “I soldi non c’entrano, era una questione di coerenza”. Nel frattempo si fanno insistenti le voci su un possibile futuro a Reazione a Catena, ma nulla è ancora ufficiale

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              Gabriele Corsi

                Dopo giorni di indiscrezioni, Gabriele Corsi ha deciso di parlare apertamente. Il conduttore, volto noto del piccolo schermo e già protagonista del PrimaFestival e di vari format di successo, ha rilasciato una nota per chiarire le motivazioni dietro la sua uscita dal progetto Domenica In, dove avrebbe dovuto affiancare Mara Venier nella stagione 2025-2026, la cinquantesima del programma.

                L’annuncio della sua partecipazione era arrivato tra grande entusiasmo, proprio mentre Mara Venier – storica padrona di casa – annunciava l’intenzione di alleggerire i propri impegni a causa di questioni familiari. L’idea, appoggiata dalla Rai, era quella di una conduzione più corale, dove Venier sarebbe rimasta come figura centrale affiancata da altri professionisti, tra cui proprio Corsi e, inizialmente, anche Nek, poi defilatosi.

                Ma a sorpresa, pochi giorni fa, la Rai ha comunicato ufficialmente che Corsi non farà parte del cast di Domenica In, parlando di una separazione consensuale per “sopraggiunta incompatibilità con altri progetti già in essere”. La notizia ha riacceso le speculazioni: da presunti contrasti con la Venier a divergenze economiche.

                A chiarire la situazione è stato lo stesso Corsi con una dichiarazione netta, pubblicata attraverso la sua società di produzione:

                “I soldi non c’entrano. È vero invece che, prima della presentazione dei palinsesti, mi era stato illustrato un progetto artistico molto chiaro. Ma dopo un mese, quel progetto è stato modificato in modo sostanziale.”

                Il conduttore ha sottolineato come la decisione di fare un passo indietro sia stata ponderata, e dettata dalla volontà di mantenere coerenza con il proprio percorso professionale:

                “È normale che un’azienda cambi i propri piani, ed è altrettanto normale che un artista scelga se aderire o meno a quei cambiamenti. Nessuna polemica, nessun dramma.”

                Nel frattempo, Radio Rai e diversi blog televisivi riportano che Corsi sarebbe tra i papabili per Reazione a Catena, quiz estivo molto seguito e già nelle sue corde. Ma prima di un’eventuale staffetta, bisognerà attendere la conclusione dell’attuale contratto di Pino Insegno, in scadenza a fine 2025.

                Intanto, Corsi guarda avanti:

                “Resto disponibile a future collaborazioni con la Rai, come già accaduto in passato. Le polemiche? Spesso sono solo ricostruzioni fantasiose. La verità è molto più semplice.”

                Una risposta che chiude, almeno per ora, ogni tipo di congettura.

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