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Vita, morte e notifiche push: perché la tecnologia ci segue anche in bagno

Dal letto al water, passando per la scrivania e la metro: ormai il telefono è il nostro compagno inseparabile. Ma a che prezzo? La tecnologia ci semplifica la vita o ci sta rubando il silenzio? Una riflessione semiseria sull’uso (e l’abuso) degli schermi che ci guardano mentre li guardiamo.

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    C’è stato un tempo in cui il bagno era l’unico vero rifugio della giornata. Un luogo sacro, privato, al massimo profanato da una rivista sgualcita o da un catalogo dell’IKEA. Oggi? Oggi entriamo e ci portiamo dietro l’intero internet.

    La tecnologia ci accompagna ovunque: a tavola, a letto, al lavoro, in vacanza e sì, anche lì. Siamo diventati incapaci di stare senza uno schermo acceso. Ci svegliamo e scrolliamo, cuciniamo con TikTok, camminiamo con Google Maps e ci addormentiamo con Netflix. Se il telefono è scarico, l’ansia sale più di uno spread in piena crisi finanziaria.

    Ma non era questo il futuro che ci avevano promesso? Dove sono le macchine volanti? I robot che ti fanno il caffè? Gli ologrammi amici? Al loro posto abbiamo la notifica che “oggi hai usato Instagram per 2 ore e 48 minuti” e lo smartwatch che ti chiede se “vuoi fare una pausa per respirare”. Con il dettaglio che, se ti rifiuti, ti guarda male. Letteralmente.

    Il problema non è la tecnologia in sé. Anzi, benedetti siano gli assistenti vocali che ti ricordano dove hai lasciato le chiavi o i frigoriferi smart che ti avvisano quando scade il latte. Il problema è che siamo diventati allergici al vuoto, al silenzio, all’assenza di stimoli. Ogni momento libero è un’occasione per rimetterci le cuffiette, aprire un’app, ascoltare un podcast, mandare un vocale di 3 minuti che poteva essere un messaggio di 4 parole.

    I social ci fanno credere di essere connessi con tutti, mentre nella realtà ci stanno disconnettendo da tutto. Anche da noi stessi. Perché non è normale sentirsi persi se il telefono resta in un’altra stanza. Non è normale mangiare senza parlare, solo per filmare il piatto perfetto da postare. E non è normale rispondere alle mail mentre sei ancora in pigiama e non sai neanche in che giorno vivi.

    La verità è che la tecnologia dovrebbe semplificarci la vita, non consumarla. Dovrebbe essere uno strumento, non un’ossessione. Dovremmo imparare a spegnerla ogni tanto, senza sentirci in colpa o disconnessi dal mondo.

    Forse dovremmo tornare a leggere libri cartacei, a perdere tempo guardando fuori dalla finestra, a dimenticare il telefono a casa e non viverla come una tragedia epocale. Forse dovremmo farci un regalo: una giornata offline.

    E se proprio non riusciamo, almeno lasciamo fuori il telefono dalla porta del bagno. Per rispetto. Non nostro, ma del bidet.

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      Tech

      Fuse, lo smartphone che oscura il nudo e promette di fermare il sexting tra i più giovani

      Si chiama HarmBlock+ AI il sistema che impedisce a Fuse di scattare o visualizzare foto di nudo: la protezione funziona senza inviare dati a server esterni ed è impossibile da aggirare. Pensato per bambini e adolescenti, offre anche controlli parentali avanzati e geolocalizzazione continua.

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        Un telefono a prova di predatore. Così viene presentato Fuse, lo smartphone prodotto dalla finlandese Human Mobile Devices – la stessa che realizza i Nokia – e distribuito in esclusiva da Vodafone nel Regno Unito. La sua peculiarità è unica: bloccare in automatico immagini di nudo, rendendo impossibile sia scattarle che visualizzarle. Una funzione che lo rende il primo dispositivo “anti-sexting” pensato per bambini e adolescenti.

        La tecnologia si chiama HarmBlock+ AI ed è stata sviluppata dalla britannica SafeToNet. Si tratta di un sistema di intelligenza artificiale capace di riconoscere contenuti espliciti in tempo reale e oscurarli senza mai inviare nulla a server esterni: tutto avviene all’interno del telefono. Nessuna app installata, nessun cloud. Una protezione incastonata nel cuore del sistema operativo.

        L’allarme che ha spinto a sviluppare un simile strumento è concreto. Secondo un rapporto Ofsted del 2021, il 90% delle ragazze e metà dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni dichiara di aver ricevuto contenuti sessuali indesiderati. Una vera “epidemia di molestie digitali” che trova terreno fertile proprio nello smartphone, diventato il canale preferito dagli adescatori online.

        Fuse non si limita a bloccare il nudo. Integra controlli parentali avanzati, dal filtro delle app ai limiti di utilizzo, fino al tracciamento della posizione ogni 24 secondi e alle “zone sicure” configurabili dai genitori, con avvisi immediati in caso di uscita. È possibile inoltre stabilire una whitelist di contatti fidati, restringendo le comunicazioni solo a chi viene ritenuto sicuro.

        Il telefono costa 33 sterline al mese con un anticipo di 30 e, dopo il debutto in UK, arriverà in Australia e in altri Paesi. Per Richard Pursey, fondatore di SafeToNet, Fuse rende lo smartphone “incompatibile con la pornografia”. Gli esperti dell’Internet Watch Foundation sottolineano: «Ogni dispositivo con internet e fotocamera può diventare un varco per i criminali. Soluzioni come questa possono salvare vite».

        Resta da capire come lo accoglieranno i ragazzi, abituati a libertà e privacy senza filtri. Per molti genitori, invece, potrebbe rappresentare la prima vera alternativa a un compromesso impossibile: sicurezza digitale senza rinunciare al telefono.

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          Tech

          Caro chatbot consumi troppo. L’impatto ambientale dell’AI e dei modelli linguistici

          Quanta acqua e quanta elettricità servono per alimentare l’intelligenza artificiale? Ecco i numeri del consumo globale dei modelli generativi.

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            L’intelligenza artificiale – AI – sta rivoluzionando il nostro modo di lavorare e comunicare, ma quanto costa in termini ambientali? Secondo Sam Altman, Ceo di OpenAI, una singola richiesta a ChatGPT consuma circa 0,34 wattora di energia, più o meno quanto una lampadina ad alta efficienza per pochi minuti. Inoltre, ogni query utilizza 0,000085 galloni d’acqua, cioè un quindicesimo di cucchiaino. Ma se questi numeri sembrano irrilevanti su scala individuale, la situazione cambia drasticamente se si moltiplicano per centinaia di milioni di utenti.

            Con 800 milioni di richieste giornaliere, il consumo totale raggiunge 272 milioni di wattora al giorno, equivalenti a 272.000 kWh e a 257.000 litri d’acqua. A titolo di paragone, il prelievo idrico annuo italiano per uso potabile supera 9,14 miliardi di metri cubi, ovvero 25 miliardi di litri al giorno. Se confrontiamo questi dati, il consumo di AI appare più contenuto, ma resta significativo per un’unica tecnologia.

            L’energia dei modelli linguistici

            Una recente ricerca pubblicata su arXiv ha cercato di stimare l’impatto energetico dei grandi modelli linguistici (LLM). Alcuni sistemi avanzati, come ChatGPT-o3 e DeepSeek-R1, possono arrivare a 33 Wh per un prompt lungo, un valore 70 volte superiore rispetto ai modelli più efficienti come GPT-4.1 nano. Se si considera una media di 700 milioni di query giornaliere, l’impatto annuale dell’AI potrebbe essere paragonabile al fabbisogno energetico di 35.000 abitazioni statunitensi, contribuendo a 1,5 milioni di tonnellate di acqua evaporata e a emissioni di CO₂ tali da richiedere un’intera foresta grande quanto Chicago per essere assorbite.

            Verso un’AI più sostenibile?

            Con la continua crescita delle tecnologie AI, il tema della sostenibilità diventa cruciale. Se la superintelligenza è il futuro, come sostiene Altman, allora l’AI dovrà trovare soluzioni per ridurre il suo impatto ecologico. Intanto, gli sviluppatori stanno già lavorando per ottimizzare i consumi energetici e rendere l’intelligenza artificiale più efficiente. Perché, se oggi consumiamo una lampadina per ogni richiesta, domani potremmo farlo in modo ancora più intelligente (e sostenibile). La sfida è aperta!

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              Tech

              Telecamere in casa, il rischio è essere spiati come De Martino: cinque mosse per non trasformare il salotto in un GF involontario

              Sempre più famiglie installano telecamere e dispositivi smart per controllare la propria abitazione, ma senza regole di base la sicurezza può trasformarsi in un incubo. Ecco perché servono attenzione, prudenza e buon senso, prima che sia troppo tardi.

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                La scena è quasi comica, se non fosse inquietante: un estraneo che entra virtualmente in salotto, osserva i movimenti di una famiglia, commenta in diretta persino la cena che si sta consumando a tavola. Non è fantascienza, ma quello che può succedere se una telecamera domestica viene lasciata senza difese, con una password elementare o un sistema non aggiornato. L’illusione di sicurezza, in questi casi, si rovescia in vulnerabilità.

                Ma non è fantascienza, è quello che è successo a Stefano De Martino, che ha visto i suoi video a luci rosse finire in rete. Gli esperti di cyber security lo ripetono da anni: il problema non sono le telecamere in sé, ma l’uso che se ne fa. Il rischio maggiore si annida nella leggerezza. Si pensa che un baby monitor o una videocamera acquistata online, installata in pochi minuti, possa funzionare senza ulteriori accortezze. In realtà, basta un software obsoleto o una password troppo semplice per aprire una porta invisibile che consente intrusioni dall’esterno. Non serve nemmeno una grande abilità da hacker: a volte è sufficiente la stessa combinazione che si trova nelle istruzioni di fabbrica.

                Un’altra trappola riguarda i dispositivi low cost. Prezzi stracciati e spedizioni rapidissime hanno conquistato il mercato, ma spesso questi prodotti arrivano senza reali sistemi di cifratura. Significa che i dati — immagini, audio, movimenti — viaggiano in chiaro, pronti per essere intercettati. È la differenza tra chiudere la porta di casa con una serratura blindata o lasciarla socchiusa con un gancio arrugginito.

                Poi c’è la questione della rete. Nella maggior parte delle abitazioni tutti i dispositivi sono collegati allo stesso Wi-Fi: computer, smartphone, televisori, elettrodomestici intelligenti e, naturalmente, le telecamere. Un errore che può costare caro. Perché se un intruso entra attraverso un frigorifero connesso o un termostato poco protetto, può arrivare con la stessa facilità ai file personali custoditi sul portatile di famiglia. Gli esperti consigliano di creare due reti distinte: una per i device più delicati, l’altra per tutto il resto. Una barriera digitale semplice ma spesso ignorata.

                Infine, l’uso improprio delle telecamere. Posizionarle ovunque, senza criterio, è un altro errore diffuso. Il desiderio di sorvegliare ogni angolo di casa può trasformarsi in un autogol. Non solo perché aumenta i punti di vulnerabilità, ma anche perché espone scene intime a potenziali occhi esterni. Camera da letto e spazi privati dovrebbero restare zone off-limits, altrimenti il rischio non è solo tecnologico, ma umano: la violazione della propria quotidianità.

                Il paradosso è che spesso chi installa queste telecamere lo fa per proteggere la famiglia, i figli, gli animali domestici. Ma senza regole di base, lo strumento pensato per garantire sicurezza finisce per generare ansia. Per non trasformare il salotto in un Grande Fratello involontario bastano, in fondo, cinque mosse elementari: password complesse e mai riutilizzate, aggiornamenti costanti dei sistemi, attenzione ai dispositivi troppo economici, reti Wi-Fi separate e telecamere usate con buon senso.

                Non sono precauzioni da tecnici, ma regole di convivenza con un mondo digitale che entra in casa e, se non viene gestito, rischia di restarci anche quando non lo si vuole. La vera differenza tra sicurezza e vulnerabilità, oggi, non è più una porta blindata, ma la consapevolezza di chi sta dietro allo schermo.

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