Tennis
Federica Pellegrini inciampa su Sinner (e sul latino): “Ad ok” invece di “ad hoc”
Tra accuse, risposte piccate e una gaffe in latino, la “Divina” continua a difendere la sua posizione sul caso Sinner, ma il web non perdona. E l’errore “ad ok” diventa virale.

Il caso Sinner continua a trascinare con sé polemiche, accuse e, ora, anche un piccolo incidente linguistico che ha messo sotto i riflettori Federica Pellegrini.
L’ex campionessa olimpica, che nei giorni scorsi era intervenuta sulla vicenda del presunto doping involontario del tennista altoatesino, è finita al centro di una vera e propria bufera social. Non solo per le sue dichiarazioni, giudicate da molti imprecise e intempestive, ma anche per una clamorosa scivolata linguistica che il popolo della rete non ha certo lasciato passare sotto silenzio.
Tutto parte da una delle numerose risposte date dalla Pellegrini ai suoi detrattori sui social. Alla richiesta di ammettere un errore sostanziale nelle sue affermazioni su Sinner, la “Divina” ha risposto: «Non si può paragonare un’intervista data a voce in 20 minuti. Con solo 1 domanda su questo caso con un editoriale fatto ad ok».
Quel “ad ok” ha scatenato l’ilarità: un errore che ha fatto il giro della rete in pochi minuti. Perché la corretta espressione latina è “ad hoc”, usata proprio per indicare qualcosa fatto appositamente.
E quando qualcuno glielo ha fatto notare, la Pellegrini ha replicato con una risposta che ha peggiorato la situazione: «E se io non lo volevo dire in latino?!».
Una difesa che ha avuto il solo effetto di infiammare ulteriormente i commenti ironici e le prese in giro.
Nel frattempo, la discussione principale non si è certo placata. Gli utenti, sempre più numerosi, continuano a chiederle di scusarsi pubblicamente con Jannik Sinner. Richiesta respinta con fermezza: «Ma perché?! Mica l’ho offeso», ha ribattuto la campionessa, aggiungendo: «Non credo di aver sbagliato, forse sono stata troppo generica».
E ancora: «Non ho mai detto che Sinner si è dopato volontariamente o con dolo. Fidati che se lo pensassi non avrei problemi a dirlo».
Una posizione che, a detta di Pellegrini, deriva da un’interpretazione personale dell’intera vicenda: «Riconosco anch’io la sua non responsabilità in prima persona… Mai detto il contrario», ha scritto, pur sottolineando come, a suo avviso, qualcosa nei protocolli antidoping non abbia funzionato. «Se tutto fosse stato perfetto, la WADA non si sarebbe messa in mezzo».
Tutto è iniziato con un’intervista rilasciata a La Repubblica, in cui Pellegrini osservava come, a suo giudizio, il caso Sinner fosse stato trattato diversamente rispetto ad altri casi simili. «Giusto difenderlo — aveva detto — ma tanti hanno pagato per negligenze simili».
Un’uscita che, forse senza volerlo, ha fatto intendere un’ombra che in molti si sono affrettati a smentire. E da lì, l’effetto valanga.
A peggiorare la situazione ci ha pensato proprio l’ex nuotatrice, scegliendo di rispondere a (quasi) ogni critica ricevuta sui suoi profili ufficiali.
Una raffica di botta e risposta, tra rivendicazioni orgogliose, puntualizzazioni e, appunto, scivoloni imbarazzanti come quello di “ad ok”, che ha dato la stura a meme, battute e ironie di ogni tipo.
Con il suo carattere battagliero, Federica Pellegrini non ha fatto alcun passo indietro, anzi. Sul suo profilo X ha ribadito: «Rimango della mia pacata opinione», accusando alcuni utenti di aggressività e repressione. Una chiusura che difficilmente riuscirà a spegnere le polemiche.
La sensazione è che, in questo caso, l’ex nuotatrice sia rimasta vittima non tanto delle sue idee, quanto della gestione di una comunicazione troppo istintiva. E che, mentre difendeva a spada tratta il suo punto di vista, sia finita per alimentare proprio quella macchina del sarcasmo da cui ora si sta difendendo a fatica.
Una lezione forse amara per la “Divina”: nell’era dei social, il passo dall’opinione personale al bersaglio virale è più breve di quanto si pensi.
E un “ad ok” può pesare quasi quanto una medaglia.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Tennis
«Sono innamorato, ma non ne parlo» – Sinner confessa il nuovo amore e si racconta tra Lego, rivalità con Alcaraz e critiche alle Olimpiadi
A New York, Jannik Sinner si concede alle domande dei giornalisti. Ammette la relazione con Laila Hasanovic, ex di Mick Schumacher, ma mette subito i paletti: «Non entro nei dettagli». Difende le sue scelte, ricorda i sacrifici da ragazzino, racconta le paure e l’ossessione per il miglioramento. E intanto il suo cuore batte forte, anche fuori dal campo.

New York, vigilia degli US Open. Jannik Sinner arriva con passo deciso, vestito Gucci e Rolex al polso, l’aria di chi è ormai un numero uno non solo sul campo, ma anche fuori. A 24 anni si trova a dover conciliare la concentrazione da campione con la curiosità morbosa che lo circonda. E stavolta un po’ si lascia andare.
«Sono innamorato – confessa con un mezzo sorriso – ma della mia vita privata non voglio parlare». È la prima volta che ammette senza giri di parole la storia con Laila Hasanovic, modella danese ed ex fidanzata di Mick Schumacher. Una love story che il gossip inseguiva da settimane, e che adesso Sinner riconosce, pur mantenendo un alone di riservatezza: il ragazzo di Sesto Pusteria non vuole che la cronaca rosa sovrasti quella sportiva.
Sul resto, però, non si tira indietro. Sulle critiche per la mancata partecipazione alle Olimpiadi risponde secco: «Non ho mai risposto e non voglio neanche rispondere». Punto e basta, senza polemiche. Il messaggio è chiaro: ha scelto la sua strada, chi lo accusa perda pure fiato.
La rivalità con Carlos Alcaraz? Un classico delle nuove generazioni del tennis, che lui tratta con la freddezza del campione: «Non è detto che io e Carlos siamo quelli lì. Adesso sono due anni che giochiamo i Grandi Slam, ma le cose possono cambiare. Se uno non si migliora, altri arrivano. Tra due anni vedremo chi si è stabilito, chi è migliorato e chi è peggiorato». Una visione lucida e per certi versi disarmante: Sinner non si mette mai sul piedistallo, sa che lo sport è spietato.
E sul gioco da perfezionare non ha dubbi: «Il servizio e il gioco a rete». Ammissioni che raccontano un ragazzo consapevole dei suoi limiti, pronto a smontarsi pezzo per pezzo per ricostruirsi ogni volta più solido. «Non essere paziente, voler fare tutto subito: questo era il mio difetto – rivela – ma ho imparato a lavorare sui dettagli. Mettere insieme i pezzi del puzzle è la strada giusta».
Dietro questa crescita c’è anche il lavoro psicologico: «Non è nulla di naturale, c’è tanto lavoro dietro. All’inizio pensavo di essere forte, invece non lo ero. Con Riccardo Ceccarelli ci lavoriamo da anni. Mi ha aiutato ad accettare i difetti, poi la differenza la deve fare l’atleta».
Ed è qui che Sinner sorprende: il rimedio per staccare la spina non è né yoga né meditazione, ma i Lego. «Mi sono appassionato moltissimo. Di sera costruisco, ascolto musica e penso ad altro. A New York sono andato in un negozio vicino all’hotel e ho comprato una Porsche: finita in cinque ore. Allora ho pensato: me ne serve una più grande. Forse l’ultima è troppo grande, ma mi piace. Ti tiene la mente occupata e libera allo stesso tempo».
Il tennis, però, resta la sua ossessione. «Guardo tanto gli avversari, soprattutto la sera prima del match. La parte visuale è molto importante». Sul manicotto che indossa ancora sul braccio spiega: «A Wimbledon era per un’altra cosa, ora è solo una sensazione. Mi piace come mi fa sentire il braccio».
Un ragazzo normale, nonostante i milioni in banca e gli sponsor da capogiro. «Non mi piace dire “sono il numero uno al mondo” – sottolinea – posso dire che sono un giocatore forte, ma numero uno lo diventi anche fuori dal campo, per come ti comporti. Il tennis è la mia vita, ma è piccolo. A 35 o 40 anni finisce, e poi devi decidere cos’altro fare».
E qui torna il Sinner che non ti aspetti: prudente, quasi impacciato quando si parla di futuro. «Non ho idea di chi potrebbe costruire la mia casa. È troppo presto. Forse quando avrò 15 anni in più sarà già vecchia», scherza. La politica? «Le cose importanti sì, ma non entro nei dettagli, ne capisco anche poco».
La memoria corre indietro, al ragazzino che a 13 anni lasciò casa per inseguire un sogno. «All’inizio è stato difficile, ma ho avuto fortuna. Una famiglia croata mi ha accolto, mi sono sentito come un fratello maggiore per i loro figli. Giocavo anche con il cane: a casa avevamo solo gatti». E il ricordo diventa quasi tenero, lontano dai riflettori di New York.
Tra Lego, amore e rivalità, Jannik resta fedele a sé stesso: diretto, umile, allergico ai fronzoli. Un ragazzo che, anche con un Rolex al polso, non dimentica di essere quello che mette pezzo dopo pezzo un’auto di plastica per rilassarsi la sera. Numero uno sì, ma sempre a modo suo.
Tennis
Sinner ko a Cincinnati, il mistero del malore: torta di compleanno, aria condizionata o virus intestinale?
Un compleanno festeggiato con torta panna e fragole, un brindisi fuori programma, i soliti colpi micidiali dell’aria condizionata americana e l’ombra di un virus intestinale. Sono queste le ipotesi sull’improvviso malore che ha costretto Jannik Sinner a dire basta nella finale di Cincinnati.

Non è la sconfitta in sé a fare rumore, ma il motivo. Jannik Sinner a Cincinnati non ha perso contro Carlos Alcaraz: è stato battuto da un nemico invisibile. Il suo ritiro dopo appena cinque game resta un giallo. Che cos’ha messo ko il numero uno d’Italia, bianco in volto e incapace di muoversi?
Gli indizi riportano al giorno prima, quando ha compiuto 24 anni. Gli organizzatori del torneo lo hanno festeggiato con una torta di panna e fragole, un brindisi e qualche foto. Un gesto di routine che però per un atleta di livello può trasformarsi in trappola. Basta una fragola non lavata o un cucchiaio di crema rimasto troppo fuori dal frigo per scatenare un’intossicazione alimentare.
C’è poi l’altra pista, quella americana per eccellenza: l’aria condizionata. Onnipresente negli hotel, nei ristoranti e persino negli spogliatoi, con getti gelidi che colpiscono a tradimento. Non sarebbe la prima volta che un atleta paga il conto di un colpo d’aria, trasformato in dolori muscolari e malessere generale.
Infine, l’ipotesi del virus intestinale. Un’infezione che non guarda classifiche né ranking, capace di annientare chiunque con nausea e debolezza. E chi ha visto Sinner domenica lo racconta pallido, con lo sguardo perso, come chi lotta con uno stomaco in rivolta.
Niente ginocchia, niente caviglie, niente schiena. Stavolta non c’entra la meccanica del corpo, ma la chimica. «Da domenica non mi sentivo bene, speravo di migliorare nella notte e invece sono peggiorato» ha ammesso lui, quasi a confermare che il problema fosse interno, non muscolare.
La finale è durata ventitré minuti, ma il giallo del malore resta. A New York Sinner dovrà difendere il titolo e scrollarsi di dosso l’incubo di Cincinnati. Intanto resta l’immagine di un campione che, per una torta, un condizionatore o un virus, ha visto incepparsi la sua macchina perfetta.
Tennis
Scommesse clandestine e occhiali spia: il caso Medkov scuote il tennis mondiale
La Procura di Roma chiede il rinvio a giudizio di Aleksey Viktorovich Medkov. Il sospetto: alterava l’andamento dei match con una squadra di infiltrati armati di tecnologia.

Aleksey Viktorovich Medkov, 35 anni, russo, era un fantasma che aleggiava attorno ai tornei di tennis più importanti del pianeta. Stati Uniti, Australia, Europa: sempre presente, mai protagonista, ma con un obiettivo ben preciso — gestire un giro di scommesse online clandestine da decine di milioni di euro.
La sua presenza era diventata talmente ingombrante da finire nel mirino dell’Association of Tennis Professionals, che lo aveva inserito nella lista dei “wanted”. Ora la Procura di Roma ha chiesto il suo rinvio a giudizio: “Esercitava abusivamente l’organizzazione delle scommesse sulle partite internazionali di tennis”, scrive il pm Mario Dovinola. Ma l’accusa non si ferma qui: Medkov avrebbe coordinato una rete di “disturbatori” a bordo campo, figure incaricate di influenzare il gioco e trasmettere informazioni in tempo reale.
Il 12 maggio 2022 la Guardia di Finanza lo sorprende sugli spalti del Centrale Nicola Pietrangeli, al Foro Italico. Nessun biglietto, ma in mano uno smartphone con l’app “Dtmflite” già aperta, piattaforma non autorizzata in Italia per il gioco a distanza. Nel suo zaino: due dispositivi bluetooth di controllo remoto e otto carte di credito.
Medkov ammette subito: era lì per scommettere in diretta. Un addetto alla sicurezza dell’Atp conferma di conoscerlo: “Dedito in maniera continuativa e professionale alle scommesse sportive online”.
Nei dossier consegnati dall’Atp agli inquirenti, le immagini delineano un copione da film di spionaggio: uomini e donne tra il pubblico, armati di telefoni, webcam, auricolari e persino occhiali spia. Registrano ogni scambio, trasmettono le immagini, disturbano il servizio con rumori o movimenti mirati per alterare la concentrazione dell’avversario. Tutto sotto la regia occulta di Medkov.
Una trama che intreccia alta tecnologia, infiltrazioni e milioni di euro in puntate illegali. Con un avvertimento implicito: anche lo sport più elegante può trasformarsi in un campo di battaglia sotterraneo, dove il fair play è l’unico vero assente.
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