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Da Messi a Yamal: il talento è genetico o un’arte tramandata?

Il giovane fenomeno del Barcellona Yamal incanta con dribbling da serpente e un’intelligenza di gioco fuori dal comune. Il paragone con la Pulce è inevitabile, ma la sua evoluzione potrebbe riscrivere le regole del calcio moderno.

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    A soli 17 anni, Lamine Yamal ha già lasciato un segno indelebile nel calcio mondiale. Il talento del Barcellona, protagonista all’Europeo e in Champions League, incanta. Dribbling fulminei, una visione di gioco straordinaria e un’innata capacità di anticipare il movimento degli avversari. Che vuoi di più da un attaccante. Le sue qualità lo pongono nel solco dei più grandi, ma la sua evoluzione sembra procedere su un binario tutto suo, evitando paragoni scontati con Lionel Messi, il fuoriclasse con cui inevitabilmente viene spesso accostato.

    Dribbling da serpente e tocco da artista

    Uno degli aspetti più impressionanti del gioco di Yamal è la sua capacità di saltare l’uomo con un’eleganza che sfiora l’impossibile. A differenza di Messi, che sfruttava il suo baricentro basso e l’accelerazione esplosiva, Yamal è longilineo e gioca con movimenti più sinuosi, quasi fluttuanti, simili a quelli di un serpente. La sua falcata ampia gli permette di attraversare le difese, non con la potenza, ma con una leggerezza studiata che disorienta gli avversari. Questo stile di gioco si traduce nella capacità di adattarsi alle situazioni di gioco con un’intelligenza motoria che gli consente di variare movimenti e direzioni con una fluidità eccezionale. Anche il tocco di palla è fuori dal comune. Mancino raffinato, Yamal ha una sensibilità tecnica che gli permette di calibrare il pallone in soluzioni differenti, che vanno dai passaggi rasoterra agli assist millimetrici, fino ai tiri che sfiorano l’incrocio dei pali.

    Velocità neurale: il potere di prevedere l’azione di gioco

    Se c’è un aspetto che accomuna Yamal e Messi, è la loro straordinaria velocità mentale. Studi scientifici hanno dimostrato che Messi aveva una capacità superiore nel processare le informazioni visive, anticipando i movimenti degli avversari con qualche millisecondo di vantaggio. Yamal sembra possedere una facoltà simile, riuscendo a intuire le intenzioni del difensore, leggendo il gioco con un anticipo quasi innaturale. Si tratta di un’abilità che va oltre la tecnica pura. E’ una capacità neurale, una forma avanzata di comprensione del calcio che gli permette di adeguare il proprio movimento a quello degli avversari, inducendoli spesso a commettere errori. La sua intelligenza nel gioco non si traduce solo in dribbling, ma anche nella costruzione dell’azione: sa quando accelerare, quando rallentare, quando aspettare e quando colpire con precisione chirurgica.

    Tiro in porta: precisione e potenza nei momenti chiave

    Nonostante la sua giovane età, Yamal ha già dimostrato di avere un senso del gol sviluppato. Il suo tiro combina potenza, precisione e sensibilità, permettendogli di trovare la rete anche nelle situazioni più complesse. Un esempio? Il gol decisivo contro l’Inter in Champions League, quando, accerchiato da cinque avversari, è riuscito a scaricare un tiro perfetto, incastrando il pallone nell’unico spazio disponibile per battere Sommer. Una giocata di puro talento e istinto. Ma il gol non è solo un gesto tecnico: per Yamal, è spesso il punto di svolta. Come nel caso della semifinale di Euro2024 contro la Francia, quando, sotto di un gol, ha ribaltato l’inerzia del match con un tiro magistrale che ha colpito il palo interno, cambiando le sorti della Spagna.

    Lamine Yamal: che bellezza, il suo meglio deve ancora venire…

    Grazie al cielo il percorso di Yamal è solo all’inizio. A differenza di Messi, che ha impiegato più tempo prima di imporsi nel Barcellona, il giovane talento sta bruciando le tappe con numeri da predestinato: alla sua 100esima partita con il Barça, ha già 22 gol e 31 assist, un bilancio che lo rende il più giovane protagonista della nuova era blaugrana. Ma la cosa più affascinante è che ogni sua fase di sviluppo sembra solo una tappa intermedia, un preludio di ciò che potrebbe diventare. Un giocatore che sta riscrivendo le regole del calcio moderno, con un mix unico di talento, rapidità e visione di gioco.

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      Calcio

      Antonio Cassano contro Salt Bae: “880 euro per una bistecca? Mai più nel suo ristorante!”

      Da 4 antipasti e una bistecca a un conto da 880 euro. La disavventura di Cassano nel ristorante di Salt Bae in Grecia strappa risate in studio e diventa un cult online.

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        Antonio Cassano continua a essere il protagonista assoluto di Viva El Futbol, il programma streaming condotto insieme a Lele Adani e Nicola Ventola, dove il calcio si mescola spesso a episodi di vita quotidiana. Nella puntata di ieri, l’ex calciatore ha raccontato un episodio che ha fatto ridere fino alle lacrime i suoi compagni di trasmissione.

        Si parla di Nusret Gökçe, meglio noto come Salt Bae, celebre chef turco famoso per la teatralità con cui sparge il sale sulle sue pietanze. Cassano ha ricordato una visita nel ristorante di Salt Bae in Grecia, insieme alla sua famiglia: “Abbiamo preso quattro antipasti di carne e una bistecca grande da dividere in quattro”. Fin qui tutto normale, ma la sorpresa è arrivata con il conto.

        “Ci hanno portato un conto di 880 euro,” ha raccontato Cassano tra risate e stupore. “Chiamo il cameriere e gli dico: amico, mi sa che hai sbagliato.” Ma no, il conto era giusto: “220 euro a testa per quello che abbiamo mangiato.”

        Il racconto ha scatenato l’ilarità di Adani e Ventola, ma la battuta finale di Cassano ha rubato la scena: “Quando in inglese ci hanno chiesto come ci siamo trovati, ho risposto: benissimo, ma non ci verremo mai più!”

        Una storia che si aggiunge alla lunga lista di commenti spontanei e taglienti che hanno reso Cassano una delle voci più genuine e divertenti del panorama sportivo e non solo.

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          Calcio

          Carlos Cuesta, il baby allenatore che fa tremare la Serie A

          Ha 29 anni, un viso da studente modello e zero presenze in panchina da primo allenatore. Eppure sarà lui, Carlos Cuesta, a guidare il Parma nella prossima Serie A. Un azzardo? Forse. Ma anche un segnale forte: il calcio italiano, ogni tanto, sa sorprendere.

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            Cuesta sarà il più giovane tecnico della storia recente del campionato da quando esiste il girone unico. Un record che ha il sapore della rivoluzione, e che racconta una carriera cominciata in modo bizzarro: niente passato da professionista, solo tanta ostinazione e un tweet, quello che gli aprì le porte dell’Atlético Madrid. “Se hai bisogno di uno che ti sistemi i coni, io ci sono”, scrisse a un allenatore delle giovanili. Era il 2012. Fu chiamato.

            Da lì, una salita rapida: studi universitari in Scienze motorie a Madrid, uno stage alla Juve Under 17 (grazie all’intuito di Cherubini), poi l’incontro chiave con Mikel Arteta, vice di Guardiola al City e oggi tecnico dell’Arsenal. Proprio ai Gunners Cuesta è diventato uno dei collaboratori più ascoltati, curando lo sviluppo individuale dei giocatori. Non male per un ragazzo di Maiorca che sognava panchine mentre altri inseguivano gol.

            Il presidente del Parma Kyle Krause ha deciso di scommettere su di lui offrendogli un biennale da un milione a stagione. Una scelta che ha fatto alzare più di un sopracciglio, ma che Cuesta si è guadagnato con lavoro, metodo e quella che molti chiamano “ossessione per i dettagli”.

            In Spagna ha preso il patentino Uefa Pro nel 2023, grazie a un sistema più flessibile del nostro: in Italia, per accedere al corso, bisogna avere almeno 32 anni. Fosse stato italiano, paradossalmente, non avrebbe potuto sedersi su quella panchina.

            Le sue idee? Calcio propositivo, costruzione dal basso, dominio del possesso. Ma anche empatia e ascolto: “Ci capisce perché è giovane come noi”, raccontava Tavares, oggi alla Lazio. La sua forza sta anche lì.

            C’è chi lo paragona a Mourinho, anche lui senza passato da calciatore, ma con carisma e visione. Cuesta invece è il ragazzo educato, maniacale, che non alza mai la voce ma entra nella testa dei suoi giocatori. L’Italia lo guarda con curiosità, qualcuno con scetticismo. Ma intanto, a Parma, hanno già puntato tutto su di lui. E forse, per una volta, è bello che a fare notizia non sia un ritorno, ma un inizio.

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              Calcio

              Inzaghi, la testa era già in Arabia: l’Al-Hilal lo smaschera dopo la debacle di Monaco

              Esteve Calzada, amministratore delegato dell’Al-Hilal, racconta alla BBC che l’arrivo di Simone Inzaghi era già deciso prima della finale di Champions. Il tecnico avrebbe chiesto di rimandare l’annuncio per non destabilizzare la squadra. Intanto l’Inter incassava cinque gol dal Paris Saint-Germain. E ora i tifosi si sentono traditi

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                Altro che scelta maturata dopo la sconfitta. Simone Inzaghi era già dell’Al-Hilal prima ancora di scendere in campo a Monaco. E mentre i tifosi dell’Inter cercavano consolazione dopo il pesantissimo 5-1 inflitto dal Paris Saint-Germain in finale di Champions League, dalla BBC arriva la conferma che brucia: il tecnico piacentino aveva la testa già tra i petrodollari.

                A far esplodere la notizia è Esteve Calzada, amministratore delegato del club saudita, che con dichiarazioni tutt’altro che ambigue mette fine a ogni alibi: «Era già tutto deciso. Simone ci ha solo chiesto di aspettare a firmare, per rispetto della partita e della squadra. Non voleva influenzare l’ambiente prima della finale».

                Una richiesta di stile? Forse. Un’ammissione di colpa? Sicuramente. Perché quella frase – “era già tutto deciso” – vale più di mille comunicati stampa. E smentisce apertamente la versione fornita dallo stesso Inzaghi, che solo pochi giorni fa aveva sostenuto di aver accettato l’offerta saudita “dopo la finale”, quando il suo ciclo con l’Inter poteva dirsi concluso.

                I dubbi, in realtà, c’erano da settimane. L’insistenza con cui il suo entourage glissava sulle voci dall’Arabia, la lentezza sospetta nel definire il suo futuro con i nerazzurri, e poi quel silenzio post-finale. La sconfitta bruciante contro Mbappé e compagni sembrava aver segnato la fine di un percorso, non solo sportivo ma anche emotivo. Ora, però, i conti non tornano. Perché se il tecnico aveva già deciso di voltare pagina, quanto ha influito questa scelta sull’umore, la tensione e la prestazione della squadra a Monaco?

                I tifosi se lo chiedono, e le risposte – amarissime – iniziano ad arrivare. In campo, l’Inter è apparsa stanca, disunita, spenta in modo inspiegabile per una finale di Champions. Una squadra smarrita, con la testa altrove. Ora si scopre che non era l’unica testa altrove: anche quella dell’allenatore era già proiettata a Riyad, verso un contratto plurimilionario, una nuova vita e, per qualcuno, un addio senza onore.

                «Potrebbe sembrare qualcosa di improvviso – ha detto ancora Calzada – ma è il frutto di un lungo lavoro». Parole che lasciano poco spazio all’interpretazione. Inzaghi era già stato scelto da settimane, probabilmente mentre l’Inter affrontava le semifinali con grinta e speranza. Eppure, per correttezza apparente, ha chiesto che tutto venisse messo in pausa. Non cancellato, solo messo in pausa.

                Ora il puzzle si compone. L’Al-Hilal cercava un profilo internazionale, un tecnico europeo con curriculum solido e temperamento pacato. Inzaghi, da finalista di Champions e vincitore di Supercoppe e Coppa Italia, rappresentava il nome perfetto. Meno ingombrante di un Mourinho, meno costoso di un Klopp, ma con sufficiente esperienza da gestire uno spogliatoio di stelle, da Neymar a Koulibaly.

                Il futuro del tecnico, intanto, è già scritto. Un triennale sontuoso e la promessa di un ruolo centrale nella crescita del calcio saudita. Ma il suo passato, quello interista, ora si scolora sotto una luce meno romantica. Le lacrime a fine gara, le mani giunte verso la curva, la panchina vuota e il saluto accennato: tutto rischia di sembrare una messinscena. Anche se fosse stato solo un tentativo di tenere tutto insieme fino all’ultimo.

                Nel frattempo, i tifosi dell’Inter si interrogano. Sapevano che Inzaghi se ne sarebbe andato, ma speravano almeno che fosse fino in fondo “uno di loro”. Invece no. Era già altrove. E a Monaco, forse, si è giocato qualcosa di più di una semplice finale persa. Si è perso un legame. Si è spezzata un’illusione.

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