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Salute

Il cervello sotto stress: quando il troppo lavoro lo cambia davvero

Uno studio coreano ha analizzato gli effetti di oltre 55 ore lavorative settimanali, dimostrando alterazioni nella struttura cerebrale. Memoria, regolazione emotiva e capacità decisionale potrebbero risentirne. Gli esperti avvertono: serve una nuova cultura del lavoro.

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    Il lavoro intenso e senza pause può lasciare tracce profonde sul nostro organismo, ma ciò che pochi immaginavano è che può addirittura cambiare la struttura del cervello. Un recente studio condotto dall’Università Chung-Ang in Corea, pubblicato sulla rivista Occupational & Environmental Medicine, ha analizzato gli effetti di lunghi orari di lavoro su un gruppo di medici, dimostrando che il loro cervello mostrava alterazioni significative rispetto a chi aveva un carico lavorativo più moderato.

    Troppo lavoro, troppe ore: cosa succede al cervello?

    Negli ultimi anni, gli esperti hanno sempre più sottolineato i rischi del superlavoro. Le ricerche indicano chiaramente che superare le 55 ore settimanali può aumentare il rischio di malattie cardiovascolari, disagio psicologico e persino ictus. Ma gli effetti non si fermano al corpo. Secondo lo studio coreano, lavorare troppe ore influisce direttamente sulla neurologia, modificando alcune aree fondamentali della mente. Gli autori della ricerca hanno esaminato 110 operatori sanitari, distinguendo tra chi lavorava oltre 52 ore a settimana e chi restava entro un limite più ragionevole. Le immagini ottenute tramite risonanza magnetica hanno rivelato che il cervello dei medici più stressati presentava un aumento del volume in 17 diverse regioni, tra cui il giro frontale mediale, il giro frontale superiore e l’insula. Tutte aree coinvolte nella memoria, nella regolazione emotiva e nel processo decisionale.

    Una delle scoperte più sorprendenti riguarda il giro frontale mediale, il cui volume risultava aumentato del 19% nei soggetti che lavoravano di più. Questa parte del cervello è coinvolta in funzioni cognitive fondamentali, tra cui attenzione, memoria di lavoro e linguaggio. Se da un lato l’ingrossamento potrebbe rappresentare una risposta adattiva allo stress cronico, dall’altro potrebbe essere indice di sovraccarico mentale, con possibili effetti negativi nel tempo.

    Cervello plastico e lavoro: quali sono i rischi reali?

    Gli esperti sottolineano che il cervello è plastico, ovvero capace di adattarsi alle sollecitazioni, proprio come un muscolo che si sviluppa in base all’allenamento. È noto, per esempio, che i musicisti hanno una corteccia uditiva più sviluppata o che i taxisti londinesi—abituati a memorizzare enormi mappe—hanno un ippocampo più grande rispetto alla norma. Ma quando si tratta di sovraccarico mentale legato al lavoro, l’adattamento potrebbe non essere positivo. Emi Bondi, presidente uscente della Società Italiana di Psichiatria, commenta lo studio definendolo “un campanello d’allarme”. “I dati suggeriscono che l’eccessivo carico di lavoro può modificare aree del cervello legate alla memoria, al problem solving e alla regolazione emotiva”, sottolinea.

    Un messaggio chiaro arriva dalla comunità scientifica

    Secondo la comunità scientifica quindi è necessario ripensare il modo in cui lavoriamo. L’equilibrio tra impegno e benessere è cruciale, e ignorare i segnali di stress può avere conseguenze anche a livello neurologico. In futuro, nuovi studi aiuteranno a comprendere quanto il lavoro influisca sulla mente e quali strategie adottare per evitare effetti negativi a lungo termine. Fermo restando che salvaguardare il benessere mentale dovrebbe essere una priorità, non un optional.

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      Salute

      Cibo scaduto: si può mangiare davvero o è sempre un rischio?

      Sicurezza alimentare, sprechi e buon senso: cosa dicono le regole, quali prodotti non vanno mai consumati dopo la scadenza e quando, invece, è possibile valutare caso per caso.

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      Cibo scaduto

        Aprire la dispensa e trovare un prodotto appena scaduto è un’esperienza comune. La domanda sorge spontanea: si può consumare o va buttato senza esitazioni? La risposta non è sempre la stessa e dipende da un dettaglio fondamentale spesso ignorato: il tipo di data indicata sull’etichetta.

        Le due scadenze che non sono uguali

        Sulle confezioni alimentari compaiono principalmente due diciture. La prima è “da consumarsi entro”, che indica una vera e propria data di scadenza. Superato quel termine, il prodotto può rappresentare un rischio per la salute e non dovrebbe essere mangiato. È il caso di alimenti altamente deperibili come carne fresca, pesce, latte fresco, formaggi molli e piatti pronti refrigerati.

        La seconda dicitura è “da consumarsi preferibilmente entro”, che segnala invece il termine minimo di conservazione. Oltre quella data il cibo può aver perso parte delle sue caratteristiche organolettiche – gusto, profumo, consistenza – ma non è automaticamente pericoloso, se conservato correttamente e se la confezione è integra.

        Quali alimenti possono durare di più

        Prodotti secchi o a lunga conservazione come pasta, riso, biscotti, legumi secchi, conserve, farina e zucchero possono spesso essere consumati anche settimane o mesi dopo il termine minimo, purché non presentino muffe, odori anomali o infestazioni. Lo stesso vale per molti prodotti in scatola, che restano sicuri finché il contenitore non è gonfio, arrugginito o danneggiato.

        Attenzione agli alimenti a rischio

        Diverso il discorso per cibi che favoriscono la proliferazione batterica. Uova, latticini freschi, carne cruda, salumi affettati e pesce non dovrebbero mai essere consumati oltre la data di scadenza vera e propria. In questi casi, il rischio di intossicazioni alimentari supera di gran lunga il beneficio di evitare uno spreco.

        L’importanza della conservazione

        La data in etichetta vale solo se il prodotto è stato conservato correttamente. Un alimento lasciato fuori dal frigorifero, esposto al caldo o aperto da tempo può deteriorarsi ben prima della scadenza indicata. Per questo è fondamentale seguire le istruzioni riportate sulla confezione e, una volta aperto il prodotto, consumarlo entro i tempi suggeriti.

        I sensi come alleati (ma non sempre sufficienti)

        Osservare, annusare e assaggiare con cautela può aiutare a capire se un alimento è ancora buono, ma non è una garanzia assoluta di sicurezza. Alcuni microrganismi pericolosi, infatti, non alterano né l’odore né l’aspetto del cibo. Per questo il buon senso deve sempre accompagnarsi alle regole di base della sicurezza alimentare.

        Meno sprechi, più consapevolezza

        Conoscere la differenza tra le varie date di scadenza aiuta non solo a tutelare la salute, ma anche a ridurre lo spreco alimentare, un problema sempre più rilevante. Buttare cibo ancora sicuro significa sprecare risorse, ma consumare alimenti realmente scaduti può avere conseguenze serie.

        La regola d’oro

        In caso di dubbio, meglio non rischiare. La sicurezza viene prima di tutto. Ma imparare a leggere correttamente le etichette permette di fare scelte più informate, responsabili e sostenibili, senza rinunciare al buon senso.

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          Salute

          Prurito cronico: quando il campanello d’allarme non è solo la pelle

          Dalle malattie dermatologiche ai disturbi interni, fino allo stress e agli squilibri metabolici: cosa può indicare il prurito persistente e quando è il caso di approfondire.

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          Prurito cronico

            Il prurito è una sensazione fastidiosa e spesso sottovalutata. Quando però diventa cronico, cioè persiste per più di sei settimane, smette di essere un semplice disturbo cutaneo e può trasformarsi in un vero segnale d’allarme. In molti casi, infatti, non è legato solo a problemi della pelle, ma può indicare condizioni sistemiche, neurologiche o psicologiche che meritano attenzione.

            Non solo dermatite: le cause più comuni

            Le malattie della pelle restano la causa più frequente di prurito: dermatite atopica, psoriasi, orticaria cronica, micosi o infestazioni come la scabbia. In questi casi il prurito è spesso accompagnato da arrossamenti, desquamazioni o lesioni visibili. Tuttavia, quando la cute appare apparentemente normale, è necessario guardare oltre.

            Il legame con gli organi interni

            Il prurito cronico può essere un sintomo di malattie sistemiche. Disturbi del fegato, come colestasi o cirrosi, sono noti per provocare prurito diffuso, spesso più intenso di notte e senza eruzioni cutanee evidenti. Anche le patologie renali croniche, soprattutto nelle fasi avanzate, possono manifestarsi con un prurito persistente e difficile da controllare.

            Non vanno trascurati nemmeno i disturbi della tiroide: sia l’ipertiroidismo sia l’ipotiroidismo possono alterare l’equilibrio cutaneo, causando secchezza e prurito. In alcuni casi, il sintomo è stato associato anche a diabete e ad alterazioni del metabolismo.

            Prurito e sangue: quando indagare

            Alcune malattie ematologiche, come l’anemia sideropenica o patologie più rare come i linfomi, possono avere tra i primi segnali proprio il prurito generalizzato. È un sintomo poco specifico, ma se associato a stanchezza, perdita di peso o sudorazioni notturne, richiede accertamenti mirati.

            Il ruolo del sistema nervoso

            Esiste anche un prurito di origine neurologica, legato a lesioni o disfunzioni dei nervi periferici o centrali. In questi casi, la sensazione può essere localizzata, intermittente o accompagnata da formicolii e bruciore, senza segni cutanei evidenti.

            Stress, ansia e fattori psicologici

            Non va infine sottovalutato l’impatto della sfera emotiva. Stress cronico, ansia e depressione possono amplificare la percezione del prurito o addirittura esserne la causa principale. Il cosiddetto prurito psicogeno tende a peggiorare nei momenti di tensione e può instaurare un circolo vizioso tra disagio emotivo e disturbo fisico.

            Quando rivolgersi al medico

            Un prurito che dura nel tempo, non risponde ai trattamenti comuni o si accompagna ad altri sintomi generali non dovrebbe essere ignorato. Il medico, attraverso anamnesi, esami del sangue e visite specialistiche, può individuare l’origine del problema e impostare una terapia adeguata.

            Ascoltare il corpo

            Il prurito cronico non è solo un fastidio da sopportare. È un messaggio del corpo che chiede attenzione. Intercettarlo in tempo significa non solo migliorare la qualità della vita, ma anche individuare precocemente condizioni che, se trascurate, potrebbero diventare più serie.

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              Rimettersi in forma dopo le feste, un passo alla volta: camminare per vivere più a lungo

              Non servono allenamenti estremi: secondo gli esperti bastano tempi e ritmi accessibili a tutti per rimettere in moto il corpo e ridurre il rischio di molte malattie.

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              Rimettersi in forma dopo le feste, un passo alla volta: camminare per vivere più a lungo

                Dopo le feste, tra pranzi abbondanti e qualche giornata trascorsa più sul divano che all’aria aperta, il desiderio di rimettersi in forma è comune a molti. La buona notizia è che non occorrono palestre affollate o programmi intensivi: camminare resta una delle strategie più semplici, economiche e scientificamente supportate per tornare a stare bene e, soprattutto, per vivere più a lungo.

                Negli ultimi anni numerosi studi epidemiologici hanno confermato il legame tra camminata regolare e riduzione della mortalità precoce. Gli esperti concordano su un punto chiave: muoversi ogni giorno, anche con un’attività moderata, è molto più efficace che concentrarsi su sforzi intensi ma sporadici.

                Quanti minuti al giorno fanno davvero la differenza

                Secondo le indicazioni di organizzazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità e di molte società scientifiche europee e americane, l’obiettivo minimo per un adulto sano è di 150 minuti di attività fisica moderata a settimana. Tradotto in pratica, significa circa 30 minuti di camminata al giorno, a passo sostenuto.

                Tuttavia, ricerche più recenti suggeriscono che i benefici aumentano con il tempo dedicato al movimento. Studi osservazionali su ampie fasce di popolazione indicano che camminare tra i 45 e i 60 minuti al giorno è associato a un ulteriore calo del rischio di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e declino cognitivo. Anche in termini di longevità, chi mantiene questa abitudine mostra un’aspettativa di vita più lunga rispetto ai soggetti sedentari.

                Un altro parametro spesso citato è quello dei passi giornalieri. Gli esperti oggi concordano che non esiste una soglia magica valida per tutti, ma che tra i 7.000 e gli 8.000 passi al giorno siano sufficienti per ottenere benefici significativi sulla salute, soprattutto nelle persone di mezza età e negli anziani.

                Perché camminare funziona

                La camminata stimola il sistema cardiovascolare senza sovraccaricare le articolazioni, migliora la sensibilità all’insulina, aiuta a controllare il peso e riduce i livelli di stress. Inoltre, praticata all’aperto, favorisce anche il benessere mentale, grazie all’esposizione alla luce naturale e alla riduzione dei livelli di cortisolo.

                Dopo un periodo di eccessi alimentari, camminare aiuta anche a riattivare il metabolismo in modo graduale, evitando traumi o infortuni tipici di riprese troppo brusche dell’attività fisica.

                Come ripartire dopo le feste

                Il consiglio degli specialisti è di iniziare in modo progressivo. Se 30 minuti consecutivi sembrano troppi, si può dividere la camminata in due o tre sessioni più brevi durante la giornata. L’importante è la costanza. Un passo leggermente più veloce del normale, che permetta di parlare ma non di cantare, è considerato ideale per ottenere benefici cardiovascolari.

                Rimettersi in forma dopo le feste non significa punirsi, ma riprendere buone abitudini. Camminare ogni giorno è un gesto semplice che, nel tempo, può trasformarsi in uno degli alleati più potenti della salute e della longevità.

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